IL MONDO E' COME UNO SPECCHIO

Osserva il modo in cui reagisci di fronte agli altri. Se scopri in qualcuno una qualità che ti attrae, cerca di svilupparla in te stesso. Se invece osservi una caratteristica che non ti piace, non criticarla, ma sforzati piuttosto di cancellarla dalla tua personalità. Ricorda che il mondo, come uno specchio, si limita a restituirti il riflesso di ciò che sei.

mercoledì 2 gennaio 2013

VADEMECUM PER RISORSE UMANE CRITICAMENTE COMMENTATO


In rete, in un blog specializzato, ho trovato questo interessante post che riporta le regole elaborate da uno dei tanti esperti anglosassoni in risorse umane. Sono consigli sistematici sui vari metodi che potrebbero essere utili a mettersi in luce in una qualsiasi organizzazione (non solo in azienda). Purtroppo -a mio parere- non è sempre vero che tali regole possano essere efficaci, soprattutto in azienda e soprattutto in Italia. Ora più che mai. Si tratta anzi, di un vademecum a senso unico, che andrebbe "corretto", o per lo meno "filtrato" in base alla realtà delle cose. Ve lo propongo quindi con un personale commento in corsivo sotto ogni punto.


Cosa può fare una persona per distinguersi dalla massa? Rajesh Setty, imprenditore e scrittore, nonché CEO di Suggestica (un sito americano specializzato nella diffusione di pareri di personalità eminenti e riconosciute nei campi dell’organizzazione, del business, dell’economia, della comunicazione ecc.), elenca i suoi 25 modi per distinguersi.

1 Avere a cuore le esigenze altrui come se fossero le proprie


Finché le risorse svolgeranno il proprio lavoro in azienda unicamente per loro stesse, per ottenere una retribuzione a fine mese, probabilmente il loro operato non sarà in grado di soddisfare le esigenze richieste. Al contrario, la condivisione di valori e obiettivi, non solo contribuirà a dare valore aggiunto all’impresa, ma focalizzerà l’attenzione di ognuno sulla soddisfazione delle altrui esigenze come se fossero le proprie, permettendo che ogni lavoratore guadagni rispetto, fiducia e rappresenti un punto di riferimento per eventuali progetti successivi.

Vi sono organizzazioni filantropiche e qualche società di profitto illuminata (mi vengono in mente l'Arthur Andersen di un tempo -ora Accenture- e qualche altra di estrazione nordeuropea, come la Tetrapak o l'Ikea) dove questa regola, veramente aurea, viene apprezzata e propugnata, pur con limiti vari. Il presupposto basilare è che la leadership, proprietà in testa, sia dedita alla condivisione degli obbiettivi con i sottoposti/collaboratori. Ma questo avviene molto di rado, all'insegna della famosa regola "se entri nell'ufficio del capo con una tua idea devi uscirne con l'idea del capo". La presunzione dei manager è spesso così alta da portare alla denigrazione di chi osa proporre idee diverse e/o innovative. I collaboratori vengono spesso usati come meri esecutori da cui si pretende solo ossequio e obbedienza cieca. 
Una società (con la s minuscola) in cui le persone non lavorano per se stesse ma per la collettività, e mettono a disposizione le proprie competenze e talenti a prescindere dal compenso, è qualcosa i talmente lontano da quella in cui viviamo, e ancor più dalle aziende, che questa regola è mera utopia. Forse un giorno... lontano, potrà essere realtà.
Un vero peccato anche per le aziende, perchè è stato dimostrato che incoraggiamenti, pacche sulle spalle, encomi, lodi, coinvolgimenti, che hanno costo zero, sono molto più apprezzati dei bonus e dei soldi, e concedono risultati di lungo periodo. In sostanza il modus operandi che va per la maggiore nelle aziende è un vero autogol! Segno che l'illuminazione è ancora molto lungi dall'aver toccato la classe dirigente (italiana e non). Se la classe dirigente è quella politica, il disastro è ancora peggiore, lì si pensa solo al tornaconto personale pur avendo a che fare con un obbiettivo dichiaratamente non di profitto, ma di interesse generale. Questa classe dirigente è -se possibile- ancora peggiore di quella che imperversa nel mondo delle società private.

2 Svolgere il proprio lavoro con passione

Per distinguersi bisogna superare gli standard, superare le aspettative, e ciò può accadere solo se il proprio lavoro viene svolto con passione e interesse. All’interno di un mercato altamente competitivo non bisogna preoccuparsi di quante persone possano svolgere il proprio stesso lavoro, ma di chi è pienamente coinvolto in esso. E’ questo che permette di fare la differenza.

Eccepisco sulla "passione". A parte l'interesse, basilare, occorre svolgere il proprio lavoro con concentrazione, con attenzione, non con passione, ovvero "emotivizzando", legando le proprie emozioni al lavoro. Questo porta a somatizzare fisicamente ogni volta che le aspettative vengono deluse, che i superiori fanno critiche, che un progetto o una proposta non va a buon fine. Non possiamo far dipendere la nostra felicità, il nostro equilibrio, dal successo nel lavoro (a questo porta la "passione"). Con le delusioni che il mondo del lavoro oggi riserva significherebbe condannarsi quasi certamente alla depressione e alla nevrosi. Il lavoro deve essere svolto con impegno, concentrazione, attenzione, ma anche con distacco, quel distacco che non è certo menefreghismo, ma bensì la consapevolezza che il mondo del lavoro è il regno dell'impermanenza per eccellenza, dove i nostri destini sono spesso nelle mani di persone incompetenti a livello psicologico e umano, e dove è il profitto a imperare. 
Dobbiamo lavorare bene, ma per noi stessi, non per l'azienda o per i nostri capi, e poi lasciare i risultati nelle mani del destino, con la speranza che possano essere valutati e apprezzati anche dove lavoriamo (ma non è mai una certezza).

3 Instaurare solide relazioni

La fiducia è l’elemento fondamentale affinché si instaurino solide relazioni tra le persone. Non ci sono regole da seguire ma occorre tempo e soprattutto interesse, da parte di tutte le persone coinvolte. I rapporti duraturi sono quelli in cui avviene un reciproco scambio tra le parti, al contrario, quelli a senso unico sono destinati presto a finire. La tendenza di tutte le persone è quella di trovare qualcuno che abbia un potere superiore al proprio e stabilire con esso delle relazioni di lungo termine. In questo senso i vantaggi che ne scaturiscono sono semplici da comprendere, ma cosa viene offerto in cambio? Secondo Rajesh Setty, nello stabilire delle relazioni durature non bisogna seguire alcuna legge o gerarchia, ma esclusivamente l’equo scambio di valori.

La tendenza a compiacere, a blandire chi ha più potere, chi ha in mano -apparentemente- parte del nostro destino, è insita nell'animo umano. Ma questo tipo di relazione non ha nulla a che fare con la fiducia, che contraddistingue un rapporto paritetico e bilanciato.  In azienda i rapporti di fiducia sono assai rari tra pari grado e ancor più rari in linea gerarchica. Nelle aziende, e sono molte, dove vige la filosofia del "dividi et impera", è molto pericoloso instaurare rapporti di fiducia: carrierismo, prevaricazione, delazione, sono aspetti che sconsigliano il lasciarsi andare e rendono controproducente un rapporto aperto dove le confidenze possono essere utilizzate contro di noi. Occorre quindi molta cautela e comprendere, prima di ogni cosa, quali sono gli organigrammi "occulti" di un'organizzazione, quali i rapporti di forza, e conoscere bene le persone prima di instaurare qualsiasi rapporto su base fiduciaria. Inoltre necessita diffidare proprio di tutti gli individui che instaurano rapporti atti a compiacere i propri capi. Stabilire solide relazioni in ambienti sottoposti a grande turnover, sempre più ricorrenti nel nostro mondo occidentale in crisi permanente, pur essendo positivo in assoluto, può anche rivelarsi per certi versi controproducente in quanto fonte di separazioni dolorose. Per altro non conosco aziende che perseguano un tale fine. Forse solo le organizzazioni no-profit fanno eccezione.

4 Sognare in grande!

Le risposte delle persone alla domanda “Qual è il tuo sogno?”, sono tra le più svariate, ma ciò che sconvolge Setty è che alcune di loro sembrano essere molto, molto poco pretenziose e riconducibili ad obiettivi raggiungibili in un breve lasso di tempo. Secondo l’autore, se si tratta di sogni, allora perché non sognare in GRANDE? E’ sbagliato mettere dei limiti all’immaginazione. Le persone come possono augurarsi di vedere realizzato qualcosa se prima non lo rappresentato vividamente nei loro sogni? Se si pone attenzione su chiunque abbia raggiunto risultati significativi nel corso della propria esistenza, si può notare come, in principio, ciò che era solito sognare veniva giudicato come assolutamente non realizzabile.

Solita esasperazione del concetto del "sogno americano", dove la storia di pochissimi miliardari fattisi dal nulla va per la maggiore. Primo, il denaro non è tutto e i sogni migliori per avere potenzialità di realizzazione, devono essere quelli legati alla personale evoluzione interiore, la quale poi, successivamente, potrà anche dare luogo a successi esteriori duraturi. Nelle organizzazioni, sovente, chi sogna alla grande, ma anche in piccolo,  e ha l'ardire di esternarli, va incontro a pesanti ridimensionamenti. Nessun capo vuole essere superato nelle strategie dal sottoposto, nessun collega vede di buon occhio chi esterna grandi idee che paiono metterlo in ombra. Occorre sì, elaborare grandi idee, ma mantenerle per un pò di tempo nel proprio intimo, e studiare strategie efficaci per renderle pubbliche in modo che possano essere di aiuto e non trasformarsi in autogol... Insomma buonsenso e realismo devono equilibrare i nostri sogni. Testa in cielo ma piedi per terra!

5 Stabilire le giuste aspettative

Molti progetti falliscono nonostante il grosso lavoro che c’è dietro ad ognuno di essi, questo perché se le aspettative ad essi collegate sono sbagliate o poco realistiche, persino il team migliore potrebbe ottenere un insuccesso. Di conseguenza, la prima regola perché un progetto abbia successo prevede che tutte le parti coinvolte stabiliscano le giuste aspettative. Le organizzazioni funzionano come dei sistemi, ed è raro che un progetto possa essere eseguito in modo isolato, al contrario, esso è spesso collegato ad una moltitudine di altri progetti e se qualcosa non funziona in uno di essi, le conseguenze si riflettono sull’intera catena. Comprendere questa relazione è fondamentale affinché si adotti il giusto sistema di pensiero che permetta alle persone di stabilire le giuste aspettative relativamente all’intero processo.

La domanda però sorge spontanea. Cosa significa "giuste"? E poi ancora, ma esistono "giuste aspettative"? O le aspettative sono erronee in quanto tali? "Sbagliate" o "poco realistiche" sono aggettivi che si riferiscono a qualcosa, a un parametro o più parametri che dovrebbero definire i termini di paragone "giusti" e "realistici". Ma la verità è che questi non esistono, e soprattutto non ne esistono di oggettivi e/o validi per tutte le realtà. Ogni organizzazione sottende vincoli e paradigmi diversi e assolutamente unici.
Facciamo un esempio: tutti si aspetterebbero che un progetto che è costato soldi ed energia debba anche durare a lungo. Per cui succede che per un progetto a cui si è lavorato per anni ci si aspetta che venga considerato importante per lungo tempo. Invece no, spesso non va assolutamente così. Basta, ad esempio, che cambi la leadership, e il progetto per cui hai dato il sangue non valga più nulla e sia abbandonato. L'ho visto accadere molte volte. La verità è che non ci sono né giuste aspettative, né dovrebbero esserci aspettative del tutto. Si deve lavorare ad un progetto per il gusto di lavorarci, per il piacere ci collaborare, per lavorare bene per noi stessi. Senza aspettative, senza aspettarci alcun ritorno. Se poi ci sarà ben venga. Ma il gusto deve essere il realizzarlo, non un risultato di cui nessuno sa nulla veramente (così come siamo, immersi nell'impermanenza e preda del caso... sì certo, si deve calcolare il ritorno dell'investimento, definire efficacia ed efficienza, tutte cose da fare e conoscere per essere professionali). Per cui fate del vostro meglio ma il resto va lasciato al caso, al fato, al destino, a Dio se vogliamo.

6 Chiedere aiuto

Per qualche strana ragione, nella nostra cultura, di vita e di business, la richiesta di aiuto assume una connotazione negativa. Le persone cercano sempre di risolvere ogni cosa da sé, spesso con scarsi risultati. La vita sarebbe molto più semplice se iniziassero a rivolgersi a qualcuno in caso di bisogno, ma questo implica che, a loro volta, debbano essere pronte a “dare” quando richiesto. Tra i vantaggi che ne conseguirebbero c’è l’acquisizione di un senso di umiltà che secondo Rajesh Setty rappresenta una tra le più grandi virtù che un individuo possa avere.

Questo punto mi trova totalmente d'accordo, nella vita in generale. In azienda quasi del tutto, con una piccola eccezione nel caso in cui si possa esagerare nel appoggiarsi ad altri: diventare autonomi e indipendenti non dipendendo da nessuno fa parte del "kit di sopravvivenza", ma è possibile trovare giusti compromessi. E quando una cosa non si sa è molto meglio informarsi che procedere a tentoni col rischio di sbagliare. 
Quando da soli non ce la si fa e ci si trova davanti una montagna che ci può schiacciare, procedere da soli è follia, si rischia grosso. Capire che occorre chiedere aiuto è un atto di umiltà che ci rende migliori, oltre all'arricchimento che solo la solidarietà può dare.


7 Festeggiare le piccole vittorie

Le persone hanno bisogno di grandi vittorie per festeggiare ma allo stesso tempo bastano piccoli fallimenti e insignificanti ragioni per renderle nervose o arrabbiate. Eppure, facendo affidamento alla propria intelligenza esse sanno che:
a) Il fallimento rappresenta un passaggio obbligato per raggiungere il successo;
b) Non è il modo in cui si cade che fa la differenza bensì come ci rialza dopo ogni caduta;
c) Una deviazione lungo la strada non rappresenta la fine del percorso.
Quando si ottengono piccole vittorie le persone credono non sia il caso di festeggiarle perché, evidentemente, il benchmark stabilito dalla società per i festeggiamenti giustificati è molto elevato. Al contrario, Setty consiglia di celebrare ogni piccola vittoria, senza mai lasciare che passi inosservata.

Anche su questo punto sono molto d'accordo. In generale le aziende, i manager o gli imprenditori sono molto restii a concedere congratulazioni od encomi, anche per successi a volte importanti (e non solo piccoli, considerati come dovuti, ovvero il "minimo richiesto"... e non è così!). Questo per il timore che il dipendente possa "alzare la testa", rivendicando riconoscimenti economici, o addirittura per paura che, nel momento in cui si dovesse disfare del collaboratore, questi possa trovare appigli e farli pesare. Tuttavia, ciò malgrado, non bisogna rinunciare a festeggiare interiormente il proprio successo, lasciando che questo possa andare ad aggiungere un mattoncino al muro della fiducia in sè stessi. Fiducia che, in questo mondo di squali dediti al profitto e allo sfruttamento, può venire molto comoda nel momento del bisogno (quando per giustificare le vessazioni si fa leva sulle debolezze del collaboratore che, se manca di fiducia in sè stesso, rischia di crollare e deprimersi).

8 Stabilire standard elevati

Come è stato precedentemente detto, per ottenere buoni risultati, si devono stabilire le giuste aspettative, ma se l’obiettivo è quello di raggiungere eccellenti risultati, c’è bisogno che le persone si attribuiscano degli standard personali molto elevati. Setty porta come esempio una qualsiasi vittoria alle olimpiadi: c’è l’oro, l’argento e il bronzo, e poi c’è la persona in quarta posizione. La differenza nelle prestazioni sportive è davvero minima, ma è esattamente la stessa differenza che intercorre tra i buoni risultati e i risultati eccellenti.
Il consiglio più immediato di Setty è, per esempio, quello di fermarsi pochi minuti prima di inviare una semplice mail ad un collega, per capire l’impressione che si vuole dare al destinatario, attraverso il testo della mail, rispetto ai propri standard personali. E’ qualcosa che impegnerà qualche minuto in più ma secondo l’autore, vale la pena farla.

Su questo punto vale la pena soffermarsi con molta attenzione. Gli impatti psicologici sono tali da sfiorare in modo significativo anche aspetti psico-spirituali molto importanti. Anche perchè, come si vede, il concetto viene esteso all'intera esistenza (parlando si sport), e non solo al lavoro. Sorge in sequenza un'altra domanda: è sensato comportarsi sul lavoro, in termini di aspettative da porsi, diversamente che sulla vita? Mi spiego meglio: i saggi di ogni tempo, attraverso gli scritti più importanti dell'umanità (dai Veda al Nuovo Testamento per intenderci) ci parlano dell'importanza di liberarsi delle aspettative, nel senso che le aspettative, i desideri, sono il tranello teso dalla mente all'uomo. L'aspettativa sembra fatta apposta per essere delusa, e in ogni caso quante volte nella vita può accadere che venga completamente corrisposta? Lasciamo perdere i corsi per venditori che parlano di "mirare alla luna per colpire l'aquila, se miri all'aquila colpirai solo la roccia", perchè si è mutuato un esempio proveniente da scritti esoterici che ha senso solo se rapportato ai massimi raggiungimenti dell'evoluzione spirituale, ovvero conoscenza del Divino. Il segreto della felicità, secondo i grandi saggi dell'umanità, parrebbe proprio venire dall'eliminazione delle aspettative e dei desideri. E allora come far "mecciare" gli standard elevati/giuste aspettative di cui sopra con tali consigli? La risposta è semplice. Non "mecciano". C'è un solo modo per far funzionare le cose, sul lavoro e nella vita: lavorare al meglio, sempre con la massima concentrazione, per se stessi e non con lo scopo di fare bella figura o essere notati,  ma  per il piacere di fare le cose bene. Se saremo stati coerenti con questo principio (che è poi quello dell'agire senza aspettarsi il risultato dell'azione di Arjuna nella Gita, o quello di "dare senza aspettarsi nulla in cambio" che è quello del vero amore universale, del Giglio nel campo del vangelo di Matteo) i risultati verranno da soli. E non rischieremo pericolosi stress e depressioni. E poi, infine, perchè mettere dei limiti alla divina Provvidenza? la legge che la sovrintende agisce anche sul lavoro, che è uno dei più importanti piani di esistenza dell'uomo.

9 Essere consapevoli dei propri valori

Ognuno possiede dei valori propri. Essi rappresentano tutto ciò a cui viene attribuita importanza nella vita dei singoli. Possono variare nell’arco della propria esistenza ma l’importante è essere sempre consapevoli di quali essi siano. Non esistono valori più giusti di altri, l’importante è che siano i propri, e conoscerli è l’unico modo per poter prendere le giuste decisioni.

"Uomo, conosci te stesso" era scritto sul tempio di Delfi. La consapevolezza dei propri valori è senz'altro una meta da raggiungere, ma la sua importanza è pari alla conoscenza dei propri limiti, ed ambedue sono basilari per prendere decisioni. Ovvero la consapevolezza, la conoscenza di se stessi, è un tutt'uno che non può riferirsi ai soli propri valori. Perseguire questa meta è tutt'altro che semplice e l'azienda non aiuta per nulla questo obbiettivo, spesso pretendendo o enfatizzando qualità e comportamenti che non sono consoni all'individuo. Anzi, delle precipue qualità delle persone, il famoso motto "la persona giusta nel posto giusto" è piuttosto disatteso. Questa conoscenza di se stessi può essere perseguita e raggiunta solo a livello personale, con un serio lavoro di introspezione e di ricerca interiore. Poi certamente la si potrà applicare anche sul lavoro. Solo l'uomo di qualità fa qualità anche in azienda.

10 Scegliere il giusto gruppo di appartenenza

Conoscere se stessi è importante; conoscere le “cose” è importante; essere consapevoli di come si è venuti a conoscenza di determinate “cose” è altrettanto importante. A questo punto entra in gioco il gruppo di appartenenza. Tutte le persone dovrebbero essere in grado di riconoscere il gruppo al quale sentono di poter appartenere nel corso della loro vita. Secondo l’autore è il modo che esse hanno per innalzarla ad un livello superiore.

Questo punto è assai oscuro. Mi pare del tutto inutile. Spesso nelle organizzazioni legarsi ad un carro, parteggiare per una cerchia, può essere molto controproducente se la cerchia "cade in disgrazia", ovvero ha la peggio nelle lotte per il potere che sempre dilaniano le aziende. Io credo che sia invece importante cercare di essere equidistante, amico di tutti pur non incedendo in eccessive confidenze, consapevoli che la riservatezza è un bene rarissimo nelle realtà aziendali. "Conoscere le cose" significa sempre non credere mai a ciò che ci viene riportato ma rendersi sempre conto di persona dei fatti e delle situazioni, e decidere solo in base alla conoscenza diretta dei fenomeni.

11 Aiutare le persone ad aiutarsi

E’ interessante notare quante persone posseggano un immenso bagaglio di informazioni e conoscenze che utilizzano unicamente per ottenere il proprio vantaggio competitivo. Nella maggior parte delle aziende, se qualcuno si rivolge ad un collega per risolvere un problema, egli, anziché spiegargli come agire, tende a risolverlo da sé. Le persone sono generalmente ben felici di vedere arginata la propria difficoltà, ma lo sarebbero di più se imparassero a risolverla autonomamente. Provvedendo ad insegnare ai propri colleghi come essere autonomi in caso di problematiche varie, non solo si otterrebbe la soddisfazione relativa alla propria capacità di risoluzione tecnica dei problemi, ma ci si sentirebbe appagati per aver dato il proprio aiuto ad un collega in un momento di bisogno.

Condividere le proprie competenze, le informazioni, le conoscenze, sarebbe veramente il sale della cooperazione, uno dei mezzi principali per ottenere i massimi obbiettivi da qualsiasi team di lavoro. Purtroppo in questo mondo ormai dilaniato dalla crisi e dall'ossessione della riduzione del personale e della "spada di Damocle" dell'essere rimpiazzati con giovani poco costosi e temporanei, questa gioiosa propensione alla condivisione ha senso? Ovvero funziona nei 2 sensi o solo a senso unico? La cosa funziona se fa veramente parte anche del background della leadership aziendale, ovvero se è praticata da lungo tempo, fin da tempi non sospetti. Se invece è il frutto obbligato dei cambiamenti dell'ultima ora occorre stare molto attenti. Non dico che occorra essere "omertosi" sulle proprie conoscenze ma, certamente, essere molto cauti nel diffonderle e, soprattutto, valorizzarle, cercando di far capire il loro peso (peso mai ammesso da chi in alto non vuole rischiare di sentirsi chiedere nulla).

12 Essere lettori

Qualcuno ha detto che tutti i leader sono buoni lettori. Secondo l’esperienza di Rajesh Setty, tutte le persone di successo effettivamente leggono molto. La lettura permette di imparare moltissime cose, soprattutto se focalizzata sul proprio mondo professionale. Secondo l’autore è importante avere una lista di libri che si intende leggere in uno specifico arco di tempo. Il consiglio è quello di iniziare prendendo spunto dalle letture affrontate dai propri “benchmark”, secondo Setty in questo modo è sorprendente riconoscere quante cose si possono imparare su di essi e sul proprio lavoro.

D'accordo essere buoni lettori, questo di per sè costituisce un "plus" significativo in quanto garantisce come minimo una certa predisposizione all'approfondimento e alla pazienza. Ma altrettanto determinante è cosa si legge. Leggere -ad esempio- solo in modo "professionalmente focalizzato", mi pare non necessariamente foriero di successi professionali, che spesso traggono spunto proprio da idee innovative provenienti da settori diversi dal proprio mondo professionale. E' ovvio che ciò non significa rinunciare all'approfondimento del proprio settore di appartenenza, ma occorrerebbe proprio uscire finalmente dai canoni tanto cari alle aziende che pretendono l'esperienza "almeno quinquennale" della mansione, e che non apprezzano i curriculum di candidati che hanno spaziato in più rami aziendali. Pretendere che i lavoratori si adattino a qualsiasi lavoro, come viene sbandierato in queste situazioni di crisi, soprattutto per i giovani, ma poi pretendere anche l'esperienza pluriennale nello stesso ambito, sa molto di inganno e smaschera un concetto di flessibilità del tutto a senso unico. 
Bene dunque informarsi e leggere, ma a 360 gradi e anche se le aziende non lo premiano (una cultura eccessivamente aperta ed elastica per certi versi è anche poco apprezzata, per non parlare della capacità di critica, che la lettura professionale consigliata qui sopra pur accresce, e che deve essere sempre attentamente occultata).

13 Pianificare attraverso i risultati

Le persone sono sempre convinte di avere troppe cose da fare durante il giorno ma spesso arrivano alla fine della settimana con ben pochi risultati ottenuti. La colpa è attribuibile al fatto che spesso pianificano le attività senza focalizzarsi sui risultati.
E’ necessario quindi pianificare la settimana partendo da ciò che si vuole ottenere alla fine di essa, e non dalle attività che devono essere svolte.

Secondo questo concetto allora basterebbe dirsi: questa settimana devo fatturare il doppio, produrre 10 volte tanto, ottenere il doppio dello stipendio e andare d'accordo con tutti, per ottenere il tutto? Non ho mai sentito una “fregnaccia” peggiore. Occorre definire, sì, degli obbiettivi, questo dice la base dell'organizzazione, e poi definire con precisione le risorse necessarie per ottenerli, tra cui le attività e il tempo necessario. Se gli obbiettivi sono molti la pianificazione delle attività sarà ancora più importante, e di certo non potrà essere settimanale. Dopo aver terminato la pianificazione occorre dimenticarsi completamente del risultato, e concentrarsi totalmente sulla riuscita della singola attività che, se fatta al meglio, porterà al migliore risultato finale in modo automatico e soddisfacente. Pensare al risultato, invece, non fa che stressare ulteriormente chi opera, di fatto ostacolando il raggiungimento dell'obbiettivo. E' la stessa differenza abissale che c'è tra il positivo "occuparsi" e il negativissimo "preoccuparsi".

14 Pensare a lungo termine

Secondo l’autore, le persone incontrano serie difficoltà a proiettare se stesse e le loro attività nel lungo termine, perciò finiscono per darsi obiettivi a scadenza troppo breve. Il consiglio: preparare un piano di azioni e obiettivi da distribuire nell’arco di un anno. Con un po’ di disciplina e impegno si possono ottenere risultati sorprendenti.

Definire obbiettivi e pianificare le relative attività e risorse a lungo termine, e oltre l’anno, sarebbe veramente l’optimum. Proprio nel mondo aziendale, quello delle società, dalle piccole fino alle grandi multinazionali, tutto viene piegato agli interessi di breve e brevissimo periodo. Una delle ragioni principali della crisi che dal 2008 ha colpito l’occidente industrializzato: la ricerca del profitto di breve periodo collegato a premi giganteschi ai manager, ha completamente azzerato l’attenzione ai fenomeni di ritorno negativi di azioni premianti solo nel breve. In parole semplici “ora porto a casa questo profitto, chissenefrega se si basa sulla totale incapacità futura di far fronte al debito, ora vale molto e me lo accredito, il futuro non sarà un mio problema”.
E se in azienda la politica è di breve periodo sarà sempre molto controproducente, per la propria sopravvivenza in essa, non ottemperare ad azioni apparentemente positive che abbiano ripercussioni negative solo nel futuro. Un classico esempio sono le richieste di denaro per investimenti, che spesso vengono rifiutati se non hanno ritorni immediati. Invece sono proprio i momenti di crisi, quelli in cui occorre investire anche senza ritorno immediato, quelli giusti per preparare la successiva (degli anni futuri) capacità di “rimanere sul mercato” e fare affari.
Pensate a lungo termine, sì, ma per le vostre specifiche attività personali, e se possedete voi una realtà imprenditoriale o se siete autonomi decisionalmente, ma non se siete dipendenti, questa è la triste realtà cui adeguarsi.

15 Andare incontro all’incertezza con serenità

La vita pone le persone di fronte a situazioni insicure e a sfide impreviste, provocando in alcune di esse una forte sensazione di panico. Nel corso di una giornata lavorativa, per esempio, le persone si trovano spesso a dover affrontare un problema di cui non conoscono la soluzione. Iniziano così le preoccupazioni, quel problema dovrebbe fare parte del loro lavoro e non è possibile che non siano in grado di risolverlo. Il consiglio di Setty: quando ci si trova di fronte a situazioni del genere bisognerebbe provare a rispondere semplicemente che non si è sicuri di conoscerne la soluzione. Attraverso questo atto di “umiltà”, potrebbero iniziare a venir fuori una moltitudine di soluzioni possibili e delle quali poter discutere con la massima serenità.

Un atteggiamento umile non può che essere il migliore per noi, tuttavia ciò che non dice il consiglio è che occorre che questo sentimento, questo sano approccio esistenziale, deve essere mantenuto nascosto, non può essere manifestato. L’azienda –ci viene ricordato spesso- non paga le persone per ascoltare i loro dubbi o tentennamenti, pretende soluzioni veloci, corrette ed efficaci, per qualsiasi evento rientri nell’ambito cui ci ha preposto. La frase del consiglio dovrebbe essere semplicemente modificata così: “quando ci si trova di fronte a situazioni del genere bisognerebbe provare a rispondere A SE STESSI semplicemente che non si è sicuri di conoscerne la soluzione”. L’azienda è il regno dell’apparenza, dove manifestare SEMPRE sicurezza è richiesto. Solo al di fuori di essa vale il concetto: “Per sapere se una persona è veramente sicura di sé, osservala, e nota se ha il coraggio di manifestare semplicemente i suoi dubbi quando li ha”. Purtroppo.

16 Fare le giuste domande

Le domande hanno un enorme potere. Spesso capita che la domanda giusta posta al momento giusto possa cambiare totalmente il percorso delle persone. Altrettanto importanti sono le domande che esse si pongono nel momento in cui non raggiungono determinati obiettivi. Nella maggior parte dei casi, queste domande non sono quelle giuste e, secondo l’autore, è il caso di riproporle:
1) La domanda “Cosa sto ottenendo?” dovrebbe essere modificata in: “Chi sto diventando?”
2) “Perché sta succedendo proprio a me” in: “Cosa posso imparare da questo?”
3) “Perché non riescono a capirmi?” in: “Come posso comunicare per fare in modo che mi comprendano?”
Le persone dovrebbero quindi ripensare alle domande che usualmente si pongono, per cercare di renderle maggiormente efficaci.

Il titolo fa supporre che si tratti delle domande che si rivolgono verso l’esterno, mentre invece il seguito parla per lo più delle giuste domande da rivolgere a noi stessi. Ovviamente fare le domande giuste, formularle nel modo migliore per ottenere le migliori risposte, è molto importante, pur se tutt’altro che semplice. Le domande in generale dovrebbero essere il più semplici e brevi possibile, pur non lasciando adito a dubbi sulla loro interpretazione. Capirete già quanto sia difficile, sono due aspetti contrapposti. Per cui potremmo dire che “fare domande è un arte, ancora di più che dare giuste risposte”. In azienda fare troppe domande non è buona norma. L’impressione di sicurezza pretesa (vedi punto precedente) potrebbe esserne scalfita. Però meglio fare una domanda in più piuttosto che rischiare di non aver capito. Anche qui la sfida tra i due opposti è certamente non banale da interpretare. Occorre sempre fare attente valutazioni sull’interlocutore, e agire di conseguenza (meno domande a chi tende al giudizio frettoloso e prevenuto).
Per quanto riguarda le domande a se stessi invece, occorre dire che è corretto un approccio come quello fatto intravedere dagli esempi. Occorre concentrarsi sui propri meriti/demeriti per  farsi un’idea corretta dei termini della questione. Non possiamo modificare le persone o l’ambiente esterno, non abbiamo giurisdizione, ce l’abbiamo solo su noi stessi. Quindi il modo migliore per interagire è adattarsi, cambiare noi stessi, dato che è anche l’unico cambiamento di cui abbiamo la responsabilità. Ecco allora che quando qualcosa va storto la prima domanda da porsi è “cosa avrei potuto fare (o non fare) io per migliorare le cose?”. Contestualmente occorre eliminare il concetto di “fortuna” e “sfortuna” che tanti danni induce nel mondo. Nulla accade per caso. Darsi delle spiegazioni e trarre degli insegnamenti è molto meglio che imprecare inutilmente contro il nulla.

17 Affidarsi ad un coach

Secondo l’autore, ogni persona dovrebbe prendere in seria considerazione l’idea di affidarsi ad un mentore nell’arco della propria vita e per la propria attività di business. Il bello della relazione che si instaura con il proprio coach/mentore è che egli non fa programmi, il suo unico obiettivo è quello di migliorare l’efficacia delle persone. Affidarsi ad un mentore è un esempio di progetto a lungo termine, i cui risultati non possono essere visti nel futuro immediato ma il cui effetto nel tempo è inestimabile.

Questo punto è piuttosto oscuro oltre che contraddittorio: cosa vorrebbe dire che “mentore non fa programmi” ma che “affidarsi ad un mentore è un esempio di progetto a lungo termine” ? Forse si tratta di una sintesi eccessiva o di una traduzione sbagliata. Il mio parere è che un conto è un mentore per la propria vita, esterno all’azienda, una guida spirituale, un maestro, che è quanto meno necessario, oltre che una grande fortuna trovare. Un mentore aziendale invece costituisce un tema più arduo. In azienda si trovano anche persone di ampie vedute e con professionalità adeguate al compito, ma occorre fare molta attenzione e valutare la fiducia nel mentore prescelto, o che ci ha prescelti, nel tempo, e darsi un adeguato periodo di frequentazione prima di affidarsi con fiducia ai suoi consigli.

18 Acquisire rilevanza

La rilevanza è il fattore che determina la gradevolezza delle persone. Per evitare i terribili cali di attenzione, qualsiasi interazione con i propri clienti, colleghi o capi dovrebbe essere focalizzata sulla ricerca della rilevanza degli argomenti di cui discutere. Per renderlo possibile occorre interessarsi alle persone con cui si entra in contatto. Solo in questo modo si potrà conoscere cosa essi ritengono sia rilevante, piuttosto che concentrarsi unicamente sugli argomenti di proprio interesse.

E’ assolutamente certo che interessarsi alle persone, comprenderle, e parlare degli argomenti rilevanti per loro aumenta a dismisura la nostra gradevolezza ai loro occhi. Non è detto però che ad essere rilevanti siano sempre i temi degli altri, anzi, spesso essere ottimi ascoltatori significa prestare il fianco ad essere inondati dei temi altrui, spesso anche quelli di minima rilevanza, se non inutili o deleteri. E quante volte scopriamo persone disposte ad accompagnarsi a noi fino a quando siamo disponibili ad ascoltare, e appena iniziamo ad esporre un nostro problema si girano dall’altra parte o cambiano argomento per portare di nuovo il discorso su temi cari a loro, dimostrando di non avere alcun interesse per noi e le nostre “rilevanze”? Ecco che allora questo “acquisire rilevanza” così come è spiegato qui risulta essere un esercizio di tipo ipocrita, assolutamente utile in azienda, per cercare di compiacere chi ci interessa, ma non può essere adeguato all’esistenza e alle amicizie. In un rapporto di amicizia la rilevanza è reciproca, il dare rilevanza, pur senza aspettarsi nulla in cambio, produce automaticamente rilevanza di ritorno e il rapporto così equilibrato genera la vera amicizia, il vero rapporto. Se eseguito invece a senso unico diventa un mero escamotage per blandire e rendersi interessanti a puro scopo egoistico.


19 Ritornare velocemente sui propri passi

I fallimenti sono all’ordine del giorno, ogni storia di successo presenta qualche piccolo fallimento al suo interno ma ciò che permette ad una persona di distinguersi è la capacità di rialzarsi e ritornare a testa alta sui propri passi, con estrema rapidità, per ottimizzare il proprio percorso. La funzione di ogni fallimento è quella di insegnare e di imparare a migliorarsi sempre.

Punto ineccepibile. Peccato che spesso a non essere dell’idea siano proprio i datori di lavoro o i manager della situazione, spesso assolutamente incapaci di tollerare il minimo errore, a loro volta causa del tanto utilizzato metodo nostrano del “non decidere”, per la serie “se non decido nulla, la colpa non potrà mai essere mia”. Sull’accettazione degli insuccessi occorrerebbe fare la necessaria formazione alla maggior parte della classe dirigente nostrana, sempre pronta a giustificare i propri errori e a buttarsi a corpo morto alla prima defaillance altrui per dimostrare la propria supremazia.

20 Guidare un’iniziativa volontaria

Generalmente per le persone risulta difficile prendere iniziative se non si trovano in una posizione di potere, ma intraprendere il ruolo di guida di un’iniziativa volontaria potrebbe rappresentare il giusto compromesso. Prendere parte a questo tipo di iniziativa guidando un team di volontari, significa che:

A) La maggioranza del gruppo sarà coinvolto in essa non per denaro ma perché crede nella causa;
B) Ogni membro del team è libero di abbandonare l’impresa in qualsiasi momento;
C) Ogni membro del team sta già facendo più del necessario, rispetto al proprio lavoro;
D) Ogni membro può offrirsi volontario per altre situazioni.

Allo stesso modo, ottenere successo grazie ad un’impresa volontaria garantisce una serie di vantaggi, quali:

E) La persona avrà investito il proprio tempo in una giusta causa
F) Pochissime persone sono disposte a guidare un’iniziativa volontaria, per cui, chi decide di farlo si è già distinto dalla massa.
G) Tale iniziativa crea un ottimo ciclo di relazioni in ambito professionale
H) Rappresenta un’ottima possibilità per esercitare le proprie capacità di leadership.

Spendersi per un’iniziativa volontaria al di fuori dell’azienda, meglio se di alto livello etico, come volontariato o associazioni di tipo benefico o spirituale, è senz’altro utile. Esserne la guida può non essere sempre semplice, se non magari velleitario in molti casi, dato che per guidare con successo un’iniziativa che coinvolga altri richiede qualità e conoscenze spesso non così diffuse. Ben venga l’impegno volontario e personale nella società e nella vita, come presa di responsabilità, desiderio di imprenditività e/o volontà di migliorare il mondo in cui viviamo, ma diversamente da questo tale generico punto può prestarsi a troppe interpretazioni contrastanti. Esagerando, ma solo per farmi capire, prendere il ruolo di guida per una propria iniziativa di rapina a una banca essendo il leader della banda potrebbe non essere il top…
In ambito lavorativo esprimere e guidare iniziative proprie e volontarie che coinvolgano colleghi vari può essere fatto ma con mille cautele. Se non si tratta della colletta per il matrimonio di turno o per l’organizzazione di una cena tra colleghi, occorre fare molta attenzione ad avere l’idea giusta, che non leda le prerogative di nessuno, che sia attenta alla mission aziendale e gli si adegui perfettamente, che sia gradita a capi e colleghi, che sia utile e non faccia sprecare tempo e risorse, che non presti il fianco a critiche e gelosie eccetera eccetera. In pratica è impossibile per un “peones aziendale” se non nell’ambito di una responsabilità precisa che preveda proprio avere delle iniziative volontarie (come per i responsabili di qualsiasi livello). Le attenzioni di cui sopra vanno però poste  comunque in essere. 


21 Bilanciare innovazione e continui miglioramenti

Nella maggior parte dei casi se le innovazioni apportate ad un progetto sono incrementali, quindi si agisce poco alla volta, si rischia di passare totalmente inosservati. Ma, allo stesso tempo, le innovazioni radicali rappresentano un pericolo da non sottovalutare. Il segreto è quello di raggiungere il giusto equilibrio tra l’apporto di innovazione e il continuo miglioramento della stessa, attraverso il ciclo “Innovazione -Miglioramento continuo- Innovazione”.

Punto ineccepibile. Se il progetto è nostro o ci vede protagonisti occorre equilibrare innovazione e conservatorismo a seconda dei poteri che ci sono stati delegati e dei rapporti politici aziendali, se il progetto ci vede come gregari, ovvero aggregati a leader di vario genere, occorre essere innovativi senza mettere in ombra i leader ma sufficientemente individualisti da non prestarsi al fatto che le nostre buone idee vengano “rubate” e fatte proprie da essi o da altri. Tali equilibrismi sono tutt’altro che semplici. Barcamenarvisi con efficacia richiede anni di esperienza.

22 Imparare a vendere

Parlare della “vendita” come modo per distinguersi può sorprendere molte persone, soprattutto quelle che non operano in ambito commerciale. Ma, secondo l’autore, “il vendere” non è relazionato alla vendita di un prodotto. Ogni persona si trova quotidianamente a dove vendere qualcosa: una propria idea, il proprio punto di vista, le proprie capacità di esecuzione di un determinato compito. Per cui, affinare questa abilità è una delle chiavi del successo personale.

Assolutamente vero, alla base di tutti i corsi motivazionali sulla vendita, che in primis è vendita di se stessi e solo successivamente vendita di qualsiasi altra cosa. Sembrerebbe tutto bello e giusto, ed in una organizzazione come l’azienda questo è uno dei giochi che occorre saper giocare per sopravvivere. Occorre solo essere consapevoli che NON è assolutamente vero che sia necessario vendere qualcosa e quindi vendere se stessi con appositi quanto ipocriti comportamenti. Cosa è importante? Essere o apparire? Solo se fosse vera la seconda occorrerebbe per forza vendere al meglio se stessi. Ma se si è veramente qualcuno in essenza, se si è autorevoli per merito e non autoritari per mandato, se ci si comporta secondo principi etici e valori spirituali, se si è insomma, non occorre vendersi, si viene riconosciuti automaticamente.


23 Imparare il “sistema di pensiero”

Partendo dalla definizione di sistema del biologo australiano Ludwig von Bertalanffy, secondo cui esso rappresenta un’entità che mantiene la sua esistenza attraverso la mutevole interazione di ogni sua parte, Rajesh Setty definisce il “sistema di pensiero” come ciò che permette alle persone di comprendere di essere le parti costituenti il sistema organizzazione e, in quanto tali, di comprendere gli effetti delle loro azioni sull’intera organizzazione, affinché tali azioni siano perfettamente coordinate tra loro al fine di rispettare l’integrità dell’organizzazione stessa.

Tale indicazione è profondamente corretta in un sistema, in un’organizzazione che abbia connotati etici profondi e che rispetti il valore dell’essere umano. Ma se l’organizzazione tende a prevaricare, non rispetta gli individui e li usa come merce, sfruttandoli e liberandosene appena non servono in nome dell’avidità e del profitto, quanto è corretto “comprendere il sistema pensiero per rispettare l’integrità dell’organizzazione stessa”? In questo periodo in cui tante realtà spostano le loro attività all’estero per avere maggiori guadagni, riducono il personale senza guardare a bisogni e necessità familiari, in cui il sistema Stato (anche questo è un’organizzazione per cui dovrebbero valere i principi sacrosanti di rispetto per la sua integrità) non fa nulla per garantire chi perde il lavoro e le famiglie, e prima ancora per aiutare le stesse aziende che si trovano senza aiuti e senza politiche adeguate, “uniformarsi al sistema pensiero” sa molto di “lavaggio del cervello”. Si percepisce l’intento di chi ha interesse affinché passi il “pensiero unico”, quello dei media asserviti totalmente -con dissenso bandito- ai poteri forti che vogliono assoggettare i popoli con potenti metodi subliminali in nome di fantomatici diktat economici, di leit motiv tipo T.I.N.A. (non ci sono alternative, ce lo chiedono i mercati, ce lo chiede l’Europa, non ci sono soldi, il debito deve essere pareggiato, eccetera) che nascondono la vera realtà: garantire un continuo e possibilmente sempre maggiore profitto a un’élite di potenti.

24 Allontanarsi dalle “offerte gratuite”

Spesso alle persone vengono fatte offerte che apparentemente non hanno alcun costo. La considerazione che l’autore ha di tali proposte è la seguente:
A) Niente è gratuito. Ogni cosa ha un prezzo che deve essere pagato. Il costo non è necessariamente rappresentato dal denaro.
B) Spesso ciò che è gratuito lo è perché il suo valore è pari a 0
C) Le persone dovrebbero sempre ricordare che una volta che decidono di accettare qualcosa che viene dato loro gratuitamente, inconsapevolmente si scatena al loro interno l’istinto del contraccambio.
D) Se ciò che viene dato gratuitamente porta in se qualche tipo di valore, chi è che se ne assume il costo e perché lo sta facendo?
Di conseguenza, se l’offerta dovesse risultare davvero accattivante, prima di accettarla le persone dovrebbero riflettere su come intendono restituire il favore.

Ineccepile, nessuno da nulla per nulla, soprattutto nelle organizzazioni basate sul profitto. Ma se anche fosse, che qualcuno ci regala qualcosa per pura filantropia, occorre fare i conti, oltre che col punto C), anche con una legge non scritta che prevede di essere automaticamente in debito se abbiamo ricevuto qualcosa, al di là delle intenzioni di chi dona e di chi riceve. Qualsiasi dono deve essere dunque attentamente vagliato, e accettato solo tenendo ben presente che dovremo restituire in ogni caso.

25 Influenzare gli influenzatori

Nella maggior parte dei casi, quando le persone vogliono portare avanti la propria idea cercano sempre di focalizzarsi sulla persona che detiene il potere decisionale. Questa “tattica” il più delle volte hai suoi buoni risultati ma, secondo l’autore, per ottenere una maggiore quantità di consensi, nonché il coinvolgimento di un gruppo più ampio di persone, ci si dovrebbe impegnare per catturare l’attenzione degli influenzatori all’interno del gruppo. Sono coloro le cui scelte e decisioni, vengono seguite dal resto del team.

Volendo a tutti i costi portare avanti la propria idea questo è un ottimo metodo. A monte però, prima di influenzare, dovremmo solo chiederci se la nostra è veramente un’ottima idea, e se da essa non ci sia nessuno che ne avrà a soffrire. Non avere a che fare con transazioni che non portino beneficio a tutti gli interessati, o che perlomeno non ledano nulla per nessuno, è prioritario per chi ha capito la legge di azione e reazione. Ovviamente se l’idea negativa fosse di qualcun altro occorre far notare il problema, ed eventualmente votare contro, se possibile. Se poi a maggioranza l‘idea fosse approvata noi non ne avremmo colpa e non ne saremmo influenzati secondo la suddetta legge.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Molto interessante, approfondito, formativo e... incoraggiante, caro Maurizio, grazie!
Solo un suggerimento: spesso è raro trovare il tempo per leggere pezzi così lunghi... perché, proprio per permettere ai tuoi lettori di non perdersene nessuna parte, non pensi di sviluppare i temi in più "puntate"?
Personalmente lo troverei molto utile!
Grazie comunque.