''Ai credenti, come pure a tutti gli uomini di buona volonta' - si legge nel messaggio di Benedetto XVI - e' chiesto di fare tutto il possibile per debellare quelle situazioni di ingiustizia, di miseria e di conflitto che costringono tanti uomini a intraprendere la via dell'esodo, promuovendo nel contempo le condizioni di un inserimento nelle nostre terre di quanti intendono, con il loro lavoro e il patrimonio della loro tradizione, contribuire alla costruzione di una societa' migliore di quella che hanno lasciato''.
''Nel riconoscere il protagonismo degli immigrati, - conclude Ratzinger - ci sentiamo chiamati a presentare loro il Vangelo, annuncio di salvezza e di vita piena''.
Ci fa molto piacere sentire queste parole anche perchè, pur essendo il nostro un cattolicissimo paese, e subendo l'influenza di molteplici insegnamenti e dogmi cattolici, proprio questo invece è un aspetto su cui tanti cattolici e (anche) leghisti italiani sorvolano con molta evidenza.
Dovremmo essere un paese in grado di accettare la diversità del prossimo, di considerarla un’opportunità di crescita invece di un fattore di contrapposizione.
Purtroppo invece sia il sistema educativo, sia il sistema dell’informazione, cavalcano l’onda delle differenze e della paura. Calcano la mano sui termini più terribili e li associano con i presunti diversi da noi, con le minoranze che coesistono con i “residenti di diritto”. Ma quale diritto?
I termini “droga”, “violenza”, “prostituzione”, “delinquenza”, “racket” nei discorsi della gente e nei servizi giornalistici vengono spesso associati agli immigrati extracomunitari.
E’ lecito domandarsi quanto questo sia giusto. Tutte le volte che il fenomeno si verifica, questo leit-motiv appare. Ricordo ad esempio quanto fosse usuale a Torino, la mia città, ai tempi della grande immigrazione dal sud Italia legata al boom Fiat degli anni 60. Dura ancora oggi.
Quello che i più non vogliono ricordare è che la delinquenza esiste sempre anche prima del fenomeno immigrativo. Inoltre è indubitabile che, a spostarsi dal luogo natio sono sempre le persone in maggiore difficoltà economica, ovvero le più povere, meno istruite, più sofferenti, dove la percentuale di “disadattamento” è molto più alta.
Ma, come prima del fenomeno, così anche dopo, il contrasto della delinquenza spetta ai corpi di polizia, uno dei tanti servizi che fanno capo allo Stato, non ai normali cittadini.
Quando si creano le condizioni economiche per un fenomeno di massa, inevitabilmente i servizi devono adeguarsi. Non si può pensare, e faccio il caso di Torino, di raddoppiare la popolazione (ad ogni lavoratore si aggiunge la famiglia relativa), da 500.000 ad un milione di persone, lasciando inalterati tutti i servizi. Questo significa privatizzare i benefici derivanti dalla immissione di nuova manodopera, e socializzare i disagi derivanti dall’inadeguatezza delle strutture.
Quello che successe anni fa a Torino era già accaduto molte altre volte, in Italia e nel mondo. Così è fatta la storia dell’umanità. Anche oggi non si dice ancora abbastanza che la manodopera extracomunitaria è necessaria, soprattutto perché non vi sono più lavoratori “nativi” che si rendano disponibili a lavori cosiddetti “umili” o considerati degradanti. Gli immigrati “ci servono”. E’ un fatto reale.
L’uomo cerca, da sempre, di migliorare la sua condizione. Così come la popolazione residente, anche quella del mondo intero. E questo è giusto. Perché?
Pensiamoci. Come giustamente diceva Confucio, “può un uomo colpito da una freccia avvelenata nel costato, interrogarsi sulla direzione da cui essa proveniva, su chi può averla scoccata o su che tipo di veleno si tratta?”. Certo che no!
Può un uomo che si dibatte nelle spire dei bisogni primari, interrogarsi sui grandi temi dell’esistenza: “Chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Perché sono qui?”. E’ impossibile.
Quindi il significato profondo e spirituale del benessere è questo: si tratta della possibilità dell’uomo di avvicinarsi allo spirito, ai temi che sappiamo più essenziali. Solo dopo aver capito l’irrilevanza della materia fine a sé stessa l’uomo potrà poi distaccarsene… Ma per fare questo ha bisogno di poterci pensare, di essere sufficientemente sereno da poterlo fare.
E senza avere raggiunto il livello minimo di sussistenza non potrà mai farlo!
L’immigrazione corrisponde a questo bisogno primario dell’umanità! Chi siamo noi per impedire che altre persone, meno “fortunate” (e dico fortunate tra virgolette), possano affrancarsi dal bisogno, spezzare le catene che li imprigionano, evolvere, come il loro Karma prevede, e affacciarsi finalmente ai temi che le avvicineranno maggiormente alla Meta finale?
L’ottanta per cento delle risorse è in mano al 20% dell’umanità. E’ giusto che questo 20% resista con ogni mezzo all’anelito di condivisione del resto dell’umanità? Non penso.
Inoltre v’è un altro grande fenomeno in atto sul pianeta: si chiama globalizzazione. Questo fenomeno, pur non solo economico, porta la produzione di beni dove essa costa di meno.
Ciò mano a mano diffonderà sempre di più la ricchezza -ora in nostro possesso- da altre parti del mondo. Una sorta di enorme attuazione del principio dei vasi comunicanti svuoterà sempre di più le tasche del mondo occidentale e andrà a portare ricchezza ed effetti correlati nelle altre parti del mondo che inseguono il benessere. Nei nuovi luoghi di produzione confluiranno sempre più masse di immigrazione da ogni dove…
Si verifica quindi il paradosso che la civiltà che gode primariamente dei benefici volti ad incrementare consumi e profitti derivanti, poi lotta contro gli elementi che la permettono.
Quali le soluzioni: rinunciare alla spirale perversa dello sviluppo infinito? Barricarsi all’interno dei propri confini chiudendo gli occhi alla realtà incalzante da noi stessi creata? O gestire questo fenomeno al meglio delle nostre possibilità?
Guardiamo al nostro paese: gli stranieri presenti in Italia sono circa 3.300.000 di cui 540.000 irregolari (16%). Difficile dunque far finta di niente davanti a un problema di così vaste dimensioni. In prevalenza (1,5 milioni) provengono dall'est europeo, seguiti dall’Africa settentrionale e dagli asiatici. Tutti vedono nell’Italia un paese economicamente sviluppato e facilmente raggiungibile, anche in considerazione del fatto che le nostre frontiere sono sicuramente più penetrabili di quelli di altri Paesi europei.
Gente povera, affamata, stremata dalla guerra e dalle carestie, da crisi spesso provocate dallo sfruttamento economico che proprio i paesi ricchi, con gli interessi delle loro multinazionali inducono nella loro terra d’origine, che cerca sostegno in noi ricevendo spesso un’accoglienza tutt’altro che ospitale.
L’attuale Governo italiano combatte l’immigrazione quasi come una piaga e da anni continua ad instaurare norme e atteggiamenti sempre più severi per contrastare il fenomeno.
Tanti cittadini italiani giudicano in modo “sommario” tutta questa gente, e la associano alla delinquenza e all’ignoranza, con un livello di astio e razzismo veramente poco condivisibile.
E’ fin troppo semplice giudicare guardando solo certi aspetti del problema.
Bisogna ricordarsi che gli immigrati rappresentano circa un quarto della nostra forza lavoro. E soprattutto varrebbe la pena ricordare che tra il 1900 e il 1913 furono otto milioni i nostri connazionali ad emigrare all’estero in cerca di fortuna.
E in quel caso, erano gli Italiani ad essere visti come potenziali ladri, stupratori e, se non così, senz’altro come ubriachi e sporcaccioni, vivendo in case simili a baracche e accontentandosi di lavori umili e faticosi, non molto diversi da quelli che oggi svolgono gli immigrati in Italia.
La differenza è che da allora è passato quasi un secolo e per un Paese sviluppato come l’Italia è doveroso aiutare chi ce lo chiede.
Quando si parla d'immigrazione italiana si pensa solo agli 'zii d'America', arricchiti e vincenti, ma nessuno vuole sapere che la percentuale di analfabeti tra gli italiani immigrati nel 1910 negli USA era del 71% o che gli italiani costituivano la maggioranza degli stranieri arrestati per omicidio. Forse questi dati aiuteranno a capire che neanche noi siamo stati perfetti.
Circa sessanta milioni di italiani e di discendenti di italiani vivono sparsi nel mondo, in ogni continente. Il nostro è uno dei paesi con più emigranti, eppure l’arrivo di immigrati da paesi poveri dell’Est europeo e dall’Africa settentrionale ha provocato reazioni anche gravi di rifiuto, di razzismo, di intolleranza..
Attraverso testimonianze, letture di libri, giornali e documenti di associazioni razziste dell’epoca, emerge la fortissima ostilità di cui gli immigrati italiani vennero fatti segno.
Clandestini, criminali, analfabeti, dediti all’alcool e alle risse, disposti a vendere i propri figli per pochi soldi, dovremmo ricordare sempre come l’arrivo dei nostri emigranti coi loro fagotti e le donne e i bambini venisse accolto dai razzisti locali: con le stesse scritte che oggi campeggiano sui nostri muri, con lo stesso sprezzante fastidio, con la stessa profonda avversione che oggi noi riteniamo giustificata…
E’ innegabile che la mafia sia stata esportata dagli italiani e che nelle mani di italiani ci fossero molte imprese criminali.
E’ anche vero che eravamo una delle popolazioni con il più alto tasso di analfabetismo, difficoltà d’inserimento e di apprendimento della lingua locale, disposti a far lavorare i figli ancora bambini in attività pericolose per la salute e per la vita come le miniere e le vetrerie, affetti da una religiosità che cadeva molto spesso nella superstizione e in rumorosi e alcolici festeggiamenti.
Gli italiani erano un popolo povero, spesso con nulla da perdere e che in maggioranza era composto di persone oneste, coraggiose, disposte ad affrontare viaggi lunghi e rischiosi per cercare un benessere e un futuro che in patria erano impensabili. Ma trovarono ostilità, chiusura, insulti e spesso anche brutalità fisiche fino alla morte.
Oggi di tutto questo non si vuole parlare, si tenta di dimenticare un passato di difficoltà ma, dimenticandolo, si producono verso gli immigrati gli stessi atteggiamenti razzisti e spesso ingiusti di cui siamo stati vittime. Infatti, se andiamo a ricostruire l’altra metà della nostra storia, si vedrà che l’unica e sostanziale differenza tra “noi” allora e gli immigrati in Italia oggi, è solo il tempo. Noi abbiamo vissuto l’esperienza prima, loro dopo.
Oggi come ieri la gente ha semplicemente paura del diverso. Questo è il vero problema.
Anche i media non aiutano e spesso cavalcano questa paura solo per avere una tiratura o un audience migliore.
Il diverso da noi ci infastidisce, perché ci costringe a guardare dentro di noi. E forse, tante delle cose che potremmo scoprire, non ci piacciono molto…
Sono poche e poco popolari le voci che tentano di spiegarci che gli uomini sono tutti uguali, tutti creati “a somiglianza di Dio” come cita il Vangelo.
Vangelo che, in Lc 10, 25-37, con la parabola del Samaritano, ci indica molto bene la strada da seguire...
Per approfondire, dal sito "Vivere con Spirito e Attenzione":
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