“Euro sì. Morire per Maastricht”. Questo è il titolo (purtroppo profetico) di un libro di Enrico Letta pubblicato nel 1997 per Laterza.
Mentre la Germania prospera grazie alla svalutazione del Marco avvenuta con l’introduzione dell’Euro, l’Italia, perdendo la sua Lira, continua a deperire. Non sarà tutta colpa dell’Euro se ci troviamo ormai in questa situazione comatosa, ma l’introduzione della moneta unica è stata certamente il fattore determinante. Alla Germania la crescita, a noi la “decrescita infelice” con milioni di disoccupati e una politica di austerity che a partire da adesso si farà sempre più rigida.
Dobbiamo attenderci dal nostro governo, guidato da Enrico Letta, una ferma posizione in Europa a difesa del nostro paese? No. Letta, come del resto Monti, sono al servizio della moneta unica. Uno degli ultimi libri di Enrico Letta era intitolato Morire per Maastricht. Oggi morire per Maastricht significa rispettare quella gabbia d’acciaio che ci è stata imposta con il meccanismo europeo di stabilità (il cosiddetto Fondo Salva-Stati) e il patto di bilancio europeo (il cosiddetto Fiscal Compact). Con il primo dalle nostre casse sono già usciti 40 miliardi di Euro, una somma che in fase di recessione e con chiare difficoltà a rilanciare l’economia equivale ad uno strangolamento; con il secondo ci impegniamo a riportare il rapporto debito/pil entro il 60% nell’arco di un ventennio. Tutto ciò implica, in una fase di crisi come l’attuale, l’impossibilità di rilanciare l’economia.
Dobbiamo attenderci dal nostro governo, guidato da Enrico Letta, una ferma posizione in Europa a difesa del nostro paese? No. Letta, come del resto Monti, sono al servizio della moneta unica. Uno degli ultimi libri di Enrico Letta era intitolato Morire per Maastricht. Oggi morire per Maastricht significa rispettare quella gabbia d’acciaio che ci è stata imposta con il meccanismo europeo di stabilità (il cosiddetto Fondo Salva-Stati) e il patto di bilancio europeo (il cosiddetto Fiscal Compact). Con il primo dalle nostre casse sono già usciti 40 miliardi di Euro, una somma che in fase di recessione e con chiare difficoltà a rilanciare l’economia equivale ad uno strangolamento; con il secondo ci impegniamo a riportare il rapporto debito/pil entro il 60% nell’arco di un ventennio. Tutto ciò implica, in una fase di crisi come l’attuale, l’impossibilità di rilanciare l’economia.
La vittoria di Angela Merkel in Germania non è mai stata in discussione. Capitalizza buoni risultati con un’astuta politica moderatamente socialdemocratica all’interno – lo stato sociale è stato ristrutturato ma non distrutto – ed una neoliberista all’esterno basata su una stretta politica di austerity imposta a tutta l’Eurozona. La strategia europea non cambia. Anzi, dopo l’eccellente risultato elettorale – la cancelliera ha sfiorato la maggioranza assoluta – è destinata ad acuirsi. A nulla è valso il tentativo degli “euroscettici” che, pur sfiorando il 5% dei consensi, sono rimasti esclusi dal Bundestag. Quest’esclusione non deve sorprendere, perché l’Euro fino ad oggi è servito proprio alla Germania per far crescere la sua economia soprattutto con l’esportazione dei prodotti tedeschi in Europa ed il mantenimento di un livello salariale modesto. Cosi, mentre la Germania prospera grazie alla svalutazione del Marco avvenuta con l’introduzione dell’Euro, l’Italia, perdendo la sua Lira, continua a deperire. Non sarà tutta colpa dell’Euro se ci troviamo ormai in questa situazione comatosa, ma l’introduzione della moneta unica è stata certamente il fattore determinante. Alla Germania la crescita, a noi la “decrescita infelice” con milioni di disoccupati e una politica di austerity che a partire da adesso si farà sempre più rigida.
Dobbiamo attenderci dal nostro governo, guidato da Enrico Letta, una ferma posizione in Europa a difesa del nostro paese? No. Letta, come del resto Monti, sono al servizio della moneta unica. Uno degli ultimi libri di Enrico Letta era intitolato Morire per Maastricht. Oggi morire per Maastricht significa rispettare quella gabbia d’acciaio che ci è stata imposta con il meccanismo europeo di stabilità (il cosiddetto Fondo Salva-Stati) e il patto di bilancio europeo (il cosiddetto Fiscal Compact). Con il primo dalle nostre casse sono già usciti 40 miliardi di Euro, una somma che in fase di recessione e con chiare difficoltà a rilanciare l’economia equivale ad uno strangolamento; con il secondo ci impegniamo a riportare il rapporto debito/pil entro il 60% nell’arco di un ventennio. Tutto ciò implica, in una fase di crisi come l’attuale, l’impossibilità di rilanciare l’economia.
Dobbiamo attenderci dal nostro governo, guidato da Enrico Letta, una ferma posizione in Europa a difesa del nostro paese? No. Letta, come del resto Monti, sono al servizio della moneta unica. Uno degli ultimi libri di Enrico Letta era intitolato Morire per Maastricht. Oggi morire per Maastricht significa rispettare quella gabbia d’acciaio che ci è stata imposta con il meccanismo europeo di stabilità (il cosiddetto Fondo Salva-Stati) e il patto di bilancio europeo (il cosiddetto Fiscal Compact). Con il primo dalle nostre casse sono già usciti 40 miliardi di Euro, una somma che in fase di recessione e con chiare difficoltà a rilanciare l’economia equivale ad uno strangolamento; con il secondo ci impegniamo a riportare il rapporto debito/pil entro il 60% nell’arco di un ventennio. Tutto ciò implica, in una fase di crisi come l’attuale, l’impossibilità di rilanciare l’economia.
Ci vorrebbe un governo capace di sbattere in Europa i pugni sul tavolo e di minacciare l’uscita dall’Euro nel caso in cui venisse negata la possibilità di ridiscutere da cima a fondo questi trattati che ci sono stati imposti da poteri stranieri e che prima Monti e ora Letta si sono incaricati di eseguire. Per questo però è necessario restituire al popolo, al più presto, la possibilità di esprimersi in libere elezioni. Se il Movimento 5 Stelle dovesse vincerle, andremo in Europa per rinegoziare tutto e da una posizione di forza, dal momento che l’Italia avrà la Presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea . Il popolo italiano, come quello greco, spagnolo, portoghese, non può morire per l’Euro. Non vogliamo morire per l’Euro.
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MORIRE PER MAASTRICHT, CON ENRICO LETTA E L’EUROGENDFOR di Marco Della Luna
MORIRE PER MAASTRICHT, CON ENRICO LETTA E L’EUROGENDFOR
IL MATRIMONIO TRA PARTITOCRAZIA E POTERI FORTI PORTERA’ MISERIA E REPRESSIONE VIOLENTA
Obbedienza a Maastricht fino alla morte: parola di Enrico Letta
Rieleggere Napolitano al Colle e puntare decisi a legittimare con una riforma costituzionale il presidenzialismo di fatto, svuotando di poteri e dignità il parlamento in favore della Commissione Europea, della BCE e del Quirinale, serve appunto a questo. E’ stata subito confermata la linea (pseudo)neoliberista e fiscalista, gli uomini del Bilderberg, del FMI e dell’UE sono i primi a congratularsi.
E Napolitano, col plauso di quasi tutti, incluso Berlusconi, incarica di formare il governissimo “senza alternative” l’on. Enrico Letta, che, come economista e come politico, è assolutamente improponibile per il ruolo di premier, dato ciò che ha fatto, ciò che è stato e ciò che è tuttora. Però si capisce anche perché e per cosa è stato scelto…
Cresciuto nella scuola economica di Andreatta (autore di quella riforma monetaria che gettò il debito pubblico italiano nelle grinfie della vorace speculazione internazionale, facendolo raddoppiare in rapporto al pil nel giro di pochi anni) nonché di Prodi (autore, con Draghi, della deregulation bancaria del 1999, che ha consentito alle banche di giocare nella bisca dei mercati speculativi coi soldi dei risparmiatori); di Prodi fu anche sottosegretario alla Presidenza del consiglio. Enrico è inoltre membro di organismi di area Rockefeller ( Aspen Institute, Trilateral Commission), frequentatore del Bilderberg, ossia dei fari illuminanti della finanziarizzazione, della liberalizzazione (o pseudo-liberalizzazione, se consideriamo che la fiscalizzazione dei danni da frode non rientra certo nel liberalismo), della globalizzazione dell’economia e del mondo intero. Coerentemente con questa linea di ingegneria finanziaria e sociale, Enrico Letta, già membro della commissione per l’Euro 1994-1997, ha persino scritto un libro intitolato: “Euro sì. Morire per Maastricht”, Laterza 1997, in cui afferma che vale la pena di morire per l’Euro e Maastricht come nel 1939 valeva la pena di “morire per la Polonia” e che …non c’è un Paese che abbia, come l’Italia, tanto da guadagnare nella costruzione di … una moneta unica….” (2) e…”abbiamo moltissimi imprenditori piccoli e medi che … quando davanti ai loro occhi si spalancherà il grandissimo mercato europeo, sarà come invitarli a una vendemmia in campagna. E’ impossibile che non abbiano successo…il mercato della …moneta unica sarà una buona scuola. Ci troveremo bene… (3) ” (Fonte: Perché hanno messo Enrico Letta? in www.cobraf.com)24.04.2013.
Quindi Letta, come economista e come partecipe delle istituzioni di ambito monetario, o non capiva dove si stava andando – e allora è un pessimo economista – oppure voleva che le cose andassero così - e allora era ed è in palese conflitto di interessi con l’intera nazione. In realtà, egli non solo non aveva avvertito verso che cosa si andava con Maastricht, col blocco dei cambi, coi vincoli di bilancio, con la deregulation bancaria – non solo non aveva lanciato l’allarme, ma ha sempre spinto in quella direzione, e ha professato un’obbedienza rigida, fino alla morte, verso quelle illuminate riforme, anzi pare abbia addirittura contribuito a pianificarle.
Siamo seri: come si fa a non sapere che, se si blocca l’aggiustamento dei cambi tra alcuni paesi imponendo una moneta unica, e li si priva degli strumenti monetari macroeconomici (regolazione del money supply, fissazione dei tassi), inevitabilmente si generano squilibri della bilancia dei pagamenti che crescono fino a determinare lo svuotamento di capitali e industrie e lavoratori qualificati a danno dei paesi meno competitivi e a vantaggio di quelli più competitivi, aumentando irreversibilmente anziché annullare il divario tra gli uni e gli altri, a meno che non si costituisca e si faccia funzionare un governo federale con un bilancio federale che provveda alla redistribuzione dei surplus? e come fa a non sapere che una banca centrale unica, per giunta privata della facoltà di finanziare i singoli Stati, e avente l’unico fine istituzionale di proteggere il potere di acquisto della moneta? Non è credibile che l’enfant prodige Enrico non sapesse queste cose e neppure leggesse quegli economisti normalmente dotati e normalmente liberi che lo preannunciavano. Perciò quando scriveva “morire per Maastricht” non poteva non avere in mente questo esito infausto particolarmente per l’Italia.
Quindi diffidenza radicale verso di lui, non solo come economista, ma anche come statista, come cristiano, come uomo di sinistra. Come uomo tout court.
“Tutto ciò che fa il parlamento è democratico” rassicura Stefano Rodotà, candidato dal M5S, dall’alto delle sue laute e meritate rendite pubbliche, dimenticando di precisare:. “Soprattutto se quel parlamento è un parlamento di nominati, nominati da non più di venti persone delle segreterie/cda dei partiti”.
La partitocrazia poteva salvarsi solo garantendo gli interessi dei poteri forti internazionali sull’Italia.
Napolitano già nel 2006 aveva apposto la sua firma accanto a quella del premier Prodi, sulla riforma dello Statuto della Banca d’Italia, riforma reclamata da Draghi per legittimare la piena proprietà privata della stessa Banca d’Italia. Che poi si è mossa o non mossa come abbiamo visto nel caso MPS. Anche quella è stata un’avanzata privatizzazione di un potere pubblico sovrano, quello monetario.
Napolitano, nel novembre del 2011, su richiesta della Merkel e di altri, aveva sostituito Monti a Berlusconi, e poi ha sostenuto vigorosamente tutta la politica finanziaria ed economica di Monti, pur vedendo i disastri che essa cagionava al Paese, nella sua obbedienza alle prescrizioni della Germania.
Napolitano, da ultimo, ha concesso la grazia all’agente della CIA, col Joseph Romano, già condannato, che rapì, su suolo italiano, Abu Omar, per farlo torturare in Egitto – l’ha concessa senza che nemmeno Romano dovesse disturbarsi per richiederla.
Napolitano il 24.04.13 ha dato l’incarico di formare il nuovo governo a Enrico Letta, PD,, economista della scuola di Andreatta e di Prodi (autori, come abbiamo visto, delle riforme più perniciose per il paese, già sottosegretario alla presidenza del consiglio sotto Prodi, dirigente dell’Aspen Institute Italia, frequentatore del Gruppo Bilderberg, membro della Trilateral Commission – tutti organismi di segno neoliberista, legati alla grande finanza apolide, e propugnatori dei progetti illuminati della migliore cultura massonica.
Molti sentivano il bisogno di un presidente della Repubblica che facesse gli interessi del popolo rispetto a quelli del capitalismo privato, e dell’Italia rispetto a quella degli stranieri. Sono stati frustrati.
Ora a Napolitano si conferma, all’interno, la richiesta di farsi da garante della coesione della partitocrazia necessaria alla tutela degli interessi della partitocrazia stessa; e, dall’esterno, di farsi garante della obbedienza dell’Italia alle potenze dominanti, e a una politica economico-finanziaria suicida, che avvantaggia il capitalismo bancario straniero a danno degli italiani.
E’ a questa richiesta che si deve il suo successo e la sua ri-elezione, a questa capacità di duplice e congiunta garanzia, di giunzione tra gli interessi forti esterni e quelli sempre meno forti interni, che gli assicura il sostegno “delle cancellerie che contano”?
In ogni caso, sia chiaro che non intendo esprimere un giudizio politicamente o moralmente negativo su Napolitano: il ruolo che egli svolge sicuramente non è esaltante, i suoi atti sopra ricordati nemmeno, ma probabilmente l’uno e gli altri non sono una scelta sua, derivano ineluttabilmente dai vincoli gravanti sull’Italia nel contesto e nella gerarchia internazionale. Non è improbabile che Napolitano per primo deplori ciò che è costretto a fare, e che stia cercando di limitare le sofferenze degli italiani nel corso di un processo che non ha avviato e che non può arrestare.
Confermata la policy recessiva: quindi aspettiamoci agitazioni popolari e prepariamoci alla violenza di Stato e dell’Unione Europea
La partitocrazia, traballante per la sua delegittimazione e i disastri delle sue scelte, rinuncia a ogni finzione di cambiamento invocato dalla gente, modifica come e quanto serve la costituzione, e si prende qualche mese aggiuntivo ricompattandosi e mummificandosi. Ha un anno e mezzo al massimo, per realizzare due cose:
-o rilegittimarsi attraverso un rilancio dell’economia e dell’efficienza del sistema paese;
-oppure allestire un apparato autocratico di repressione e di intimidazione poliziesche con cui domare l’inevitabile rabbia di popolo, che potrebbe sfociare nella prima rivoluzione italiana (la quale sarebbe anche la prima azione collettiva unificante e fondatrice di una unità nazionale italiana, sinora n on realizzatasi).
Qualcuno pensa che, fra altri sei mesi di peggioramento economico quale stiamo avendo da anni, si potrà governare gli italiani col loro consenso e con le buone, senza ricorrere alla violenza di Stato? Ricordo che in Italia la ragion di Stato è ricorsa alle stragi terroristiche per delegittimare il dissenso radicale su temi socio-economici in altri periodi critici.
Vorrei poter pensare che un governissimo di scopo, o un governo di unità e salvezza nazionali, possa rilanciare l’Italia, forte della straordinaria ampiezza della sua maggioranza; e non posso escludere, onestamente, che sia questo il disegno anche di Napolitano, oltre che dei capi di Pd. Pdl, Scelta Civica. Ma non lo credo proprio.
Purtroppo, però e per ora, la continuazione sulla linea del rigore suicida è stata confermata, il programma dei partiti in campo e quello dei Dieci saggi è risibile in rapporto ai problemi economici, e del resto gli strumenti per una diversa politica finanziaria mancano, essendo stata ceduta la sovranità non solo monetaria, ma anche fiscale e finanziaria, ed essendo stato eretto a norma costituzionale il dogma monetarista Inoltre, ai partiti manca la competenza tecnica-economica e i loro uomini sono specializzati e selezionati nel senso che sappiamo; infine, le larghe intese sono automaticamente spartitorie.
Gli strumenti per la seconda soluzione, la soluzione repressiva, invece, ci sono tutti, grazie al MES, al Trattato di Lisbona e all’Eurogendfor, che è il corpo di polizia antirivolta europea, approvato da tutto il parlamento il 09.03.10, composto esclusivamente di corpi militari e non civili, sottratto alla normale responsabilità e giurisdizione, e per ora senza limitazioni nei tipi di armi che può usare contro i civili – vedi gas e armi elettromagnetiche e acustiche più o meno subletali.E’ sostanzialmente un corpo di polizia quasi-militare straniero che il Cimin, comitato dei ministri degli interni europei, farà invitare dai governi sul cui territorio vi siano tensioni sociali, specialmente dovute a proteste popolari contro le misure economiche e fiscali imposte a tutela della grande finanza, come già avvenuto in Grecia.
Non è un esercito comune e paritario dei popoli europei, creato per difendersi da possibili attacchi esterni. E’ l’esercito dei banchieri e dei paesi creditori, creato per tener sottomessi i popoli debitori e farli pagare e prendergli i risparmi e i redditi4.
Immaginatevi reparti di polizia militarizzata formati di tedeschi mandati contro una sommossa popolare di italiani disperati e rovinati dalle politiche finanziarie fatte in obbedienza a Berlino e nel suo interesse. Militari tedeschi che vedono gli italiani come gente con poca voglia di lavorare e molta di sprecare, che minaccia il loro benessere e la loro egemonia. Militari tedeschi che sanno che, per ciò che faranno, non saranno soggetti a giudici italiani. Militari tedeschi che sanno che il governo italiano dipende dal sì tedesco per poter continuare a sostenere il proprio debito pubblico. Quanti scrupoli avranno, a tirare il grilletto? E quelli che hanno firmato l’adesione o sottomissione dell’Italia a questa Eurogendfor sono tra coloro che vanno solennemente a commemorare Marzabotto, S. Anna di Stazzema e le fosse Ardeatine… Da “Morire per Maastricht” a “Uccidere per Maastricht!” L’Italia neorepubblichina fa leggi per legittimare chi la dovrà occupare.
Insomma, sapendo che l’economia italiana non ripartirà, soprattutto con la linea di austerità che è già stata riconfermata, è ovvio che il governo delle larghe intese avrà come asse portante, oltre all’attacco al risparmio, alla residua ricchezza degli italiani, l’organizzazione di un forte apparato autoritario e repressivo, iniziando con un adeguato battage mediatico preparatorio, che lo giustifichi moralmente.
“Il dissenso può essere espresso solo nelle forme della legalità”, continua la rassicurazione di Rodotà, dall’alto dei suoi redditi e della sua autorevolezza di sinistra. Ma che fare se le forme della legalità vengono svuotate e calpestate dal palazzo che difende i suoi interessi contro quelli di un popolo che non rappresenta, anzi tradisce? Emigrare o insorgere, o aspettare che la schifezza marcisca del tutto e cada da sé? I miei lettori sanno che io raccomando l’emigrazione e sono convinto che gli italiani siano incapaci di una ribellione politica – e proprio per questo i politici italiani possono permettersi di fare ciò che fanno. Con i francesi, gli inglesi o gli americani, non si azzarderebbero.
XXV Aprile 2013 Marco Della Luna
1) http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/04/Morire_per_Maastricht_sacrifici_porteranno_co_0_97060411003.shtml
2) http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/04/Morire_per_Maastricht_sacrifici_porteranno_co_0_97060411003.shtml
3) http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/04/Morire_per_Maastricht_sacrifici_porteranno_co_0_97060411003.shtml
4)http://www.golemxiv.co.uk/2011/10/foreign-riot-police-now-operating-in-greece/
2) http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/04/Morire_per_Maastricht_sacrifici_porteranno_co_0_97060411003.shtml
3) http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/04/Morire_per_Maastricht_sacrifici_porteranno_co_0_97060411003.shtml
4)http://www.golemxiv.co.uk/2011/10/foreign-riot-police-now-operating-in-greece/
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Letta pronto a farci morire per l’euro?
di Enrico Grazzini | 30 aprile 2013
“Euro sì. Morire per Maastricht”. Questo potrebbe essere il vero programma del governo Letta, e invece è il titolo (purtroppo profetico) di un suo libro pubblicato nel 1997 per Laterza. In cui sosteneva che gli italiani devono essere pronti a sacrificarsi fino a morire in nome dell’euro. Oggi invece il primo ministro Enrico Letta propone di rilanciare l’economia e contemporaneamente di ridurre anche il debito pubblico, per rispettare i rigidissimi vincoli dettati dalla moneta unica euro-tedesca. Non occorre essere osservanti della scuola keynesiana per comprendere che non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Da Keynes in poi sappiamo che in tempi di crisi è puro populismo promettere di tagliare la spesa pubblica e rilanciare l’economia. Il giovane Letta propone di tagliare le tasse e contemporaneamente di diminuire il deficit: cioè di tagliare la spesa pubblica. Ma allora come farà a dare lavoro alle giovani generazioni e alle donne? A dare il reddito minimo garantito alle “famiglie più bisognose”? Anche il capitalismo compassionevole ha bisogno della spesa pubblica, e quella italiana è inferiore alla media europea.
Letta ha ricevuto dal presidente Giorgio Napolitano il mandato esplicito di fare rimanere a tutti i costi l’Italia nell’eurozona, e sa perfettamente che l’euro, la moneta unica di marca tedesca, è la causa principale della attuale crisi italiana ed europea. Nutre la speranza, o meglio l’illusione, di avere margini di manovra all’interno di questa eurozona guidata dal governo di centrodestra di Angela Merkel. Ma la Merkel e la Bundesbank spingono l’acceleratore verso l’austerità, non verso il rilancio dell’economia. Vogliono riscuotere rapidamente i loro crediti, anche a costo di rovinare la costruzione dell’Unione Europea. In questo contesto anche il Financial Times la vede dura per Letta. Scrive Wolfang Munchau sul FT del 28 aprile: “paradossalmente la sola maniera di rendere sostenibile la posizione attuale dell’Italia nell’eurozona consiste, in linea di principio, nella minaccia di essere pronti a lasciare l’euro. Se invece, per principio preso, il governo italiano scarta questa opzione, aumenta davvero per l’Italia la probabilità di uscire dall’euro, perché c’è una minore pressione sui paesi dell’eurozona nell’attuare i cambiamenti necessari”. Letta farà da subito un giro presso le cancellerie europee: dovrebbe contraddire la sua posizione del ’97 e fare capire che non siamo disposti a morire per Maaastricht: la moneta unica va cambiata radicalmente a costo di spezzare un euro che è divenuto una catena per la cooperazione europea e l’Europa dei popoli.
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La Germania ha barato, così la Merkel ha vinto. Spiegato a voi.
di Paolo Barnard
Merkel vince. La domanda è: perché i tedeschi l’hanno premiata? E’ una domanda seria, dal momento in cui la Germania non sta affatto bene in salute, e i tedeschi meno che meno. E’ un Paese con stipendi stagnanti da oltre 10 anni, che non ha investito in infrastrutture per 20 anni, che ha tagliato impietosamente il costo del lavoro per poter esportare, dove la bassa disoccupazione nasconde milioni di lavoretti sottopagati e con poche tutele sociali, dove la sbandierata produttività è una balla, infatti la produttività tedesca pro capite è la più bassa dell’OCSE, dove le banche sono al limite del fallimento o stracariche di derivati tossici pronti ad esplodere. E allora cosa è successo? Semplice: illusione ottica.
Torniamo al 2002, l’anno di entrata in vigore della moneta unica euro. Gli Stati aderenti all’Eurozona cedono la loro sovranità monetaria (le monete nazionali) e adottano una moneta di proprietà della Banca Centrale Europea, la quale la emette ‘versandola’ nelle riserve dei mercati di capitali privati (banche, e da queste altri istituti finanziari). I mercati di capitali privati hanno gli euro. Gli Stati dell’Eurozona a questo punto, per avere gli euro da spendere, devono vendere titoli di Stato ai mercati di capitali privati. Ok. Questi mercati si tutelano ovviamente dal rischio che gli Stati non possano poi onorare (ripagare con gli interessi) quei titoli che stanno comprando. Quindi cosa fanno i mercati di capitali privati? Guardano i conti degli Stati dell’Eurozona e chiaramente prestano gli euro più volentieri a chi ha meno debito pubblico. Cioè, gli prestano gli euro con un tasso d’interesse più basso, mentre, per tutelarsi dal rischio bancarotta, prestano agli Stati con alti debiti, o con economie meno ricche, gli euro a tassi molto più alti. Quindi la Germania inizia fin dal 2002 a potersi finanziare a tassi più bassi che molti altri Paesi dell’Eurozona, un divario che crescerà drammaticamente dal 2010 in poi, e questo la avvantaggia.
Ora riguardiamo un passaggio, questo: “Questi mercati si tutelano, ovviamente, dal rischio che gli Stati non possano poi onorare (ripagare con gli interessi) quei titoli che gli stanno vendendo. Quindi cosa fanno i mercati di capitali privati? Guardano i conti degli Stati dell’Eurozona e chiaramente prestano gli euro più volentieri a chi ha meno debito pubblico”. Domanda: perché io, mercato di capitali, temo che l’Italia con alto debito mi possa fare bancarotta, mentre la Germania con basso debito no? Pensate a questo esempio: io mercato di capitali sono a credito di soldi da un tizio che ha debiti per milioni e milioni, ma sto tizio ha tutti i soldi necessari a ripagarmi. Ok, io sono tranquillo. Che me ne frega se ha debiti altissimi? Tanto ha tutti i soldi necessari a ripagarmi. E allora perché i mercati di capitali privati hanno temuto che gli indebitatissimi l’Italia, la Grecia, o il Portogallo facessero bancarotta, caricandoli quindi di alti interessi per tutelarsi? Ovvio: perché AVENDO RINUNCIATO ALLA LORO SOVRANITA’ MONETARIA, cioè alla possibilità di emettere le loro monete senza limiti, oggi i tanto indebitati Italia, Grecia o Portogallo sono come quel tizio con debiti per milioni ma NON PIU’ tutti i soldi necessari a ripagarli.
Oggi per ripagare i debiti, l’Italia, la Grecia, o il Portogallo e altri, devono sempre andare in prestito dagli stessi mercati di capitali privati a cui poi devono ripagare i precedenti debiti. Ma i mercati di capitali privati possono a un certo punto impaurirsi per sta catena di debiti su debiti, e smettere di dargli i soldi, per cui l’Italia, la Grecia, o il Portogallo possono fallire, e smettere di ripagare i debiti con quei mercati di capitali privati. E allora i mercati di capitali privati chiedono all’Italia, alla Grecia, Spagna, Irlanda o al Portogallo tassi d’interesse molto alti per tutelarsi dal rischio fallimento di quegli Stati. Ma non alla Germania, o alla Francia che hanno debiti minori.
Allora, qual è il punto ovvio? Che non è l’alto debito degli Stati che ha causato il fatto che i mercati di capitali privati ci prestassero a tassi molto più alti che alla Germania, ma il fatto che quegli Stati con alto debito HANNO PERSO LA LORO ABILITA’ DI RIPAGARE OGNI DEBITO SENZA PROBLEMI PERCHE’ HANNO PERDUTO LA LORO ABILITA’ DI STAMPARE MONETA SENZA LIMITI QUANDO RINUNCIARONO ALLE LORO MONETE SOVRANE A FAVORE DELL’EURO. Prima, quando lo stesso avevano alti debiti ma avevano la propria moneta per ripagarli, non esisteva nessuna crisi, né problema di spread, né panico.
Cioè, cari lettori, il dramma è l’adozione dell’euro, non i debiti alti. Questo i mercati di capitali privali lo capirono subito, e lo dissero subito.
Immaginate una metafora per essere ancora più chiaro: tutti gli Stati sono alla linea di partenza per i 100 metri, e ciascuno ha attaccato a un piede un foglio di carta velina con disegnata una palla di piombo che rappresenta il debito pubblico. Qualche Stato ha un disegno più grande, altri più piccolo, ma sono sempre pezzi di carta velina. Questa condizione rappresenta gli Stati prima dell’euro, quando le dimensioni del debito pubblico ERANO IRRILEVANTI, perché con le loro monete sovrane lo potevano sempre ripagare, e quindi i mercati di capitali privali non si preoccupavano. Ma immaginate che di colpo, a causa dell’arrivo dell’euro, quei disegni di carta velina si trasformano in vere palle di piombo, vero metallo non carta. Questa condizione rappresenta gli Stati che con l’adozione dell’euro devono andare a prestito dai privati per ripagare il debito, non possono più emettere la loro moneta. E’ chiaro che a questo punto la gara è viziata dalle dimensioni della palla di piombo, e la Germania, che sulla carta ce l’aveva più piccola e ora è più piccola anche in piombo, adesso sa di poter vincere, mentre prima no, perché la grandezza della palla non contava essendo solo un disegno su carta. Infatti PRIMA dell’euro l’indebitatissima Italia era la PRIMA POTENZA INDUSTRIALE d’Europa, ma dopo l’euro è diventata la penultima.
Quindi è ovvio che all’inizio della gara dell’Eurozona la Germania è partita avvantaggiata da subito, e a Berlino lo sapevano che questo gli sarebbe andato a favore. Noi stupidi italiani manco ci abbiamo pensato.
E arriviamo alle elezioni. La Germania è messa male, ma rispetto a Italia o Spagna o Irlanda o Grecia (e ora anche Francia) è messa molto meglio a causa appunto di quella gara truccata. I cittadini tedeschi, che ignorano i meccanismi sopra descritti, hanno semplicemente pensato: “Bé, c’è una crisi generale, che ha colpito un po’ anche noi, ma gli altri sono messi moooolto peggio, per cui il merito deve essere della Merkel che ci ha traghettati attraverso la crisi stando primi in classifica. Ok, la votiamo”. Questo è successo. I tedeschi ignorano che la Germania è messa un po’ meglio solo per merito della gara truccata, e non dei politici, e ignorano che senza l’euro è probabile che anche loro starebbero meglio in tutto.
Spero sia chiaro.
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DI ALBERTO BAGNAI
liberoquotidiano.it
La nuova lira si potrebbe svalutare del 30% sulle monete forti, ma nell’arco di almeno un anno. E i nostri prodotti tornerebbero competitivi sui mercati mondiali
Che nell’euro così com’è molte cose non vadano nessuno ormai lo contesta. Il dibattito si sposta su come riformare la moneta unica o come abbandonarla. Quest’ultima opzione suscita grandi timori, non tutti fondati. Prima di parlarne, osservo che il punto dirimente è quello politico, non quello tecnico. Faccio un esempio: per i tedeschi entrare nell’euro ha significato abbandonare una valuta forte, il marco. Perché questo non ha causato panico? Semplicemente perché si era raggiunto un consenso intorno all’idea che l’euro avrebbe comunque portato benefici.
Allo stesso modo oggi per gli italiani tornare alla lira significherebbe abbandonare una valuta forte, l’euro. Se però ci si convincesse, a torto o a ragione, dei benefici di un’uscita dall’euro, si creerebbero le condizioni politiche per una transizione senza panico.
Come ho spiegato ne Il tramonto dell’euro, l’obiezione secondo cui l’uscita è impossibile perché i trattati non la prevedono è infondata. La convenzione di Vienna stabilisce che un trattato può essere risolto, anche in assenza di clausole espresse, quando mutino i presupposti in base ai quali esso è stato concluso (è il principio rebus sic stantibus). L’attuale disastro fornisce una base giuridica sufficiente per un recesso. Lo ammette la stessa Bce in un documento del 2009.
Un altro principio è quello della Lex monetae: uno stato sovrano ha il diritto di decidere in quale conio sono definiti i contratti che cadono sotto la sua giurisdizione. Nel nostro codice civile questo principio è disciplinato dagli articoli 1277 e seguenti. L’uscita avverrebbe quindi tramite una ridenominazione in nuove lire dei contratti regolati dal diritto italiano. A quale cambio? L’opzione più semplice da gestire è che si usi un cambio uno a uno. Lo stipendio passerebbe da 1500 euro a 1500 nuove lire, la rata del mutuo da 500 euro a 500 nuove lire, ecc.
Ma allora non cambierebbe niente? No, qualcosa cambierebbe: il passaggio al nuovo conio sarebbe seguito da un riallineamento del cambio sui mercati valutari. Una rivalutazione dei Paesi «forti» e una simmetrica svalutazione della nuova lira, che restituirebbe respiro al nostro export con effetti positivi su reddito e occupazione.
La svalutazione non ci schiaccerebbe sotto il costo delle materie prime? Non è detto. Secondo gli studi più recenti (li trovate nel mio blog, bagnai.org), il riallineamento atteso è dell’ordine del 30%, distribuito lungo l’arco di almeno un anno. Certo, in capo a un anno le materie prime costerebbero un 30% in più. Ma le materie prime sono solo una componente del costo del prodotto finito. Ad esempio, il riallineamento del cambio non influirebbe sul costo del lavoro in valuta nazionale.
E poi, chiedo, un imprenditore preferisce pagare un po’ di più le materie prime, ma ricominciare a fatturare, o essere «protetto» dalla valuta forte che però gli impedisce di vendere all’estero? I tanti suicidi cui assistiamo danno una risposta fin troppo eloquente.
Nel caso dei carburanti, poi, la componente fiscale è preponderante. Per questo motivo si osserva che solo un terzo di una svalutazione si traduce in un incremento del prezzo alla pompa. Con una svalutazione del 30%, l’incremento atteso del prezzo alla pompa sarebbe di circa il 9%, distribuito in più di un anno (ne abbiamo avuti di maggiori con l’euro).
Secondo gli studi occorre un anno perché il 36% di una svalutazione si trasferisca sui prezzi interni. Ha torto chi dice che se svalutassimo del 30% saremmo tutti più poveri del 30% in una notte! Del resto, da un anno a questa parte l’euro ha guadagnato circa l’8% sul dollaro. Vi sentite molto più ricchi? No, perché la spesa di tutti i giorni non la fate negli Usa, ma in Italia.
D’accordo, si obietta, ma comunque il debito estero andrebbe pagato in valuta forte, e saremmo schiacciati dall’onere del debito! Non è corretto. Solo i contratti regolati dal diritto estero subirebbero questa sorte. Non ricade fra questi la maggior parte dei titoli pubblici. Va bene, ma allora i mercati, penalizzati dalla svalutazione, non ci isolerebbero, rifiutandoci altro credito? Non è detto. Molti avrebbero voglia di tornare a investire in un paese che riprendesse a crescere, e se ora abbiamo bisogno di capitali esteri è perché l’austerità di Monti e Letta ha distrutto reddito, risparmio e produttività degli italiani.
Ma (si obietta) la «liretta» sarebbe attaccata dalla speculazione! Siamo proprio sicuri? Quanto più la lira perdesse di valore, tanto più le merci italiane diventerebbero a buon mercato. Le banche centrali dei nostri concorrenti starebbero quindi ben attente a evitare un eccessivo deprezzamento della nuova lira.
Il discorso andrebbe certo approfondito, ma una cosa spero emerga: viste alla luce della razionalità economica, molte obiezioni sollevate per incutere terrore agli elettori perdono vigore. È giunta l’ora che la lucidità e la valutazione dell’interesse del Paese prevalgano sull’emotività e su un malinteso «sogno» europeo.
Alberto Bagnai
Professore associato di politica economica
(Università D’Annunzio, Pescara)
Fonte: www.liberoquotidiano.it
Link: http://www.liberoquotidiano.it/news/economia/1315427/Ecco-perche-all-Italia-conviene-ancora-uscire-dall-euro.html
22.09.2013
liberoquotidiano.it
La nuova lira si potrebbe svalutare del 30% sulle monete forti, ma nell’arco di almeno un anno. E i nostri prodotti tornerebbero competitivi sui mercati mondiali
Che nell’euro così com’è molte cose non vadano nessuno ormai lo contesta. Il dibattito si sposta su come riformare la moneta unica o come abbandonarla. Quest’ultima opzione suscita grandi timori, non tutti fondati. Prima di parlarne, osservo che il punto dirimente è quello politico, non quello tecnico. Faccio un esempio: per i tedeschi entrare nell’euro ha significato abbandonare una valuta forte, il marco. Perché questo non ha causato panico? Semplicemente perché si era raggiunto un consenso intorno all’idea che l’euro avrebbe comunque portato benefici.
Allo stesso modo oggi per gli italiani tornare alla lira significherebbe abbandonare una valuta forte, l’euro. Se però ci si convincesse, a torto o a ragione, dei benefici di un’uscita dall’euro, si creerebbero le condizioni politiche per una transizione senza panico.
Come ho spiegato ne Il tramonto dell’euro, l’obiezione secondo cui l’uscita è impossibile perché i trattati non la prevedono è infondata. La convenzione di Vienna stabilisce che un trattato può essere risolto, anche in assenza di clausole espresse, quando mutino i presupposti in base ai quali esso è stato concluso (è il principio rebus sic stantibus). L’attuale disastro fornisce una base giuridica sufficiente per un recesso. Lo ammette la stessa Bce in un documento del 2009.
Un altro principio è quello della Lex monetae: uno stato sovrano ha il diritto di decidere in quale conio sono definiti i contratti che cadono sotto la sua giurisdizione. Nel nostro codice civile questo principio è disciplinato dagli articoli 1277 e seguenti. L’uscita avverrebbe quindi tramite una ridenominazione in nuove lire dei contratti regolati dal diritto italiano. A quale cambio? L’opzione più semplice da gestire è che si usi un cambio uno a uno. Lo stipendio passerebbe da 1500 euro a 1500 nuove lire, la rata del mutuo da 500 euro a 500 nuove lire, ecc.
Ma allora non cambierebbe niente? No, qualcosa cambierebbe: il passaggio al nuovo conio sarebbe seguito da un riallineamento del cambio sui mercati valutari. Una rivalutazione dei Paesi «forti» e una simmetrica svalutazione della nuova lira, che restituirebbe respiro al nostro export con effetti positivi su reddito e occupazione.
La svalutazione non ci schiaccerebbe sotto il costo delle materie prime? Non è detto. Secondo gli studi più recenti (li trovate nel mio blog, bagnai.org), il riallineamento atteso è dell’ordine del 30%, distribuito lungo l’arco di almeno un anno. Certo, in capo a un anno le materie prime costerebbero un 30% in più. Ma le materie prime sono solo una componente del costo del prodotto finito. Ad esempio, il riallineamento del cambio non influirebbe sul costo del lavoro in valuta nazionale.
E poi, chiedo, un imprenditore preferisce pagare un po’ di più le materie prime, ma ricominciare a fatturare, o essere «protetto» dalla valuta forte che però gli impedisce di vendere all’estero? I tanti suicidi cui assistiamo danno una risposta fin troppo eloquente.
Nel caso dei carburanti, poi, la componente fiscale è preponderante. Per questo motivo si osserva che solo un terzo di una svalutazione si traduce in un incremento del prezzo alla pompa. Con una svalutazione del 30%, l’incremento atteso del prezzo alla pompa sarebbe di circa il 9%, distribuito in più di un anno (ne abbiamo avuti di maggiori con l’euro).
Secondo gli studi occorre un anno perché il 36% di una svalutazione si trasferisca sui prezzi interni. Ha torto chi dice che se svalutassimo del 30% saremmo tutti più poveri del 30% in una notte! Del resto, da un anno a questa parte l’euro ha guadagnato circa l’8% sul dollaro. Vi sentite molto più ricchi? No, perché la spesa di tutti i giorni non la fate negli Usa, ma in Italia.
D’accordo, si obietta, ma comunque il debito estero andrebbe pagato in valuta forte, e saremmo schiacciati dall’onere del debito! Non è corretto. Solo i contratti regolati dal diritto estero subirebbero questa sorte. Non ricade fra questi la maggior parte dei titoli pubblici. Va bene, ma allora i mercati, penalizzati dalla svalutazione, non ci isolerebbero, rifiutandoci altro credito? Non è detto. Molti avrebbero voglia di tornare a investire in un paese che riprendesse a crescere, e se ora abbiamo bisogno di capitali esteri è perché l’austerità di Monti e Letta ha distrutto reddito, risparmio e produttività degli italiani.
Ma (si obietta) la «liretta» sarebbe attaccata dalla speculazione! Siamo proprio sicuri? Quanto più la lira perdesse di valore, tanto più le merci italiane diventerebbero a buon mercato. Le banche centrali dei nostri concorrenti starebbero quindi ben attente a evitare un eccessivo deprezzamento della nuova lira.
Il discorso andrebbe certo approfondito, ma una cosa spero emerga: viste alla luce della razionalità economica, molte obiezioni sollevate per incutere terrore agli elettori perdono vigore. È giunta l’ora che la lucidità e la valutazione dell’interesse del Paese prevalgano sull’emotività e su un malinteso «sogno» europeo.
Alberto Bagnai
Professore associato di politica economica
(Università D’Annunzio, Pescara)
Fonte: www.liberoquotidiano.it
Link: http://www.liberoquotidiano.it/news/economia/1315427/Ecco-perche-all-Italia-conviene-ancora-uscire-dall-euro.html
22.09.2013
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