IL MONDO E' COME UNO SPECCHIO

Osserva il modo in cui reagisci di fronte agli altri. Se scopri in qualcuno una qualità che ti attrae, cerca di svilupparla in te stesso. Se invece osservi una caratteristica che non ti piace, non criticarla, ma sforzati piuttosto di cancellarla dalla tua personalità. Ricorda che il mondo, come uno specchio, si limita a restituirti il riflesso di ciò che sei.

venerdì 12 luglio 2013

Il bivio del Movimento 5 Stelle

LEGGO E RIPORTO PER OPPORTUNA RIFLESSIONE
Occorre riflettere sulle parole di Grillo, nella conferenza stampa di ieri 11 luglio (il solito monologo), dopo l’incontro con Napolitano, quando ha denunciato la crisi della democrazia, senza rendersi conto che non solo egli stesso è parte di quella crisi, essendo il neoleaderismo populistico e mediatico (che rende Grillo e Berlusconi fratelli gemelli) uno dei tratti di fondo della “postdemocrazia”; e senza neppure capire che le sue parole erano altrettanti attacchi alla democrazia, mentre deploravano la fine della democrazia
Qualcuno si è permesso di evocare Lenin, paragonandogli Beppe Grillo: io credo che il confronto corretto sia, piuttosto, con Benito Mussolini: costui nel 1914, quando ruppe di colpo (poi si scoprì che aveva ricevuto finanziamenti allo scopo) la linea del Partito socialista, contrario all’ingresso dell’Italia nel conflitto europeo, rivolgendosi al re, capo dello Stato, mandò questo messaggio: o ci date la guerra, o facciamo la rivoluzione. Ebbe la guerra. Che fu poi foriera della “rivoluzione” fascista: tra il ’19 e il ’22, il “duce” giocò sul doppio terreno: minaccia e uso della violenza, e ammissione della possibilità della conquista pacifica del potere. Forza e consenso, teorizzava, ancor prima di ascendere al governo. Grillo non pratica la violenza fisica, ma di quella verbale inzeppa i suoi comizi e il suo blog di capo supremo: e il discorso che ha fatto ieri inquieta, se lo si vuole prendere sul serio: senza di noi “la gente” prenderà i fucili; tale all’incirca il messaggio, che, al di là del richiamo implicito ai fucili padani del fu-leader della Lega Nord, contiene una minaccia che forse non fa paura a nessuno, nella sua forma ellittica, ma costituisce appunto una ulteriore delegittimazione del sistema. Grillo deve scegliere, rinunciando a mussolineggiare: o fuori delle istituzioni, smettendo però di minacciare la rivoluzione, ma tentandola concretamente: ogni rivoluzione minacciata genera controrivoluzione preventiva. Oppure sta dentro il sistema, ma non fingendo di essere fuori: quando ingiuria un Parlamento di “nominati”, si rende conto che i suoi deputati e senatori sono parte di quel sistema? Sono stati nominati come gli altri. E non si citi la burletta delle “parlamentarie”, che sono state un grottesco esercizio di finta democrazia dal basso. 
Con tutto ciò, pur ribadendo che tra le rivendicazioni di M5S tante sono perfettamente condivisibili, e pur salutando con favore anche l’arrivo di qualche volto nuovo nelle Camere, rimane il dilemma di fondo: il Movimento se si istituzionalizza, smette di essere quello che è, e rischia di perdere la sua carica dirompente che ne ha fatto la fortuna; ma se non si istituzionalizza, e rimane sotto il tallone di ferro della coppia G & C, rischia di morire prima di una seconda Legislatura. I “grillini” irridono ai sondaggi, e magari a ragione. Ma mi pare evidente che finora, dopo lo straordinario esito elettorale di febbraio, M5S ha dissipato una buona fetta del consenso e ha visto ridursi le sue potenzialità politiche, contribuendo alla ingovernabilità con le sue pretese di avere, in toto, il governo della nazione, senza alcuna alleanza o coalizione (anche questo un atteggiamento mussoliniano), aiutato in questo dalla stoltezza della dirigenza PD, e dalle furbizie berlusconiane. 


TUTTO L'ARTICOLO

l bivio del Movimento 5 Stelle

di Angelo d’Orsi

La giornata parlamentare del 10 luglio 2013, ha una sua importanza che non voglio definire certamente “storica”, ma con un suo rilievo. La concomitanza di due eventi diversi ha segnato la giornata in modo drammatico, ma anche (siamo pur sempre il Paese di Arlecchino e Pulcinella) grottesco: innanzitutto, il ricevimento da parte del capo dello Stato di un leader politico che non è formalmente investito di alcun ruolo istituzionale, e di un suo consigliere, che di mestiere fa il consulente pubblicitario et similia. Si è trattata di un’udienza del tutto irrituale, richiesta in modo non solo irrituale, ma quasi beffardo sul blog del leader in questione, e che dunque il presidente della Repubblica avrebbe potuto, e secondo qualcuno, dovuto non solo rifiutare, ma anzi neppure prendere in considerazione. 

Perché Napolitano ha ricevuto Grillo, dunque? Io credo l’abbia fatto con l’intenzione di “addomesticare la belva”, istituzionalizzare un movimento che è e si dichiara ostile e comunque estraneo alla democrazia liberale; e l’ha fatto, il vecchio politico navigato che siede al Colle, incurante dei rischi, di cui pure è consapevole, e fingendo di dimenticare le ingiurie, gli sfottò, gli sbeffeggiamenti che quotidianamente riceve sulla rete da parte di dirigenti e militanti di M5S. Dal canto loro, la coppia G & C, hanno chiesto udienza, e elegantemente bardati, nella loro Kia bianca lucidata a dovere, a vetri oscurati, si sono presentati al cospetto dei corazzieri del Quirinale, per due ragioni: la prima è puramente legata al marketing politico, davanti alle notizie di caduta costante di consensi al movimento e alla stessa perdita di visibilità in relazione a una penosa carenza di iniziativa politica (si dibatte da sei mesi sulla famosa diaria: ecco la prima occupazione degli eletti con la stella!); occorreva un coup de théatre, per riportare in prima pagina il Movimento e i suoi duci. In secondo luogo, si è trattato di una sfida a Napolitano e a tutta l’opinione pubblica: dimostrare che, per quanto si sia irriverenti e irriguardosi, monellacci della politica, la prima carica dello Stato non può negare un’udienza. Si è trattata insomma di una sfida. Vinta.

Vinta per giunta nel giorno in cui il Parlamento dava spettacolo pietoso, con un PDL sul piede di guerra, perché – inaudito! – la magistratura fa il suo dovere, nell’interesse collettivo: ossia applicare le leggi e tentare di impedire (ci riesce di rado, malgrado gli sforzi) che i processi vadano in prescrizione e gli imputati se la cavino senza arrivare alla sentenza (che, naturalmente, potrebbe pure assolverli: ma qui si tratta di un pluri-imputato che si difende dai processi, cercando di evitarli), mentre dal suo canto, il PD riusciva a “contrattare” un “Aventino mignon”, che oltre ad essere offensivo per le istituzioni, suona ridicolo. Già, il Partito “democratico”: non riesce a fermarsi nella china spaventevole che ha imboccato, e concede ai berluscones di recare una ferita al Parlamento e allo Stato di diritto che difficilmente si può concepire in una qualsiasi “democrazia” moderna. 

Che cosa dobbiamo ancora sopportare? Cosa ancora subire? Il partito che dovrebbe essere il baluardo della democrazia, si piega all’assalto di chi la democrazia corrompe ogni giorno, e questo in nome del bene pubblico! Certo, ci sono i “maldipancia” interni, le mezze minacce di Renzi, D’Alema, Bersani; i tiepidi distinguo di Epifani; il mormorio della “base” (ma dove è finito il sedicente movimento “Occupy PD”?); rapidamente, è prevalsa ancora una volta il “realismo” (quanti crimini politici in tuo nome, o realtà!), con la giustificazione del supremo interesse nazionale, e protetti da un Napolitano che ormai si è intestardito nel sostenere questo Esecutivo impuro, osceno. Osceno perché Berlusconi non è semplicemente “la destra”: la Grosse Koalition è certo concepibile, anche in Italia, ma tra soggetti che si riconoscono nelle regole dello Stato di diritto: Berlusconi è un eversore, un uomo estraneo alla cultura della legalità, incapace di qualsiasi rispetto delle regole, oltre ad essere un “uomo malato” (per citare la sua ex moglie, che alludeva al pansessualismo del coniuge), un corruttore, che fatto la sua fortuna secondo percorsi oscuri e maleodoranti. 

E anche se si fosse dovuto arrivare all’intesa per salvare la patria, allora sarebbe occorso semplicemente fare un Esecutivo per la legge elettorale. Ma ormai abbiamo capito che nessuna forza in Parlamento vuole davvero cambiare la legge: io penso che neppure Grillo lo voglia. Al di là della facciata della democrazia nella Rete, a cui francamente non credo, il “Porcellum”, nella sua incostituzionalità denunciata, anche a Grillo fa comodo, come a tutti gli altri (ne ha goduto, senza però cogliere alcun risultato utile, a gennaio scorso, anche il buon Ingroia, e nelle sue pessime scelte di vertice va ravvisata una delle ragioni del clamoroso fiasco elettorale). Cambiare la legge significa togliere potere alle oligarchie dei partiti. Sono disposte queste a rinunciare a quel potere? Non sembrerebbe. 

Tornando a Grillo, appunto, sia lode a i “suoi” rappresentanti che ieri hanno protestato (naturalmente trascendendo, come capita spesso), provocando i rappresentati del PD, che a loro volta sono trascesi; dei Gasparri, Brunetta e Santanché manco vale la pena di parlare. A parte questo sussulto, occorre riflettere sulle parole di Grillo, nella conferenza stampa (il solito monologo), dopo l’incontro con Napolitano, quando ha denunciato la crisi della democrazia, senza rendersi conto che non solo egli stesso è parte di quella crisi, essendo il neoleaderismo populistico e mediatico (che rende Grillo e Berlusconi fratelli gemelli) uno dei tratti di fondo della “postdemocrazia”; e senza neppure capire che le sue parole erano altrettanti attacchi alla democrazia, mentre deploravano la fine della democrazia. 

Qualcuno si è permesso di evocare Lenin, paragonandogli Beppe Grillo: io credo che il confronto corretto sia, piuttosto, con Benito Mussolini: costui nel 1914, quando ruppe di colpo (poi si scoprì che aveva ricevuto finanziamenti allo scopo) la linea del Partito socialista, contrario all’ingresso dell’Italia nel conflitto europeo, rivolgendosi al re, capo dello Stato, mandò questo messaggio: o ci date la guerra, o facciamo la rivoluzione. Ebbe la guerra. Che fu poi foriera della “rivoluzione” fascista: tra il ’19 e il ’22, il “duce” giocò sul doppio terreno: minaccia e uso della violenza, e ammissione della possibilità della conquista pacifica del potere. Forza e consenso, teorizzava, ancor prima di ascendere al governo. Grillo non pratica la violenza fisica, ma di quella verbale inzeppa i suoi comizi e il suo blog di capo supremo: e il discorso che ha fatto ieri inquieta, se lo si vuole prendere sul serio: senza di noi “la gente” prenderà i fucili; tale all’incirca il messaggio, che, al di là del richiamo implicito ai fucili padani del fu-leader della Lega Nord, contiene una minaccia che forse non fa paura a nessuno, nella sua forma ellittica, ma costituisce appunto una ulteriore delegittimazione del sistema. Grillo deve scegliere, rinunciando a mussolineggiare: o fuori delle istituzioni, smettendo però di minacciare la rivoluzione, ma tentandola concretamente: ogni rivoluzione minacciata genera controrivoluzione preventiva. Oppure sta dentro il sistema, ma non fingendo di essere fuori: quando ingiuria un Parlamento di “nominati”, si rende conto che i suoi deputati e senatori sono parte di quel sistema? Sono stati nominati come gli altri. E non si citi la burletta delle “parlamentarie”, che sono state un grottesco esercizio di finta democrazia dal basso. 

Con tutto ciò, pur ribadendo che tra le rivendicazioni di M5S tante sono perfettamente condivisibili, e pur salutando con favore anche l’arrivo di qualche volto nuovo nelle Camere (a dispetto della deprimente ignoranza di quasi tutti, e non dico ignoranza politica, ma ignoranza tout court), rimane il dilemma di fondo: il Movimento se si istituzionalizza, smette di essere quello che è, e rischia di perdere la sua carica dirompente che ne ha fatto la fortuna; ma se non si istituzionalizza, e rimane sotto il tallone di ferro della coppia G & C, rischia di morire prima di una seconda Legislatura. I “grillini” irridono ai sondaggi, e magari a ragione. Ma mi pare evidente che finora, dopo lo straordinario esito elettorale di febbraio, M5S ha dissipato una buona fetta del consenso e ha visto ridursi le sue potenzialità politiche, contribuendo alla ingovernabilità con le sue pretese di avere, in toto, il governo della nazione, senza alcuna alleanza o coalizione (anche questo un atteggiamento mussoliniano), aiutato in questo dalla stoltezza della dirigenza PD, e dalle furbizie berlusconiane. 

Come se ne esce? Solo con nuove elezioni, ma da farsi con un sistema diverso, ricuperando il proporzionalismo, contro ogni scorciatoia maggioritaria, senza illegalismi (i “premi di maggioranza”) e mettendo da parte qualsivoglia tentazione presidenzialista. Qui, il presidente, l’unico che riconosco, quello della Repubblica, deve svolgere il suo ruolo di garante supremo della Costituzione. E rappresentante dell’unità nazionale. Qui, Napolitano deve intervenire. Non un governo per durare, come di tanto in tanto, tra ingenuità e temerarietà, annuncia Enrico Letta, ma un governo per gestire l’emergenza e portare il Paese alle urne, con una nuova legge. Il presidente che ha cacciato d’autorità Berlusconi nel 2011, il presidente che ha tirato fuori dal cilindro un modesto professore di economia, affidandogli il compito di salvare la nazione, il presidente che ha costretto il PD ad abbracciare il PDL; quel presidente ha l’autorità e ormai l’autorevolezza per imporre in poche settimane una nuova legge elettorale. Questa è democrazia. Intanto i grillini decidano che vogliono fare da grandi: gli eversori o i costruttori, accanto alle “forze sane” della nazione, di una Italia giusta e onesta.

(11 luglio 2013)

Nessun commento: