IL MONDO E' COME UNO SPECCHIO

Osserva il modo in cui reagisci di fronte agli altri. Se scopri in qualcuno una qualità che ti attrae, cerca di svilupparla in te stesso. Se invece osservi una caratteristica che non ti piace, non criticarla, ma sforzati piuttosto di cancellarla dalla tua personalità. Ricorda che il mondo, come uno specchio, si limita a restituirti il riflesso di ciò che sei.

martedì 1 aprile 2014

Riforma Renzi del Senato: una buona idea?

"E' possibile che Renzi sia stato scelto (lo diamo per scontato perchè nessuno arriva a fare il Presidente del Consiglio, in questi tempi di eurocrazia, per caso) non per dimostrate capacità, ma per la sua immagine di bravo ragazzo a capo di un governo di giovani rassicuranti – un’immagine che lo rende idoneo, con l’aiuto di contentini demagogici su tasse, auto di Stato e bollette, a far passare una riforma elettorale e del Senato estremamente pericolose e aggressive verso la democrazia. Una riforma  della Costituzione che prepara l’ambiente giuridico-costituzionale adatto in cui il successivo premier potrà esercitare una dittatura formalmente legittima.
E quel premier magari non sarà un ragazzotto inoffensivo, ma un uomo degli interessi finanziari, dei poteri forti, un delegato della Trojka, che macellerà l’Italia come la Trojka ha macellato la Grecia, senza però che la Trojka debba metterci la faccia, quindi scaricando italiani la responsabilità di ciò che essa farà a loro. Perché con i 50 miliardi che annualmente l’Italia dovrà togliere ai contribuenti per l’abbattimento forzoso del debito pubblico dal 2015 (fiscal compact) in un trend già di avvitamento fiscale pluriennale, è molto facile che l’Italia debbia invocare l’aiuto, il bail-out, della Trojka.

Per ottenere quello che si dice si voglia ottenere da un Senato finalmente efficiente al servizio dei cittadini basterebbe mantenere, accanto a una Camera dei Deputati eletta con un sistema maggioritario e con sbarramenti, un senato elettivo, riformato come segue, in modo che sia l’organo della rappresentanza fedele dell’elettorato e delle garanzie:

-il Senato è eletto con sistema proporzionale su base regionale ed è rinnovato per la metà ogni 3 anni;

-non può essere sciolto;

-non partecipa alla normale attività legislativa e non vota la fiducia (queste funzioni spettano alla sola Camera dei Deputati) salvo un diritto di veto che può esercitare con maggioranza dei 3/5 dei membri su proposta di 1/3 di essi;

-ha competenza legislativa esclusiva per a)riforme costituzionali; b)leggi costituzionali; c)leggi sulla cittadinanza, leggi elettorali; d)ratifica di trattati limitanti la sovranità nazionale;

-ha competenza esclusiva per: a)messa in stato di accusa del presidente della repubblica; b)decisioni su eleggibilità e decadenza di deputati e senatori; c)commissioni di inchiesta; d)nomina del Presidente della Repubblica, dei giudici costituzionali, dei membri del CSM, dei capi di tutte le istituzioni di garanzia.

Un tale sistema bicamerale è così semplice, chiaro, lineare ed efficace nell’assicurare tutte le funzioni, l’efficienza e le garanzie, che il fatto stesso che non sia nemmeno proposto prova il pericoloso obiettivo del governo in carica e la corresponsabilità di chi lo sostiene in qualsiasi modo."

_______________________________________________________


CON RENZI PREPARANO LA DITTATURA DEL PROSSIMO PREMIER?

CON RENZI PREPARANO LA DITTATURA DEL PROSSIMO PREMIER?
Renzi è stato scelto non certo per dimostrate capacità, ma per la sua immagine di bravo ragazzo a capo di un governo di giovani rassicuranti – un’immagine che lo rende idoneo, con l’aiuto di contentini demagogici su tasse e bollette, a far passare una riforma elettorale e del Senato estremamente pericolosa e aggressiva verso la democrazia e lo stesso impianto della Costituzione. Una riforma che prepara l’ambiente giuridico-costituzionale adatto in cui il successivo premier potrà esercitare una dittatura formalmente legittima. E quel premier non sarà un ragazzotto inoffensivo, ma un uomo degli interessi finanziari, dei poteri forti, un delegato della Trojka, che macellerà l’Italia come la Trojka ha macellato la Grecia, senza però che la Trojka debba metterci la faccia, quindi scaricando italiani la responsabilità di ciò che essa farà a loro. Perché col le decine di miliardi che annualmente l’Italia dovrà togliere ai contribuenti per l’abbattimento forzoso del debito pubblico (fiscal compact) in un trend già di avvitamento fiscale pluriennale, è molto facile che l’Italia debbia invocare l’aiuto, il bail-out, della Trojka.
In una situazione siffatta, in cui l’Italia è indebitata sempre più in una moneta praticamente straniera e tutta sbilanciata su poteri esterni alla repubblica,  avevamo bisogno di una riforma che prevenisse da altre sospensioni della democrazia come quella imposta ben tre volte dai manovratori del rating e dello spread attraverso Napolitano, e invece… arriva esattamente l’opposto!
Riflettete bene: sotto la pelle d’agnello di Renzi e dei suoi ragazzi un po’ ingenui, con le loro riforme,  e con l’aiuto di un Berlusconi sempre più condizionabile giudiziariamente, stanno istituendo una nuova architettura costituzionale in cui
-il segretario del partito si sceglie i candidati che gli vanno bene
-col voto di meno di un terzo degli elettori si prende la maggioranza assoluta nell’unica camera legislativa
-si blinda a priori la fiducia al proprio governo
-nomina il presidente della repubblica (che a sua volta nomina buo9na parte del Senato!), il presidente dell’unica camera legislativa, i giudici costituzionali, i membri laici del CSM, e altre cariche di garanzia
-revoca i ministri
-lascia senza rappresentanza parlamentare partiti che raccolgono milioni di voti
-quindi si pone al di sopra di ogni controllo.
La giustificazione è che i tempi richiedono un premier forte e decisioni rapide.
E’ una giustificazione bugiarda perché queste esigenze di efficienza –rapidità e insieme di democraticità-legalità sarebbero molto facilmente soddisfatte senza rinunciare alle garanzie e alla rappresentatività vera del corpo elettorale. Basta mantenere, accanto a una Camera dei Deputati eletta con un sistema maggioritario e con sbarramenti,  un senato elettivo, riformato come segue, in modo che sia l’organo della rappresentanza fedele dell’elettorato e delle garanzie:
-il Senato è eletto con sistema proporzionale su base regionale ed è rinnovato per la metà ogni 3 anni;
-non può essere sciolto;
-non partecipa alla normale attività legislativa e non vota la fiducia (queste funzioni spettano alla sola Camera dei Deputati) salvo un diritto di veto che può esercitare con maggioranza dei 3/5 dei membri su proposta di 1/3 di essi;
-ha competenza legislativa esclusiva  per a)riforme costituzionali; b)leggi costituzionali; c)leggi sulla cittadinanza, leggi elettorali; d)ratifica di trattati limitanti la sovranità nazionale;
-ha competenza esclusiva per: a)messa in stato di accusa del presidente della repubblica;  b)decisioni su eleggibilità e decadenza di deputati e senatori; c)commissioni di inchiesta; d)nomina del presidente della repubblica, dei giudici costituzionali, dei membri lai del CSM, dei capi di tutte le istituzioni di garanzia.
Un tale sistema bicamerale è così semplice e chiaro e lineare ed efficace nell’assicurare tutte le funzioni, l’efficienza e le garanzie, che il fatto stesso che non sia nemmeno proposto prova  il pericoloso obiettivo del governo in carica e la corresponsabilità di chi lo sostiene in qualsiasi modo.
31.03.14                              Marco Della Luna
________________________________________________________
Il parere di Stefano Rodotà

Rodotà: “Renzi ha paura del confronto, ma non riuscirà a rottamare il dissenso”

Il costituzionalista firmatario dell'appello di Libertà e Giustizia non si sente un 'professorone': "Sono un vecchio signore che qualche libro l’ha letto e un po’ conosce la storia. Questi modi hanno un retrogusto amaro". E al premier dice: "Si cancella il Senato, si compone la Camera con un sistema ipermaggioritario, il sistema delle garanzie salta: il risultato sarebbe un’alterazione in senso autoritario della logica della Repubblica parlamentare che sta in Costituzione. E dovremmo stare zitti?"

Stefano Rodotà 


Dice il presidente del Consiglio con le mani in tasca di aver “giurato sulla Costituzione, non sui professoroni”. E dunque abbiamo interpellato Stefano Rodotà, uno dei professoroni firmatari dell’appello di Libertà e giustizia, eloquentemente intitolato “Verso una svolta autoritaria”.
Professor Rodotà, si sente un po’ professorone?
Sono un vecchio signore che qualche libro l’ha letto e un po’ conosce la storia . Questi modi hanno un retrogusto amaro. “Quando sento la parola cultura metto mano alla pistola”: ecco, non siamo a questo, ma il rispetto per le persone e per le idee male non fa. C’è, dietro l’atteggiamento sprezzante di Renzi, una profonda insicurezza. Altrimenti il confronto non gli farebbe paura. Potrebbe parlare con dei buoni consiglieri e poi argomentare: il confronto andrebbe a beneficio di tutti. Direttamente s’interviene su un terzo della Costituzione, indirettamente su tutto il sistema delle garanzie. Per i cittadini esprimere la propria opinione è un diritto, per chi si occupa di questi temi intervenire è un dovere.
La discussione non può ridursi al “prendere o lasciare”.
Matteo Renzi usa toni ultimativi, non gli piace la critica perché si disturba il manovratore. Non è la prima volta: quando c’era stata una presa di posizione, molto moderata, sulla legge elettorale aveva parlato di “un manipolo di studiosi” con un tono di sostanziale disprezzo. Però non gli riesce di rottamare la cultura critica: è un pezzo della democrazia. Le reazioni che ci sono state a questo appello dimostrano che la nostra non è una posizione minoritaria: è una rottamazione difficile.
“Ho giurato sulla Carta, non su Zagrebelsky e Rodotà”: significa “non mi curo di loro” oppure “non sono i depositari della verità costituzionale”?
Che Renzi pensi che noi non siamo i depositari della verità è assolutamente legittimo. Però non può nemmeno dire: “Ho giurato sulla Costituzione e dunque sono io il depositario della verità”. La storia è piena di spergiuri. Se ritiene che il terreno proprio sia la Carta, allora discuta.
Ci vuol tempo a fare discussioni. E ora è in voga il mito della velocità, la politica futurista.
I tempi della democrazia sono anche quelli della discussione. Proprio perché la democrazia è in grande sofferenza, si dovrebbero costruire ponti verso i cittadini. Non si è sentita una parola, in questo senso. Ho avuto la fortuna di essere amico di Lelio Basso, cui si deve anche l’articolo 49 della Costituzione sui partiti politici: Basso ha sempre detto “dobbiamo discutere”. E su quel tema una discussione ci fu, eccome. Non a caso c’è, in quell’articolo, la mano di un grande giurista, che non aveva paura né del confronto né di avere con sé il meglio della cultura giuridica. Questo c’è dietro un’impresa costituzionale, non la fretta, non i consiglieri interessati o i saggi improvvisati.
“Non ci sto a fare le riforme a metà. O si fanno le riforme, o me ne vado”.
Il premier dimostra di non avere orizzonti ampi. Alza i toni, urla e dice “me ne vado”. Ma chi si alza e se ne va, svela insicurezza.
Un aut aut minaccioso.
Mettiamo insieme la debolezza di Renzi e la scelta di Berlusconi come suo alleato, con cui pensa di potere fare questo tratto di strada. Il Pd può accettare a capo chino questa strada? Nessuno si pone il problema. Dicono: “Sta piovendo, cosa ci possiamo fare?” Almeno potrebbero comprare un ombrello!
Ci mette la faccia, ripete spesso.
Può voler dire “mi assumo la responsabilità”. Ma non può significare “da questo momento in poi detto le regole, i tempi, i modi e poiché la faccia ce la metto io mi dovete seguire”. La democrazia non funziona così. E poi anche noi, i firmatari del famigerato appello, ci abbiamo messo la faccia. Nel dialogo, siamo in condizioni di assoluta parità. Se vuole affermare una posizione di supremazia, sbaglia.
Non è il primo politico che usa toni da uomo della provvidenza.
Sono sempre molto diffidente, quando si afferma “dopo di me il diluvio”. In questi anni la politica italiana, ancor prima di Renzi, è stata condotta all’insegna dell’emergenza. Non si va alle elezioni, c’è bisogno del governo Monti e via dicendo: i progetti che c’erano dietro questa logica sono falliti.
Una circostanza è stata quasi ignorata: si vogliono fare le riforme durante un mandato in cui il Parlamento è fortemente delegittimato dalla sentenza della Consulta sul Porcellum. La non elettività del Senato, poi, diminuisce il potere dei cittadini di esprimersi: un “restringimento” democratico di cui si parla molto poco.
Per questo era indispensabile la nostra presa di posizione. Il discorso sulla delegittimazione politica del Parlamento non nasce come argomento contro Renzi. Alcune persone – Gustavo Zagrebelsky, Lorenza Carlassare e mi permetta: anche il sottoscritto – vanno ripetendo questo concetto da tempo. Il cuore della sentenza è la mancanza di rappresentatività del Parlamento. Ora bisognerebbe dire: ci sono mille ragioni, emergenza, fretta, i segnali da dare al mondo intero, per cui il Paese ha bisogno di riforme. Non è solo necessario coinvolgere un’ampia maggioranza, ma anche consentire a quel Parlamento scarsamente rappresentativo di essere coinvolto il più possibile. E aprire alla discussione pubblica: non dico che questo compensa il deficit di legittimazione, ma almeno tutti coloro che non sono rappresentati possono avere diritto di parola. Mi pare evidente che ci sia l’intenzione di far approvare le modifiche costituzionali con la maggioranza dei due terzi, in modo da impedire un possibile referendum: è un pessimo segnale. Il fatto che un Parlamento con questo grave deficit voglia mettere mano così pesantemente alla Carta, è un azzardo costituzionale: non può essere ignorato.
Si pensa di abolire il Senato come se si dovesse cambiare il senso unico di una strada di Firenze. Una pericolosa semplificazione: mancanza di strumenti o di cultura istituzionale?
C’è stata una regressione culturale profonda. È questo tipo di semplificazioni che introduce elementi autoritari. Si cancella il Senato, si compone la Camera con un sistema iper-maggioritario, il sistema delle garanzie salta: il risultato sarebbe un’alterazione in senso autoritario della logica della Repubblica parlamentare che sta in Costituzione. E dovremmo stare zitti?


______________________________________________

Secondo Giannuli non ce la fa:

Ma che gioco sta facendo Renzi?

Renzi ha annunciato che, se la riforma del Senato non dovesse passare, si dimetterebbe. In sé non pare una minaccia tale da convincere schiere di senatori a votare la sua riforma, se non fosse che lui la carica di sinistri avvertimenti : “Se la riforma non passa si vota”, che mi sembra tanto l’”ordigno fine di Mondo” del dottor Stranamore. Iniziamo con due calcoli sulle possibilità che la riforma passi al Senato,  così come è, senza alcun ritocco perché il motto della nobile casata fiorentina de’ Renzi è “Prendere o lasciare”.
L’art. 138 della Costituzione prevede che, in seconda votazione, i disegni di revisione costituzionale siano approvati a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, mentre non dice nulla per la prima deliberazione, per la quale è sufficiente la maggioranza semplice. Il Senato ha 320 membri elettivi e 6 di diritto, per cui la maggioranza assoluta è 164 voti, ma in prima battuta possono bastarne di meno, considerando gli “assenti fisiologici” ed il Presidente che per consuetudine non vota. Diciamo che possano bastarne 160-3.
Il baldo giovanotto, secondo i calcoli della sua piccola corte, disporrebbe prima di tutto dei voti del gruppo democratico (107, meno il Presidente). Ma si sa che una parte sicuramente voterà contro, per cui diciamo che la base di partenza è 95, cui si dovrebbero sommare gli 8 di Scelta Civica (incluso Monti), i 12 delle autonomie, i 5 senatori a vita e 3-4 del gruppo misto. In totale 123-4, per cui mancherebbero una quarantina di voti all’appello da trovare.
Ovviamente, la speranza principale è che, alla fine, Berlusconi, pur smadonnando, mantenga gli accordi del Nazareno (per la verità già violati da Renzi) e voti la riforma. In questo caso non dovrebbero esserci problemi perché la base di partenza sfiorerebbe i 200 voti. Ma, allo stato dei fatti e salvo nuovi negoziati, non pare che questa sia l’intenzione dell’ex Cavaliere, per cui occorre provvedere diversamente.
C’è chi pensa ad un baratto con la Lega (15 senatori) per un voto a favore della riforma del Senato in cambio di una legge elettorale più accettabile (il famoso comma “salva Lega”), chi pensa di accontentare in qualche modo il Ncd che ha una trentina di voti, chi di rastrellare un po’ di indecisi fra Sel, Popolar-casiniani ecc.
Dunque piano A con Forza Italia, piano B “libera caccia”. Dei due l’unico che darebbe sicurezze (relative, come vedremo) è il piano A e, per la verità, non è escluso che finisca così: siamo abituati alle giravolte improvvise dell’Uomo di Arcore. Quello che, però, non rende probabile l’accordo è la prossimità alle elezioni europee: visto come si son messe le cose, se Berlusconi cedesse a Renzi in cambio di nulla, la cosa potrebbe essere vista dal suo elettorato come una resa a discrezione e, a poche settimane dal voto, questo potrebbe avere effetti catastrofici su un partito che già è in caduta libera nei sondaggi. Onestamente, all’ex Cavaliere non consiglierei di farlo.
Il piano B è assai rischioso: esporrebbe Renzi all’assalto di Alfano e Lega sulla legge elettorale, senza contare che anche Alfano potrebbe agitare la minaccia di una crisi di governo. E se ci stesse solo uno dei due, occorrerebbe cercare il resto vagando alla ricerca di indecisi. Direi che le speranze sarebbero ridotte al lumicino.
Sin qui, però, abbiamo ragionato come se i voti dei singoli gruppi fossero pacchetti indivisibili, ma dove sta scritto che le cose stiano così? Va da se che la maggioranza dei senatori (compresi quelli del Pd ed i montiani) sarebbero sicuramente contrari alla riforma di Renzi, compresi i senatori piddini, ma sono trattenuti dalla disciplina di partito. Vero è che Renzi gli chiede di saltare giù dalla finestra, ma c’è sempre la speranza di un “risarcimento” con una candidatura alla Camera, alle Europee, nelle Regioni o, al limite, in qualche ente di Stato (ammesso che delle promesse di uno come Renzi ci si possa fidare); speranza che andrebbe a farsi friggere in caso di comportamento indisciplinato. Eppure non saremmo tanto sicuri che le defezioni sarebbero comunque tanto limitate. Soprattutto non lo pensiamo del gruppo di Fi, per cui anche il piano A non sarebbe poi così a prova di bomba.
Ma questo ragionamento vale nel caso di scrutinio palese, ma in caso di voto segreto? L’art. 120 comma 3 del regolamento del Senato stabilisce che nella votazione finale dei disegni di legge di revisione costituzionale, si voti per appello nominale con scrutinio simultaneo. Però, salvo che per la votazione finale, per il resto delle votazioni articolo per articolo e relativi emendamenti, si può applicare l’art 113 comma 2 per il quale, qualora 20 senatori ne facciano richiesta, si procede con scrutinio segreto. E questo può diventare il Viet Nam di Renzi: gli emendamenti possono stravolgere la sua riforma rendendola inservibile. Ma soprattutto possono dimostrare che lui non ha il consenso del Senato, aprendo la strada alla crisi di governo.
E, qui c’è il deterrente nucleare di Renzi: le nuove elezioni. Che però non decide lui, dato che è Napolitano a dover sciogliere le Camere e non pare che il Presidente sia di questo parere: sciogliere le Camere alla vigilia del semestre italiano alla Ue o addirittura durante il semestre? E poi votare quando? Per un election day in coincidenza con le Europee, mi pare un po’ tardi; andare a votare un paio di settimane dopo, in pieno giugno, dopo una tornata elettorale generale, farebbe schizzare l’astensionismo sino in cielo. Votare in settembre a semestre Ue iniziato? E se Napolitano si dimettesse lasciando tutti in braghe di tela? La verità è che le dimissioni di Renzi (accolte con giubilo al Quirinale) sarebbero una splendida occasione per un nuovo governo tecnico del Presidente.
Insomma il deterrente di Renzi è una pistola scarica e senza percussore: va bene per una sceneggiata napoletana. Poi c’è da considerare che anche se passasse al Senato, occorrerebbe mandare la riforma alla Camera, per poi tornare al senato per la seconda lettura e quindi di nuovo alla Camera per la seconda e definitiva approvazione, sempre che, nel frattempo, uno dei due rami del Parlamento non introduca una modifica anche minima, per cui si comincia a fare su e giù fra Palazzo Madama e Montecitorio.
Non so come la vedete voi, per me l’ardimentoso fiorentino va a sbattere. Ma il fatto è che se anche ci riuscisse, poi lui in testa non ha nessun disegno complessivo, nessuna linea politica. L’uomo non sa dove andare ma ci vuole andare di corsa: Renzi è il bersagliere del nulla.
Aldo Giannuli

____________________________________________________________________________________

Sempre Aldo Giannuli con le critiche alla riforma:

"La concezione plebiscitaria della democrazia, comune a Renzi e Berlusconi, vede al centro l’esecutivo presieduto da un capo onnipotente e carismatico (l’”Unto del Signore”), limitato dal minor numero possibile di “impacci” (a cominciare dalla Costituzione) e nettamente prevalente sul legislativo, ridotto a puro simulacro. In questo quadro il Senato presenta un ostacolo, perché può dar luogo all’esistenza di maggioranze differenziate fra le due Camere (e, infatti, nessuna democrazia parlamentare in cui viga il sistema maggioritario è bicamerale)."

Lo scontro sul Senato: cosa c’è dietro?

Con l’intervista del Presidente del Senato Grasso (Corriere della Sera 30 marzo 2014) ed il successivo battibecco fra lui e Renzi è esploso uno scontro di grande portata politica, nel quale si stanno inserendo anche altri soggetti istituzionali. Con l’inarrivabile rozzezza dei renziani, la Serracchiani è arrivata a richiamare il Presidente del Senato (seconda carica istituzionale del paese) alla disciplina di partito: non era mai accaduto prima. Ma, in realtà, Grasso ha solo reso manifesto un conflitto che covava copertamente e che riguarda due diverse concezioni della democrazia, entrambe autoritarie e liberticide, ma fra loro opposte: la variante iper-populista e plebiscitaria e quella elitaria e monarchica.
La proposta fatta da Renzi e Berlusconi di fatto abroga il Senato, togliendogli quasi tutte le competenze, ma, soprattutto, disegnando una composizione non elettiva e di persone (sindaci e Presidenti di Regione) legate al loro ruolo sul territorio e, pertanto, di fatto impossibilitate a partecipare ai lavori di un organismo a centinaia di chilometri dalla propria sede. E, infatti, si prevede una riunione mensile puramente simbolica.
La concezione plebiscitaria della democrazia, comune a Renzi e Berlusconi, vede al centro l’esecutivo presieduto da un capo onnipotente e carismatico (l’”Unto del Signore”), limitato dal minor numero possibile di “impacci” (a cominciare dalla Costituzione) e nettamente prevalente sul legislativo, ridotto a puro simulacro. In questo quadro il Senato presenta un ostacolo, perché può dar luogo all’esistenza di maggioranze differenziate fra le due Camere (e, infatti, nessuna democrazia parlamentare in cui viga il sistema maggioritario è bicamerale).
Dunque, perché non abrogarlo tout court? Sia per considerazioni tattiche (dare un contentino formale alla Lega, indorare la pillola da far ingoiare al ceto politico), sia, soprattutto, per evitare di abrogare o riscrivere decine di articoli della Costituzione, quello che avrebbe ostacolato il bliz che i due avevano immaginato con scarso realismo, non tenendo conto delle inevitabili resistenze dei  senatori.
La seconda posizione, quella elitario-monarchica, ha preso le mosse da una proposta di Mario Monti, Renato Balduzzi e Linda Lanzillotta che prevede un Senato dotato di forti poteri di controllo e di interferenza sulle attività di governo composto da
«200 membri eletti dai consiglieri regionali, dai membri delle giunte regionali e da un certo numero di sindaci e scelti non solo tra le classi politiche locali ma anche tra i rappresentanti della società civile, dei ceti economici più dinamici, dell’università, delle professioni».
Attenzione: qui gli enti locali designano i senatori, ma non mandano i propri vertici, bensì persone scelte dalla “società civile” (università, professioni, ceti economici…”) in grado, quindi, di partecipare effettivamente alla vita dell’organismo. Dunque, un Senato vero e dotato di poteri ancora non ben definiti, ma che possa mettere becco nelle scelte del governo.
Il passo successivo è stato un appello del “Sole 24 ore” che ha iniziato a parlare di una “Alta camera della cultura e delle competenze”. Appello intorno al quale sono andati raggruppandosi intellettuali come la senatrice a vita Elena Cattaneo, Chiara Carrozza, Luciano Canfora (e questo mi duole), ma, soprattutto, Eugenio Scalfari (Sole 24 ore 30 marzo 2014) e la proposta, man mano è diventata quella di una Camera composta da grandi personalità della cultura, indicate in una rosa dall’Accademia dei Lincei (il museo egizio!) e dalle Università e poi nominate dal Presidente della Repubblica. Col che, salvo per la nomina a tempo e non a vita, è esattamente quello che era il Senato di nomina Regia.
Una proposta che pensiamo piaccia molto all’attuale capo dello Stato, che è uno che la monarchia ce l’ha nel sangue. Ovviamente, non è affatto negativo il coinvolgimento di autorevoli personalità della cultura nelle attività parlamentari, ma questo è auspicabile attraverso un mandato popolare, non con una nomina dall’alto. D’altro canto, in caso di bicameralismo, per quanto imperfetto, è per lo meno bizzarro comporre una Camera delle competenze da contrapporre all’altra che, implicitamente, diverrebbe “degli incompetenti”.
A ben vedere si tratta del modello della “democrazia a trazione elitaria” teorizzata da Monti e che ha trovato espressione tanto nel “governo dei tecnici” (esplicitamente citato da Monti nel suo articolo sul Corriere della Sera il 30 marzo 2014) quanto nelle due commissioni di saggi che dovevano riformare la Costituzione. Dunque, la Camera bassa (che il sistema elettorale in discussione assicurerebbe che sia davvero molto bassa) elettiva e quella Alta di nomina presidenziale. E questo porta ad un altro punto della questione: la torsione presidenzialista prodottasi in questi anni. Inizialmente, l’iper attivismo di Napolitano fu il risultato dell’impresentabilità internazionale di Berlusconi e della concomitante crisi del debito sovrano. Ma con la nomina di Monti, il Presidente è andato sempre più assumendo funzioni di indirizzo politico e, più che di garante della Costituzione, di garante delle obbligazioni Ue del paese ed in particolare del debito. Comprensibilmente, le polemiche di Renzi con la Ue in materia di vincoli di bilancio non devono aver molto allarmato il Colle che, alla vigilia del semestre europeo dell’Italia, si sente una volta di più chiamato a garantire per il futuro. Tuttavia, Napolitano, per ragioni che non stiamo qui a ripetere, si appresta a lasciare il Quirinale. Di qui la tentazione di trasformare il sistema costituzionale introducendo definitivamente le modifiche di assetto dei poteri che, sin qui si erano prodotte di fatto.
Per cui, attraverso la nomina di un Senato con penetranti poteri di controllo e di indirizzo sull’attività di governo, il Presidente acquista definitivamente il ruolo di super-Presidente del Consiglio (vagamente ispirato al modello francese) in alleanza con il ceto tecnocratico. Così da contrappesare efficacemente un governo ancora troppo condizionato dalle “spinte populiste” che vengono dal voto popolare.
Grasso, nella sua infelice intervista al Corriere, ha cercato una mediazione che tenesse conto degli umori degli attuali senatori che vorrebbero qualche chances di tornare a sedersi a palazzo Madama, ed ha proposto un Senato un po’ composto sul modello delle autonomie territoriali, un po’ elettivo, con poteri reali ma limitati. La scomposta reazione di Renzi, che arriva a proporre una revisione costituzionale per voto di fiducia (cosa che neppure nel più sconnesso regime sudamericano degli anni trenta si sarebbero sognati di fare), ha tolto il coperchio alla pentola.
Di fatto siamo di fronte a due diversi tentativi di liquidare la democrazia repubblicana voluta dalla Costituzione. Non ci resta che sperare in Razzi, Scilipoti ed amici che mandino tutto gambe all’aria.
Aldo Giannuli

Nessun commento: