Bisogna utilizzare l’avanzo primario (l’eccedenza delle entrate fiscali sulla spesa, esclusi gli interessi sul debito), sfondando il vincolo europeo del deficit al 3%. Nelle condizioni date, non ci sono altre strade altrettanto efficaci, certe, per rilanciare l’economia. Infatti, nessuno ormai può più negare quanto una parte della accademia italiana ha chiarito già tre anni fa, con la famosa “Lettera degli economisti”: le politiche di austerità sono fortemente recessive e fanno sprofondare l’Europa nel baratro. Quanti sostenevano che i moltiplicatori della politica fiscale – che appunto misurano l’impatto dei tagli e delle tasse sulla produzione nazionale – fossero trascurabili (o addirittura negativi, secondo la favoletta per cui l’austerità favorirebbe la crescita) sono stati sbugiardati nella maniera più plateale. Come ha scritto Krugman, mai nel ring della storia del pensiero economico un match teorico si era chiuso con un ko così netto. I keynesiani, favorevoli alle politiche anticicliche di stimolo della domanda, hanno messo al tappeto i falchi della austerità.
Si dirà che lo fa per calcolo politico. Si dirà che ha governato per anni adeguandosi all’austerità. Si dirà che parla fuori tempo massimo. E si diranno altre cose più o meno sensate. Ma saremmo intellettualmente disonesti se negassimo che questa volta ha ragione Berlusconi: la politica economica del governo dovrebbe effettivamente guardare oltre i vincoli europei.
Per quanto mi riguarda, credo di averlo già chiarito pochi giorni fa sul “Sole 24 Ore”: bisogna utilizzare l’avanzo primario (l’eccedenza delle entrate fiscali sulla spesa, esclusi gli interessi sul debito), sfondando il vincolo europeo del deficit al 3%. Nelle condizioni date, non ci sono altre strade altrettanto efficaci, certe, per rilanciare l’economia. Infatti, nessuno ormai può più negare quanto una parte della accademia italiana ha chiarito già tre anni fa, con la famosa “Lettera degli economisti”: le politiche di austerità sono fortemente recessive e fanno sprofondare l’Europa nel baratro. Quanti sostenevano che i moltiplicatori della politica fiscale – che appunto misurano l’impatto dei tagli e delle tasse sulla produzione nazionale – fossero trascurabili (o addirittura negativi, secondo la favoletta per cui l’austerità favorirebbe la crescita) sono stati sbugiardati nella maniera più plateale. Come ha scritto Krugman, mai nel ring della storia del pensiero economico un match teorico si era chiuso con un ko così netto. I keynesiani, favorevoli alle politiche anticicliche di stimolo della domanda, hanno messo al tappeto i falchi della austerità. Insomma, oggi vi è una clamorosa contraddizione tra la condizione in cui siamo, per molti aspetti peggiore di quella del ’29, e l’idea di proseguire con tagli della spesa pubblica (che, si badi bene, è già a livelli inferiori della media europea, considerando anche la spesa per interessi) e aumenti delle tasse.
L’azzeramento dell’avanzo primario, costruito con le politiche di lacrime e sangue, vale oltre 35 miliardi di euro e avrebbe un effetto benefico rilevante per l’economia italiana. Quanto benefico? Ebbene, utilizzando l’intervallo stimato da Olivier Blanchard – l’illustre quanto moderato capo economista del Fondo Monetaria Internazionale – l’effetto espansivo sul Pil italiano sarebbe, nel giro di 9-15 mesi, variabile tra i 34 e i 62 miliardi di euro, cioè tra i 2 e i 4 punti di Pil, con un valore medio superiore ai 45 miliardi di euro. Ma quest’ultima sarebbe una stima davvero molto prudente, se è vero che un ulteriore recente studio dello stesso Fondo Monetario Internazionale considera che il moltiplicatore della spesa in Italia, in una condizione recessiva come quella in cui siamo, dovrebbe assumere molto più probabilmente un valore intorno al massimo dell’intervallo proposto da Blanchard. Per non parlare delle stime compiute sugli effetti delle politiche espansive di Obama (l’American Recovery and Reinvestment Act) che sono arrivati ad individuare moltiplicatori ben più ampi, pari a 3.
A quanti osserveranno che questa manovra farebbe incrementare il rapporto tra deficit e Pil, ricordiamo che un intervento di questo genere avrebbe ampi effetti retroattivi positivi. Intanto, la crescita del Pil tenderebbe ad arginare significativamente l’aumento dei rapporti di finanza pubblica. E, d’altra parte, le entrate fiscali aumenterebbero non meno di un punto di Pil, come conseguenza automatica della crescita. A coloro che vivono nell’incubo del debito pubblico, vorrei piuttosto ricordare che nella storia italiana il debito raramente è cresciuto velocemente come in questo periodo di austerità e che (per quanto il paragone sia in buona misura improprio) se una impresa è indebitata il modo razionale per risolvere la questione può ben consistere nello spendere qualcosa in più per tentare di incrementare il fatturato, riducendo il peso dei debiti. A chi si chiede di quanto aumenterebbe lo spread sui titoli del debito pubblico, replico che si tratta di questione più politica che tecnica, perché se la Banca Centrale Europea assumesse un profilo accomodante gli spread potrebbero addirittura ridursi.
Una strada difficile da percorrere? Certamente. Ma è la sfida cui siamo sfortunatamente chiamati e il resto sono frottole.
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BERLUSCONI ABBRACCIA KRUGMAN MENTRE IL PD RESTA FERMO SULLA LINEA DI MENGELE
Di Berlusconi si può pensare, legittimamente, tutto il male possibile ma non si può negare che si tratti di un uomo che possiede intuito, lungimiranza e coraggio. “Letta sfori i parametri europei”, ha detto l’altro ieri un Cavaliere in forma smagliante, “tanto quelli (cioè il politburo di Bruxelles, ndm) non ci cacciano”. Il capo del Pdl ha racchiuso in pochissime parole un programma politico molto migliore, esauriente e concreto, rispetto a tutte le fumisterie messe nero su bianco da combriccole di non meglio precisati “saggi” sempre alla ricerca di sospirati seggi. Senza cioè mettere in discussione alcune scellerate regole europee, pensate proprio per realizzare lo scempio che viviamo, l’agognata “crescita” rimarrà nei secoli uno sterile e vuoto esercizio retorico buono per rabbonire i citrulli. Se gli italiani avessero buona memoria, ricorderebbero certamente con orrore le pacchiane campagne mediatiche che accompagnavano i meschini provvedimenti adottati dal governo degli “ottimati” guidati dallo svampito reazionario Monti. Chi di voi ha dimenticato, ad esempio, il fantasioso progetto “Cresci Italia” che doveva seguire a ruota la medicina amara contenuta nel vagamente biblico decreto “Salva Italia”? Abbiamo visto come è andata a finire. Enrico Letta si è posto su un piano di perfetta continuità rispetto alle pantomime del precedente governo, privilegiando provvedimenti-spot perfettamente inutili, quando non dannosi, da spacciare per grandi riforme in grado di fare uscire il Paese della “crisi”. Ma quello che ancora molti non hanno capito è che Letta, sull’esempio di Monti, esercita il potere proprio in quanto flaccido garante di uno status quo che non vuole e non può mettere in discussione alcuni capisaldi concettuali che garantiscono il progressivo svuotamento del benessere diffuso tipico delle società occidentali, vero quanto dissimulato fine di questa tragedia moderna che oramai soltanto i ciechi e gli stupidi derubricano a questione di natura meramente tecnico-economica. Rispettando cioè in ossequioso e servile silenzio la norma che impone il limite del deficit fino ad un massimo del 3%, unito alla diabolica elevazione del pareggio di bilancio a prassi di valore costituzionale, l’Italia non potrà che accelerare nella sua folle corsa verso l’abisso. Con buona pace dell’appena varato decreto “Fare” (ridere) che si occupa di motonautica, mediazione e qualche elemosina, mentre il paese brucia e si dispera. Enrico Letta, che è andato al G8 in Irlanda con la stessa eccitazione di un liceale alla gita del quinto anno (Obama crede in noi? Wonderful!), è costretto a muoversi come un equilibrista: da un lato deve garantire il mandato ricevuto provocando un ulteriore impoverimento della società italiana nel suo complesso (quindi deve aumentare l’Iva, confermare l’Imu e in aggiunta cominciare a tagliare servizi essenziali e universali che innervosiscono le élite); dall’altro deve tentare di occultare tali finalità filonaziste attraverso la mozione dei buoni sentimenti (lavoro ai ggiovani!), la diffusione di menzogne pelose e deresponsabilizzanti (non caricheremo le difficoltà sulle spalle delle future generazioni!), il tutto condito da un atteggiamento di recitata prostrazione, curiale e dimesso, che dovrebbe permettere al nipote di Gianni di continuare a rimanere in politica anche una volta terminato il lavoro sporco (Monti docet). Ora di fronte ad uno scenario del genere, è chiaro che le sortite tardive di Silvio Berlusconi rischiano di provocare salutari effetti destabilizzanti. Se la pubblica opinione dovesse mai comprendere che la crisi non è il risultato di una condanna divina bensì il frutto di una precisa e sadica scelta politica destinata a cambiare in peggio il volto del Vecchio Continente, le cose potrebbero improvvisamente prendere un’altra piega. Alcuni mi dicono: “Ma che credibilità ha uno come Berlusconi che prima accetta tutti gli ordini impartitigli dalla Bce (anticipo del pareggio di bilancio compreso) e poi cade dalle nuvole, denuncia l’insensatezza di alcune regole e cita perfino Krugman?” Nessuna rispondo io. Solo che il problema non è questo. Berlusconi era giustizialista ai tempi di Mani Pulite, garantista quando governava lui, turbo-liberista negli anni ruggenti della globalizzazione selvaggia e si accinge ora a morire keynesiano una volta metabolizzato il cambiamento del clima generale. Berlusconi non è un politico ma un uomo dall’olfatto prodigioso destinato a vivere in perenne simbiosi con un elettorato mutevole e disorientato sempre alla ricerca di un istrione pronto a ripetere quello che di volta in volta vuole sentirsi dire. A questo bisogna aggiungere un altro elemento non secondario: Berlusconi sa di essere nel mirino della massoneria reazionaria per ragioni che ho già ampiamente illustrato in alcuni articoli passati(clicca per leggere) e, nella speranza di ottenere una pace onorevole, minaccia di preparare una guerra lunga e logorante per tutti. Nel caso in cui questa sera la Consulta dovesse trovare un appiglio per scacciare i cattivi pensieri che ronzano nella testa del Cavaliere, lo “statista di Arcore” (ho scritto “statista” non “stalliere”) eviterà in futuro di toccare argomenti decisivi e sensibili. Ma se, come penso, gli ermellini daranno invece torto al capo del Pdl, già da domani ci sarà di sicuro da divertirsi. Berlusconi infatti scaricherà comprensibilmente tutta la sua frustrazione sul governo di Enrico Letta, creatura di quel Giorgio Napolitano che ha già ricevuto il conforto della Corte al fine di ordinare la distruzione delle intercettazioni intercorse tra lo stesso Capo dello Stato e l’indagato Nicola Mancino. Un detto calabrese dice che “si rispetta il cane per non fare torto al padrone”. Bisogna però capire fino a che punto questa massima vale. In ogni caso, aldilà delle intuibili motivazioni personali, la posizione di Berlusconi è ineccepibile. Mentre il Pd, sempre più confuso, inutile e dannoso, continua senza sosta a difendere le politiche del rigore in salsa comunitaria che provocano quotidiani suicidi. Meglio Berlusconi che afferma una verità oggettiva per perseguire interessi privati, di uno come Epifani che continua a difendere questo mostro di Ue magari perché realmente convinto della bontà di alcuni malefici dogmi. In conclusione, gli eventi inducono Berlusconi ad abbracciare e rilanciare per l’occasione le sacrosante analisi di Paul Krugman; mentre il Pd, cascasse il mondo, rimane nei secoli fedele a difesa delle posizioni di Mengele. L’esperimento per loro può evidentemente concludersi solo con la definitiva morte della cavia Italia.
Francesco Maria Toscano
19/06/2013
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