IL MONDO E' COME UNO SPECCHIO

Osserva il modo in cui reagisci di fronte agli altri. Se scopri in qualcuno una qualità che ti attrae, cerca di svilupparla in te stesso. Se invece osservi una caratteristica che non ti piace, non criticarla, ma sforzati piuttosto di cancellarla dalla tua personalità. Ricorda che il mondo, come uno specchio, si limita a restituirti il riflesso di ciò che sei.

giovedì 8 ottobre 2009

Non lodo Alfano, bensì la Consulta!

Il significato di "lodo" riportato nel Grande Dizionario della Lingua Italiana fondato da S. Battaglia (Torino UTET, 1961-2002) è ‘decisione con cui un arbitro o un collegio di arbitri dirime (non di rado in via equitativa) una controversia; sentenza arbitrale. – Anche: compromesso, accordo fra parti aventi interessi contrastanti’.
E' dunque evidente che era (ed è ancora) totalmente inesatto chiamare "lodo" la legge (non ancora approvata dalla Corte) in oggetto.
Essendo poi che -in merito a tale controversa legge- nessun accordo arbitrale o compromesso è stato ottenuto è ancora più sbagliato.
Mi pare questo l'emblema di quanto accaduto: qualcuno cercava di forzare le leggi del paese con il peso della sua potenza materiale e non c'è riuscito.
Come sappiamo la legge in oggetto prevedeva la sospensione di qualsiasi processo (in corso o ex novo) per le prime quattro cariche dello Stato (Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio e presidenti di Camera dei Deputati e Senato) per poter far sì che in queste cariche "si potesse operare con serenità" (già qui si presupponeva come minimo che i giudici operassero non per cercare colpevoli di reati ma per perseguire qualcuno senza ragione, per motivi al di là della legge).
La Corte Costituzionale si è espressa su tale legge (approvata dalla maggioranza di Governo nei due rami del Parlamento) sollevando un problema di merito e uno di metodo, guardando soltanto alla Costituzione, e tale è il suo compito, null'altro.
Nel merito, il lodo Alfano viola l'articolo 3 della Costituzione, che vuole tutti i cittadini uguali di fronte alla legge, a prescindere da credo, sesso, opinioni e quindi anche ruolo, potere o ricchezza.
Proprio per questa ragione - entriamo nel metodo - se si vuole sottrarre alla legge chiunque, e quindi anche una di queste 4 cariche (il Presidente del Consiglio è l'unicadi queste che ha processi pendenti) occorre adottare una norma di revisione costituzionale, e non una norma ordinaria.
Dunque il Lodo è illegittimo, perché viola gli articoli 3 e 138 della Costituzione.
La Consulta ha concluso che per assicurare "serenità" a chi governa, si deve correggere la Costituzione e quindi non è sufficiente una legge ordinaria. C'è una logica precisa e chiara in questo.
L'obiezione che governo e maggioranza oppongono, con furore, a questa conclusione è: "potevate dircelo prima; ne avete avuto l'occasione con la legge Schifani (stesso argomento, emanata nel 2003 e poi dichiarata incostituzionale dopo pochi mesi), non lo avete fatto: perché? ".
Il ministro di Giustizia, Angelino Alfano, protesta: " È incomprensibile come i giudici costituzionali abbiano potuto spendere, nel 2004, pagine su pagine di motivazioni senza fare alcun riferimento alla necessità di una legge costituzionale. Tale argomento, preliminare e risolutivo, è inspiegabile che venga evocato quest'oggi".
L'accusa di Alfano però, ripresa anche nelle proteste di Berlusconi ("Sono stato preso in giro"), pare non avere gran fondamento.
Lo hanno spiegato anche, più di un anno fa e in ogni occasione utile, cento costituzionalisti con un pubblico appello.
Nel 2004, alla Corte fu sufficiente la constatazione preliminare dei difetti di legittimità della "legge Schifani" per affondare quello "scudo", "assorbito - si leggeva nella sentenza - ogni altro profilo di illegittimità costituzionale".
Chi protesta oggi fa finta di dimenticare tale basilare affermazione dell'Alta Corte, Corte che non rinnega principi da se stessa già enunciati, perché, nel 2004, "si limitò a constatare che la previsione legislativa difettava di tanti requisiti e condizioni (la doverosa indicazione dei reati a cui l'immunità andrebbe applicata, il doveroso pari trattamento dei ministri e dei parlamentari nell'ipotesi dell'immunità del premier e dei presidenti delle due Camere), tali da renderla inevitabilmente contrastante con i principi dello Stato di diritto" per cui non potè nemmeno andare oltre tale preliminare esame.
Se fosse andata oltre avrebbe necessariamente esposto il principio base (e noto a chiunque sappia di diritto) secondo cui "deroghe al principio di eguale sottoposizione di tutti i cittadini alla giurisdizione penale, debbano essere introdotte necessariamente ed esclusivamente con una legge costituzionale".
Ergo sì, si può attenuare il principio dell'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, ma soltanto se si riscrive la Costituzione e, per farlo, bisogna muoversi nell'alveo delle regole previste dalla revisione costituzionale, perché una legge ordinaria non è idonea a introdurre una disposizione che modifichi il principio che rende tutti uguali davanti alle legge.
Il continuamente evocato principio della supremazia della volontà popolare non può e non deve modificare questa uguaglianza, che anzi è una tutela contro derive autoritarie.
C'è una maggioranza ampia in parlamento, perfettamente in grado di approvare una modifica alla costituzione con il previsto iter (non si è voluto percorrerlo solo per fare prima ed evitare problemi).
Un premier corretto, proprio perché eletto regolarmente in ambito di ordinamento democratico (maggiore è la sua maggioranza e ancor più dovrebbe essere così, non il contrario come avviene), dovrebbe essere il primo a rispettare ordinamenti e organi di garanzia.
Organi che sono stati previsti, saggiamente, proprio per arginare ciò che una deriva populistica potrebbe autorizzare.
Invece accade proprio l'opposto: invece del rispetto istituzionale arriva la totale delegittimazione:
"la Corte ha deciso così «perché è di sinistra» e fa parte di uno schieramento che vuole soggiogare il Paese".
In quella che definisce «una minoranza», composta dal «settantadue per cento della stampa» e dai «comici che prendono in giro il governo», il nostro Primo Ministro ha inserito anche il Capo dello Stato alzando così a un livello insopportabile lo scontro istituzionale, e dimenticando che Napolitano aveva firmato il testo del ministro di Giustizia Alfano, proprio in base al verdetto con cui la Consulta aveva chiesto prima una serie di aggiustamenti per il precedente lodo Schifani.
Napolitano ha aiutato Berlusconi firmando la legge, questa è la verità.
Invece il Presidente della Repubblica viene ingiustamente attaccato e non solo: ieri sera a "Porta a Porta", nell'imbarazzo generale, Vespa incluso (il che è tutto dire), il Premier ha avuto il coraggio di dire che " essendo il Presidente di sinistra e avendo lui firmato la legge, si doveva impegnare personalmente a convincere i giudici di sinistra della Corte", giudici di sinistra perché nominati in passato da Presidenti di sinistra, ecc. ecc.
Che vi sia anche la possibilità che questi giuristi siano insigni esperti eletti per meriti inoppugnabili neanche l'ombra...
Io nel mio piccolo dico "meno male" che esistono organi di garanzia ad evitare che sia la piazza a decidere i principi che regolano la nostra convivenza.
Se lo Stato di diritto s’affida a un corpo di custodi, è perché la piazza a suo tempo mandò a morte Gesù per salvare Barabba, perché la stessa piazza durante il secolo ventesimo acclamò feroci dittatori, perché, insomma, le Costituzioni liberali presidiano un sistema di valori e lo sottraggono al dominio delle folle e da chi si vorrebbe fare solo da esse legittimare.
L'assioma "il popolo mi ha eletto quindi posso fare ciò che voglio" è quanto di più grave e pericoloso io possa immaginare per uno stato etico.
Concludo infine ancora con un inciso tratto dalla telefonata di Berlusconi a Porta a Porta di ieri sera, che ho visto in diretta, e che nessun giornale di oggi riprende come si dovrebbe.
Il nostro Primo Ministro si è rivolto a Rosy Bindi, presente in studio, che osava contraddirlo scandalizzata facendo presente che non poteva -in relazione al suo ruolo istituzionale- parlare in quel modo del Presidente e della Consulta, dicendole stizzito quanto tronfio della sua bella battuta maschilista e becera: "lei è più bella che intelligente".
Sono rimasto allibito. Non ho parole per descrivere la bassezza che quest'uomo ha dimostrato con questa frase. La povera Rosi Bindi, che certo, come ben sappiamo dalle frequentazioni del Cavaliere, non incarna certo i canoni della bellezza che tanto egli insegue in privato, è stata grandiosa. E' rimasta malissimo, e si è visto, ma non ha replicato una parola sul vile attacco personale, continuando ad eccepire nel merito del dibattito istituzionale. Tanto di cappello... ce ne fossero!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

A proposito dell'eleganza dell'episodio "Bindi" segnalo:
http://temi.repubblica.it/repubblica-appello/?action=vediappello&idappello=391110

Anonimo ha detto...

...io vorrei dire che se la Bindi è più bella che intelligente allora è una gran figa - scusa la "franchezza" ;OP - dato che la sua intelligenza non solo si è dimostrata nel tempo, e ancora si dimostra, in anni di onorata ed imegnata vita politica, ma ha brillato più che mai proprio di fronte all'insulsa, sessista, inutile, provocatoria, falsa (da leggersi nell'ordine che più si preferisce) affermazione televisiva del presdente del consiglio (ahimé), a cui ha saputo replicare con gran classe e professionalità.
e poi il bello è negli occhi di chi guarda e a me,personalmente, il viso della bindi ispira molta simpatia.
ciao e grazie!