IL MONDO E' COME UNO SPECCHIO

Osserva il modo in cui reagisci di fronte agli altri. Se scopri in qualcuno una qualità che ti attrae, cerca di svilupparla in te stesso. Se invece osservi una caratteristica che non ti piace, non criticarla, ma sforzati piuttosto di cancellarla dalla tua personalità. Ricorda che il mondo, come uno specchio, si limita a restituirti il riflesso di ciò che sei.

domenica 14 dicembre 2014

La Grecia fa di nuovo paura

Un'attenta analisi della situazione greca e delle possibili ripercussioni future.

"In Grecia probabilmente si arriverà ad elezioni anticipate e, sempre che non accadano fatti anomali, Syriza ha buone probabilità di conquistare la maggioranza assoluta o quasi grazie proprio ai premi di maggioranza a suo tempo imposti dalla troika per permettere alla destra di governare indisturbata. Se questo dovesse accadere è evidente che Tsipras, nonostante la moderazione istituzionale e monetaria espressa in questi anni, non si sa quanto tattica o strategica o semplicemente dilatoria, non avrà che due strade davanti a sé: o nell’impossibilità certa di cambiare l’Europa si dovrà arrendere alla troika, oppure si troverà a gestire una rottura con la Ue che è temuta non tanto per la piccola Grecia, quanto per l’effetto domino che innescherebbe.
...
Il vero boccone amaro che i poteri finanziari non vogliono assolutamente ingoiare sono gli esiti della disgregazione di un’unione monetaria incoerente, nata da illusioni e da spinte politiche, ossia il ritorno dello Stato al centro dei giochi e la possibile riaffermazione di politiche sociali e di bilancio non più condizionate da diktat esterni. Tanta fatica per costruire un paradigma liberista, prima incollato nelle menti, poi cementato dalla moneta unica, per rischiare di vederlo crollare come un castello di carte. Al riconoscimento finale dell’insostenibilità dell’euro si dovrebbe arrivare – secondo questi deliziosi think tank – con governi di destra o di pseudo sinistra complice ben radicati e con Paesi allo stremo, non più in grado di reagire." ...




Basta che venga pronunciata la parola elezioni che le borse crollano. Ed è persino ovvio: quando la rete di potere finanziario viene scossa dalle urne, senza che vi sia a disposizione un qualche comodo fantoccio con speranze di vittoria, il sistema bancario e finanziario (altrimenti noto sotto lo pseudonimo di “mercati”) reagisce con la vendita di titoli con lo scopo principale di impaurire parlamenti e votanti.

Questo testimonia del punto al quale siamo giunti e spiega la caduta della borsa di Atene e di quelle europee di fronte alla mossa disperata del premier Samaras di anticipare la problematica elezione del presidente, che se fallisse aprirebbe la strada alle elezioni. Mossa disperata perché previene i tempi rispetto alle trattative sui nuovi massacri chiesti dalla troika, nel tentativo di salvare il salvabile e di trovare ancora una qualche maggioranza qualificata, ma contemporaneamente si configura sia come ricatto nei confronti di Bruxelles che dello stesso popolo greco. Sa bene che il “pericolo” di una vittoria di Syriza, prima nei sondaggi, metterebbe fine alle torture cui è stato sottoposto il Paese con il beneplacito della destra al governo e soprattutto anticiperebbe il redde rationem di questa Europa.

Non si tratta tanto del timore di un’uscita della piccola Grecia dall’euro, un morto che cammina, di cui ormai la stessa Germania sta concretamente pensando di disfarsi ora che non è più conveniente, quanto dell’effetto domino che si avrebbe in Spagna che andrà a votare l’anno prossimo e in Italia dove il premier Renzi vuole arrivare alle elezioni anticipate prima del disastro fiscal compact. Tispras stesso è fondamentalmente un eurista e non perde occasione per dichiararlo e per rassicurare . E infatti può sembrare un paradosso ma è molto più arduo per la Grecia, dopo sette anni di “cure” e di follie liberiste, uscire dalla moneta unica che per la Spagna e l’Italia.


Tanto per fare l’esempio italiano, illustrato nel grafico (basta cliccarci sopra per ingrandirlo) gran parte del debito è sotto giurisdizione nazionale, dunque senza problemi di cambio, per cui anche nell’ipotesi di un’eventuale svalutazione di una nuova Lira del 30% rispetto all’euro ( l’ipotesi più pessimistica ipotizzata da Nomura nell’arco di due anni) si avrebbero 32 miliardi di perdite massime per lo stato; 43 mld di perdita massima per le banche; 15 miliardi circa di perdita massima per le imprese. Ma questo senza tenere conto ovviamente dei crediti in euro verso soggetti non italiani che farebbe da compensazione o della possibilità di ricontrattare buona parte di queste cifre. Tanto più che come si vede anche dallo stesso diagramma i privati non bancari sono creditori verso l’estero. Dunque un momento di passaggio difficile e complesso, ma tutt’altro che un’apocalisse salvo per il fatto che qualche banca già traballante e salvata da stress test fasulli, sarebbe costretta a fallire o in pratica ad essere nazionalizzata, esattamente come è successo in Europa per alcuni istituti di credito riempiti di titoli spazzatura.

Perciò non stupisce che siano le banche in prima persona a diffondere il verbo terrorista sull’uscita dall’euro, come vediamo dall’immancabile pendaglio da cassa continua che si affaccia ai talk show quando si tratta di seminare terrore. Tuttavia non credo affatto che sia questo il vero problema per cui si è deciso a suo tempo di massacrare la Grecia e di indurre il precipitoso declino dei Paesi della periferia continentale: il vero boccone amaro che i poteri finanziari non vogliono assolutamente ingoiare sono gli esiti della disgregazione di un’unione monetaria incoerente, nata da illusioni e da spinte politiche, ossia il ritorno dello Stato al centro dei giochi e la possibile riaffermazione di politiche sociali e di bilancio non più condizionate da diktat esterni. Tanta fatica per costruire un paradigma liberista, prima incollato nelle menti, poi cementato dalla moneta unica, per rischiare di vederlo crollare come un castello di carte. Al riconoscimento finale dell’insostenibilità dell’euro si dovrebbe arrivare – secondo questi deliziosi think tank – con governi di destra o di pseudo sinistra complice ben radicati e con Paesi allo stremo, non più in grado di reagire.

Ecco perché la Grecia che a detta degli impareggiabili clown di Bruxelles “è tornata a crescere”, fa tanta paura: potrebbe essere la scintilla che scocca quando l’ordigno sociale non è stato ancora messo a punto.




Questione di vita o di morte. Con tutta probabilità la sinistra italiana ed europea si troverà presto di fronte a un possibile momento di svolta che ne deciderà la riemersione o la scomparsa definitiva dopo un lungo coma. Da una parte ci sarà la possibilità di riunirsi attorno a una grande battaglia interna ed esterna contro la finanza globale, dall’altra quella di farsi atrofizzare del tutto da divisioni e pochezza di strategia.

L’occasione sarà data dalla Grecia ( vedi qui ) dove probabilmente si arriverà ad elezioni anticipate e dove, sempre che non accadano fatti anomali, Syriza ha buone probabilità di conquistare la maggioranza assoluta o quasi grazie proprio ai premi di maggioranza a suo tempo imposti dalla troika per permettere alla destra di governare indisturbata. Se questo dovesse accadere è evidente che Tsipras, nonostante la moderazione istituzionale e monetaria espressa in questi anni, non si sa quanto tattica o strategica o semplicemente dilatoria, non avrà che due strade davanti a sé: o nell’impossibilità certa di cambiare l’Europa si dovrà arrendere alla troika, oppure si troverà a gestire una rottura con la Ue che è temuta non tanto per la piccola Grecia, quanto per l’effetto domino che innescherebbe.

Le parole di Juncker in questi giorni, le lodi al job act sparse a piene mani dalla Lagarde nel suo viaggio italiano, le chiarissime manipolazioni numerico – statistiche attuate negli Usa per simulare una ripresa ( vedi qui ), ci suggeriscono che non esiste più un vero territorio di contrattazione e che ormai la macchina liberista agisce come uno schiacciasassi: l’altra Europa all’interno di queste istituzioni e di questa rete di potere è solo un’espressione linguistica. Ed è chiaro che il fallimento di Tsipras sarebbe la morte per irrilevanza della sinistra su tutto il continente. Contemporaneamente però questa è un’occasione per le sinistre che si aggirano spaesate di ritrovare l’iniziativa, di essere finalmente qualcosa per sostenere il leader e il popolo greco difendendoli in tutte le sedi e con tutti i mezzi leciti contro le reazioni di Bruxelles e anche contro le tentazioni di cedere ai ricatti, contro la possibile assenza di un piano effettivo per permettere alla Grecia di sottrarsi al massacro pianificato. Quale migliore occasione, quella di uno scopo concreto, di arrivare a un coordinamento nazionale e sovranazionale? Quale setaccio più efficace nel distinguere il grano dal loglio delle ambiguità?

Dal momento che saranno i fatti stessi a parlare, le divisioni accademiche e di principio sulla chimerica altra Europa, su sovranismo e internazionalismo, dovrebbero passare in secondo piano, perché la loro continuazione di fronte alla realtà sarebbe già di per sé una disfatta storica che consegnerebbe alle destre in maniera irrimediabile la protesta e la speranza di riscatto. Dirò di più se il tentativo di Tsipras di sottrarsi alle grinfie della Troika fosse appoggiato anche da destre nazionaliste tipo Le Pen non me ne farei un problema, perché questo contribuirebbe a renderle meno ultima spiaggia e anzi finirebbe per mostrarne più chiaramente i limiti di progetto rispetto al liberismo.

Naturalmente tutto questo vale anche per la Spagna e per Podemos, anche se lì si tratta di una formazione con meno di un anno di vita e probabilmente più esposta a colpi di coda e infiltrazioni interne. In ogni caso è evidente che se ci si sottrarrà con una scusa o con un’altra alla battaglia di Grecia, se ancora una volta di fronte a uno snodo storico prevarranno esitazioni, distinguo, illusioni, prudenze di altri tempi possiamo scrivere la parola fine su una lunga storia.

Nessun commento: