IL MONDO E' COME UNO SPECCHIO

Osserva il modo in cui reagisci di fronte agli altri. Se scopri in qualcuno una qualità che ti attrae, cerca di svilupparla in te stesso. Se invece osservi una caratteristica che non ti piace, non criticarla, ma sforzati piuttosto di cancellarla dalla tua personalità. Ricorda che il mondo, come uno specchio, si limita a restituirti il riflesso di ciò che sei.

domenica 23 ottobre 2011

COME RISOLVERE I PROBLEMI DELL'ITALIA IN 5 PASSI

Bacchetta magica? No, basterebbe solo la volontà di una classe dirigente semplicemente responsabile e minimamente competente. Vediamo come.
Primo passo: riforma fiscale, pagare meno per pagare tutti, si può eccome!
Secondo passo: imposta sui patrimoni, giusta e digeribile.
Terzo passo: lotta alla corruzione e agli sprechi della pubblica amministrazione.
Quarto passo: riduzione e progressiva eliminazione dell'impatto sulla società di criminalità organizzata e mafie.
Quinto passo: sostegno ai redditi e alle imprese;
agevolazioni per chi produce in Italia in modo tale da rendere meno appetibile produrre in paesi a basso costo di manodopera, sgravi fiscali per chi assume giovani e anziani (aumentare l'età pensionabile in un paese dove dai 47 anni in su non vieni considerato da nessuna azienda, è criminale), superare il concetto dell'ammortizzare sociale che privilegia il solo lavoro a tempo indeterminato e introdurre il concetto di reddito minimo garantito; rimodulare poi redditi di aiuto conguo a tutte le fasce in difficoltà o meno fortunate (aiutare chi fa figli, chi è portatore di handicap, chi sopporta pesi enormi per accudire chi è malato ecc.).
I primi 4 passi recupererebbero le risorse per potersi permettere, e alla grande, il quinto.

Quello che è sotto gli occhi di tutti è che chi paga le tasse, oggi, le deve pagare anche per tutti quelli che non le pagano. Per questo le aliquote sono tanto alte. L'evasione fiscale, problema annoso e vizio annoso italiano, già illustrato in questo blog, si risolverebbe facilmente con una riforma fiscale, di cui qui si è già detto. Il problema non è tecnico (lo affermano fior di economisti) ma politico. Sarebbe la panacea, la madre di tutte le riforme. Pagare 
meno per pagare tutti. Basterebbe introdurre la possibilità di scaricare tutte le spese sulla dichiarazione dei redditi, in misura superiore all'IVA ovviamente. Magari cominciando da tutti gli impianti o i grandi lavori fatti negli appartamenti delle famiglie, dalle spese dentistiche o legali. E subito si innescherebbe un processo virtuoso in grado di far pagare le tasse a molti che ora evadono parzialmente o totalmente Contestualmente le aliquote potrebbero essere abbassate in modo da rendere meno pesante il nuovo regime per chi verrebbe costretto a pagare, e per cui chi ora le paga anche per gli altri potrebbe pagare di meno. Perché ci viene detto che non si può fare, anzi, perchè il tema non viene nemmeno menzionato? Perché chi evade, e sono milioni di persone dato che l'evasione è pari a 300 miliardi di € all'anno, non voterebbe più i responsabili di un cambiamento del genere!


Un'imposta sul patrimonio, strutturata in modo intelligente, darebbe la possibilità di sanare almeno in parte anche l'evasione del passato. Ormai sono in molti a parlarne, persino miliardari come Della Valle o la Confindustria medesima, seppur con una ipotesi solo blandamente efficace. Si tratterebbe solo di un'operazione di giustizia, atta a riequilibrare i pesi e le responsabilità. Con i dati presenti presso le banche e presso il catasto, oltre ai dati potenzialmente reperibili sul territorio grazie ad un federalismo di controllo (agenti che conoscono i contribuenti e i loro comportamenti di vita), si potrebbero tassare molto efficacemente i patrimoni di persone fisiche e giuridiche (tanto del patrimonio immobiliare è in mano alle società). All'obiezione più classica, di quelli che direbbero "io ho già pagato le tasse sui redditi con i quali ho acquisito le mie ricchezze" basterebbe rispondere con la possibilità -ad esempio- di scalare le tasse già pagate sui redditi che hanno permesso quelle ricchezze.
Si veda per approfondire l'interessante articolo Patrimoniale: Yes we can! di due economisti dell'università di Napoli apparso anche su Micromega.


Come già dibattuto in un precedente post (No representation without taxation) occorre aggiungere al problema dell'equità sociale, anche quello della corruzione e più in generale di come vengono male spesi i soldi pubblici dai nostri politici, gli sprechi, ovvero quanto di inutile o propriamente frodato viene speso, per finire con le infiltrazioni della criminalità negli appalti e i relativi nonché pericolosi aggravi.
Il quadro è fosco e -aggiunto al problema evasione- porta quello che manca alle casse dello Stato a cifre da capogiro che si aggirano intorno ai 400 miliardi di euro.
Forse sarebbe meglio che i cittadini si levassero definitivamente dalla testa l'idea che i conti pubblici siano in rosso per il costo dei politici, e che basti affamarli per rimettere in sesto le finanze pubbliche. Io sono il primo a pensare che un dimezzamento dei parlamentari e una riduzione degli stipendi ai politici (e penso non solo a Montecittorio, ma a tutte le cariche pubbliche, anche locali) e dei privilegi sia non più procrastinabile, se non altro per reintrodurre un clima di fiducia nelle istituzioni, di credibilità (anche necessaria a far passare delle misure nuove ed epocali), ma i veri costi della politica sono lo spreco di risorse pubbliche causati da scelte legate al tornaconto personale, insane per la democrazia, e dalla corruzione e malgoverno che ne derivano. A fronte di 4 miliardi di costi diretti, la politica ci costa ogni anno qualcosa come 80 miliardi per la sua incapacità di spendere oculatamente il denaro pubblico, per non parlare di quel che ci costa la sua timidezza nel combattere l'evasione fiscale. E' di qui che si deve partire.



L'eliminazione, o perlomeno riduzione del tasso elevatissimo di criminalità nel nostro paese, nato a suo tempo nelle regioni del sud ma ora ramificato, soprattutto economicamente, anche al nord, è un problema grave, irrisolto da molto tempo. Quello che la maggior parte della gente non capisce è che non è solo un problema di polizia, di perseguimento di crimini, per quanto sacrosanto e irrinunciabile. E' un problema che trova le sue radici nella cultura della gente, nelle difficoltà economiche giovanili, nel disagio di chi non ha prospettive di lavoro oneste. Certo che le mele marce ci saranno sempre, e questo è un problema di polizia, ma uno stato sociale equo e una distribuzione equa delle ricchezze, garanzie di lavoro, opportunità di studio per ogni fascia sociale e paracaduti sociali, giustizia uguale per tutti quanto inflessibile e garanzie di libertà, sono la premessa indispensabile per la riduzione la messa al bando crimine. Quindi le soluzioni che andiamo ad illustrare di seguito, non ultimo il reddito minimo garantito, possono essere utili anche a bonificare nel lungo periodo il terreno nel quale la criminalità prospera.
Nel contingente un'azione seria con tempi rapidi nei confronti di chi commette reati e di chi, nella politica, li favorisce otterrebbe grandi risultati. Occorrerebbe "solo" applicare le leggi e potenziare (più in termini di organizzazione che in termini di numero di addetti) magistratura e forze dell'ordine (invece di togliere risorse).

Vorremmo evitare di sentire parlare genericamente i nostri uomini di governo dell'importanza della competitività delle imprese senza che sia fatto nulla per incrementarla, nemmeno -ad esempio, la cosa più basilare- che lo Stato paghi i debiti verso le imprese private più velocemente che "a babbo morto" come fanno tutti gli enti statali con le imprese che lavorano con loro. Senza però dimenticare che le imprese devono essere "pulite", controllate dalle infiltrazioni criminali, e messe in condizione di rispettare tempi e preventivi. Vi sarebbero misure da prendere per rendere meno appetibile alle nostre imprese l'andare a produrre i loro beni all'estero nei paesi dove il costo del lavoro è molto minore del nostro. Invece di comprimere il salario dei lavoratori basterebbe detassare il lavoro dipendente: oggi lo Stato è un predatore che si prende in totale (tra tassazione del reddito del dipendente e tassazione dell'impresa su quello stesso reddito) una cifra pari a quella che arriva netta al lavoratore. Anche qui siamo fuori da ogni parametro europeo e mondiale. Per la semplice ragione che lo Stato, nel tempo, ha fatto cassa dove era facile farla, cosa c'è di più facile di tassare i redditi alla fonte? Molto più semplice che far pagare le tasse a tutti. Ovvero sempre il solito problema di cui sopra.

Un altro modo per fare rimanere le aziende in Italia, nei territori dove magari sono nate e dove diffondono benessere a chi ci lavora, sarebbe quello di dare servizi agevolati ed efficienti, semplificare le procedure, adeguare i trasporti, incentivare gli investimenti e la ricerca soprattutto... Per non parlare dell'importanza di intervenire direttamente con le proprietà che vogliono disinvestire in Italia e/o chiudere le attività, per trovare insieme ai lavoratori e ai sindacati quelle soluzioni che da soli e senza aiuti esterni non potrebbero mai trovare. Questo è il modo principale per difendere i redditi, quindi i consumi e la crescita.
Anche incentivare in modo massiccio tutto quello che ha a che fare con una maggiore sostenibilità ambientale e sociale, agevolando il cambiamento verso forme di produzione e prodotti più "adatti" ad un nuovo modo di intendere la crescita, potrebbe ulteriormente spingere verso un aumento del PIL virtuoso, in grado di reggere nel tempo e di garantire quelle entrate allo Stato che oggi sono sempre più in pericolo.
Anche il consumo di beni nazionali ed europei potrebbe essere in qualche modo agevolato, o promosso in modo maggiore che quelli dei beni esterni, anche perchè dovremmo essere noi per primi ad aiutare noi stessi. Sempre che questo non pesi solo sulle nostre spalle. 


Infine basta pensare solo alle pensioni, ai licenziamenti più facili. L'INPS è in attivo, da tempo ormai, i contributi pagati dai lavoratori sono superiori alle spese per pensioni. Perchè si vogliono toccare lo stesso? Ma perché -sempre la stessa ragione-è facile e si risparmia molto senza creare troppo disagio e contrapposizione sociale (solo coloro che sono vicini alla  pensione se ne accorgono, gli altri si rassegnano vedendo un traguardo già lontano spostarsi di poco più lontano ancora).
Se ne accorgono sempre di più solo i 50enni che, una volta usciti dal mondo del lavoro per via della crisi, e non potendovi più rientrare a causa di un mercato del lavoro che cestina direttamente qualsiasi curriculum sopra i 47 anni, si trovano a dover lavorare ancora 18 anni senza sapere come.

E veniamo infine, anche collegandoci al problema dei 50enni appena citato, alla misura che secondo me sarebbe più importante da un punto di vista sociale. Anche perchè in Italia sempre più forte si sente il peso della disoccupazione giovanile. Un peso che porta anche, inevitabilmente dato lo sconforto di chi pur avendo studiato si ritrova senza lavoro, ad aumentare le schiere della "generazione nè-nè" di cui si è anche trattato in questo blog (qui).
Uno Stato muore nel momento in cui non riesce più a dare speranza e certezze ai suoi giovani. 
Già i nostri giovani si sono abituati fin troppo alla situazione di temporaneità e precarietà dei lavori che vengono loro offerti. Se avessero nella loro mente anche la memoria di quanto fosse normale, fino a 20 anni fa, dopo aver studiato, essere stati assunti, ed aver superato il periodo di prova, essere confermati a tempo indeterminato, forse sarebbero molto più arrabbiati di quello che sono.
Il nostro governo dice di aver fatto molto per la crisi destinando molte risorse alla cassa integrazione, ma non capisce che la cassa integrazione, la solidarietà (strumento recente e ancora poco usato) e la mobilità, oltre ad essere temporanei, sono rivolti solo a chi ha già un lavoro a tempo indeterminato. Siamo al paradosso che si è "modernizzato" il mercato del lavoro, temporaneizzandolo e precarizzandolo, senza adeguare gli ammortizzatori sociali. Per non parlare della grande depressione al consumo, che pure sta tanto a cuore alla nostra classe dirigente, che ciò comporta, anche in termini di mancanza di certezze e insicurezza sul futuro.
La cassa integrazione è superata, lo strumento che andrebbe assolutamente introdotto è il salario minimo per i disoccupati. Il cosiddetto "reddito minimo garantito".
E qui non saltino subito all'indignazione i troppi che confondono superficialmente tale strumento con un incentivo ai fannulloni. Tale strumento esiste già in altri paesi europei, anzi in tutti i paesi europei ad eccezione di Italia e Grecia.
Si veda qui (fonte Caritas) per capire quali paesi lo erogano e qui per capire meglio le modalità di erogazione.
Quindi non si tratta di inventare nulla, ma di scegliere un modello esistente e magari migliorarlo con controlli migliori e parametri adeguati.


Il reddito minimo di cittadinanza dovrebbe essere un sussidio riconosciuto a tutti i cittadini come diritto soggettivo; ne dovrebbero beneficiare coloro che non hanno un lavoro o hanno un reddito troppo basso per sopravvivere. L’erogazione di tale reddito nei paesi dove esiste è finalizzata a consentire a ciascuno di soddisfare i propri bisogni di base (quali mangiare , avere una casa, vestirsi ed acquistare determinati beni culturali di base), permettendo così agli individui di essere in grado di vivere una vita dignitosa.
Per chi non lo sapesse, e molti italiani non lo sanno (volutamente), già nel lontano 24 giugno 1992 l’Europa aveva invitato gli stati membri ad adottare il reddito minimo nei loro sistemi di welfare. La raccomandazione 92/441 CEE sulla garanzia minima di risorse, impiegava già nel 1992 tutti gli stati membri ad adottare delle misure di garanzia di reddito come un elemento qualificante del modello di europa sociale.
Persino il Portogallo e la Spagna hanno seguito la direttiva , mentre inadempienti sono rimaste solo l’Italia e la Grecia
Il reddito minimo è una delle ragioni che emancipa i cittadini europei nella quasi totalità. 
Agli italiani tale aiuto è negato. Perchè? E' un'ingiustizia grave, e la nostra classe politica dovrebbe darne conto.
Non so quanti tra noi si renderanno conto del fatto che la nostra situazione è imparagonabile a quella inglese, francese, tedesca, olandese: abbiamo un maggiore divario tra redditi, un maggior numero di disoccupati e precari, un'assenza totale di reddito minimo, affitti delle case alle stelle; l'eurostat dice che la nostra situazione è tra le peggiori in europa.

Il reddito minimo permette di guardare al lavoro sotto una prospettiva più di scelta che di necessità. Non è detto che una persona debba voler far il cameriere o l’operaio, a vita fino alla pensione. Una maggiore mobilità unita a garanzie sicure può essere un'occasione di migliorare la propria posizione.
In Italia invece il mezzo (il lavoro) diventa il fine.
Se si volesse applicare il reddito di cittadinanza in Italia, partendo dai circa 2 milioni di disoccupati, basterebbe moltiplicare tale dato per una cifra base di 400 euro mensili e poi per i 12 mesi dell’anno, per saper quanti soldi servirebbero effettivamnìente. Il risultato, circa 9 miliardi di euro all’anno (0,5% del pil), è una cifra irrisoria, sopratutto se si considera, un esempio tra i tanti, che l’Italia è l’ottavo paese al mondo per le spese complessive della difesa militare, con circa 24 miliardi di euro che verranno erogati nel 2011.

ALCUNI ESEMPI DI "REDDITI DI CITTADINANZA" NEI PAESI EUROPEI:

Gran Bretagna: a partire dai 18 anni chi non ha un lavoro e non ha risparmi per più di 12.775 euro , ha diritto all’income-based Jobseeker’s Allowance , cioè circa 350 euro al mese per un periodo di tempo illimitato.

Germania: la riforma “restrittiva” (nel senso che prima era ancora più larga) introdotta nel 2005 indica che tra i 16 e i 65 anni si può disporre dell’Arbeitslosengeld II di 345 euro al mese più i costi dell’affitto e del riscaldamento. Una famiglia con due figli e un padre disoccupato, ottiene un integrazione del salario che lo porta a disporre complessivamente di 1665 euro al mese.

Francia: per aver diritto al revenu minimun d’insertion bisogna aver compiuto 25 anni . RMI prevede (nel 2005) l’integrazione del reddito a 425 euro per un disoccupato solo , che diventano 638 euro se in coppia : 765 se la coppia ha un figlio , 893 per due figli e 170 euro in più per ogni altro figlio . una coppia con 3 figli arriva quindi ad avere più di 1150 euro di rmi. Le coppie ( che lavorino o meno) con almeno 2 figli  hanno diritto alla allocations familiales : 115 euro al mese; con tre figli gli euro diventano 262 e se i figli ono più di 3 a questa cifra vanno aggiunti altri 147 euro (per ogni figlio in più) - per quanto tempo ? fino al compimento del ventesimo anno di eta. come si ottiene il sussidio ? Non occorre fare domande. viene versato automaticamente.

Belgio: è chiamata minimax, è un diritto individuale , garantisce  un reddito minimo di circa 650 euro a chi non dispone di risorse sufficenti per vivere. Ne può usufruire chiunque.

Lussemburgo: il revenue minimun guaranti è definito legge universale, un riconscimento individuale fino al raggiungimento di una migliore condizione personale. L’importo è di 1100 euro mensili.

Norvegia: si chiama stonad til livsopphold, letteralmente “reddito di esistenza”, erogato a titolo individuale senza condizione di età, con un importo mensile di oltre 500 euro e la copertura delle spese d’alloggio ed elettricità.





4 commenti:

P ha detto...

Caro Maurizio,
mi è piaciuto molto il tuo "Cinque punti", di cui ho apprezzato soprattutto la semplicità, la chiarezza, la linearità.
Non sono certo che la realizzazione di questo programma sarebbe davvero in grado di raddrizzare l'Italia, e ti chiedo se su questo hai qualche informazione o qualche elemento in più.
Sono però certo che è solo attraverso un discorso chiaro come questo, con obiettivi comprensibili e condivisibili, non certo con fumisterie inseguendo sempre il Berlusca, che potremmo ricostruire una forza di sinistra in Italia. Purtroppo ne siamo molto lontani.
Grazie, Complimenti
P.

mausab ha detto...

Caro P,
sono veramente molto onorato del tuo apprezzamento.

Dal punto di vista "quantitativo" è difficile fare calcoli, io però, in base alle grandezze in gioco, credo che non solo si raddrizzerebbe ma si inizierebbe una spirale virtuosa, e alla grande.
Certo che però dipende tutto dalle "tecnicalità" che si adotterebbero e dagli ambiti e dalle aliquote... per esempio una patrimoniale del 5% il primo anno sui redditi alti (per recuperare il pregresso mai tassato) e poi dell'1% nei successivi, su tutti i patrimoni (immobili e mobili) e anche sulle società, o una patrimoniale dello 1% solo sugli immobili delle famiglie (come vorrebbe Confindustria) e non su tutto il patrimonio, sono cose molto diverse. Credo che gli ordini di grandezza varino dalle decine di miliardi alle centinaia di milioni di euro. All'Italia occorrerebbe la prima.
Per inciso ti consiglio di leggere i dettagli di questa proposta (http://www.linkiesta.it/la-patrimoniale-si-ma-con-una-nuova-classe-dirigente), molto seria, oltretutto proveniente da fonte non certo di parte (di sinistra dico): Pietro Modiano, presidente di Nomisma e ex banchiere, che ha elaborato una proposta di tassa patrimoniale sul 20% più ricco della popolazione italiana, dal gettito davvero rilevante di circa 100 miliardi!
L'evasione fiscale è stimata in modi molto diversi, io credo si aggiri sui 150-200 miliardi di €. Farne emergere anche solo il 50% (anche grazie al controbilanciamento delle riduzione delle aliquote) porterebbe enormi risorse, oltretutto costanti nel tempo.
Queste sole due manovre, senza stare a quantificare l'impatto dello sradicamento di corruzione e delinquenza (enormi pure questi), darebbe un gettito gigantesco, in grado di permettere un'abbassamento delle aliquote IRPEF : tre punti di Irpef tagliati al primo scaglione attuale, dal 23 al 20%, costano circa 14 miliardi di euro (http://www.lettera43.it/economia/macro/18776/giulio-l-illusionista.htm).
Un reddito minimo garantito di cittadinanza di 400 € pesa sui 10 miliardi di euro (400 € * 12 *2000000 di disocc.). Potemmo permettercelo pure del doppio. Senza considerare il fatto che andrebbe a sostituire gli altri ammortizzatori sociali (Cassa Integrazione Ordinaria e Straordinaria, Mobilità, Solidarietà ecc.), per cui il saldo si ridurrebbe.

Grazie ancora.
maurizio

mausab ha detto...

Anche Draghi d'accordo sul reddito minimo di cittadinanza.

...l'ammonimento è del governatore della Banca d'Italia che, intervenendo il 26 ottobre 2011 alla Giornata mondiale del risparmio, prima elenca gli elementi di debolezza del sistema Paese...
(...)
"... ridurre la segmentazione oggi esistente nel mercato del lavoro e rendere più universali, oltre che più efficaci e rigorose, le tutele fornite riequilibrerebbe le opportunità occcupazionali e le prospettive di reddito, oggi fortemente sbilanciate a favore delle generazioni più anziane. Un contratto con protezioni crescenti nel tempo - ha proseguito - l'introduzione di un moderno sistema di sussidi di disoccupazione, renderebbero il mercato dle lavoro più fluido ed efficiente; oltre che più equo; ben disegnate misure di tale tipo potrebbero anche favorire i livelli di partecipazione nel mercato del lavoro. Ne beneficierebbe - ha concluso Draghi - anche la propensione verso forme di risparmio più orientate sul lungo termine, che, opportunamente convogliate, potrebbero a loro volta facilitare la nascita e lo sviluppo di imprese nuove e a più alto potenziale innovativo".

http://www.repubblica.it/economia/2011/10/26/news/draghi_la_crisi_ha_radici_nazionali_pi_equit_per_i_giovani-23894898/?ref=HRER3-1

mausab ha detto...

In relazione a quanto sia iniquo riferirsi alle pensioni ome primario elemento per trovare risorse s i legga questo interessante articolo

Pensioni: perchè è giusto indignarsi
di Felice Roberto Pizzuti, da il manifesto, 27 ottobre 2011

Siamo nel bel mezzo di quella che si avvia a diventare la più grave crisi economica del capitalismo e c'è chi mette al primo posto delle cose da fare una nuova riforma pensionistica in Italia. Sembrerebbe che se non si fa quest'intervento, l'Italia non reggerebbe alla «critica» dei mercati, il suo bilancio pubblico andrebbe in default e, per effetto domino, crollerebbe l'euro, l'Unione europea e l'economia mondiale. Boom!

In effetti, la situazione è drammatica, ma come avrebbe detto Flaiano, non è seria. E non lo è anche per i risolini del duo Merkel-Sarkozy che certo non depongono a favore della loro levatura di statisti ma mostrano come si possa sfruttare la reputazione di barzellettiere del nostro presidente del consiglio per distogliere l'attenzione dai problemi dei sistemi bancari francese e tedesco (particolarmente esposti al ben più probabile default greco) e dai vincoli che le prossime scadenze elettorali nei loro paesi stanno esercitando nel fronteggiare la crisi.
Rimane da spiegare l'attenzione spasmodica verso il nostro sistema pensionistico che non più tardi di qualche mese fa veniva presentato come il nostro fiore all'occhiello rispetto ai ritardi e alle difficoltà di riforma incontrati da altri paesi, a cominciare dalla Francia.

La situazione del nostro sistema previdenziale, per ammissione comune, è strutturalmente in equilibrio attuariale. Tuttavia, alcuni sostengono che la fase di transizione al suo funzionamento a regime sarebbe molto lunga, il ché - si lascia intendere - determinerebbe un vulnus finanziario nel sistema e, conseguentemente, per il complessivo bilancio pubblico. I dati mostrano che non solo non è così, ma accade il contrario: il saldo tra le entrate contributive e le prestazioni pensionistiche previdenziali al netto delle ritenute fiscali (cioè quanto esce dalle casse pubbliche e entra nelle tasche dei pensionati) è attivo per un ammontare di 27,6 miliardi, pari all'1,8% del Pil (ultimi dati disponibili riferiti al 2009). Questo avanzo si verifica in misura crescente dal 1998, a riprova che le riforme degli anni Novanta erano state efficaci rispetto al giusto obiettivo di riportare il sistema pubblico in condizioni di sostenibilità finanziaria, ma si è andati oltre. Sono state eliminate iniquità di trattamento e prestazioni giustificate da logiche clientelari e di consenso elettorale, ma le previsioni segnalano anche una forte generalizzata riduzione del grado di copertura pensionistica e la corrispondente maturazione di un grosso problema sociale: prima delle riforme del mercato del lavoro e pensionistiche avviate negli anni Novanta, un lavoratore dipendente poteva normalmente accumulare 40 anni di contributi e ritirarsi anche prima dei 60 anni con una pensione pari a circa l'80% dell'ultima retribuzione; nel 2035, un lavoratore parasubordinato che con difficoltà sarà riuscito ad accumulare 35 annualità contributive, ritirandosi a 65 anni, maturerà un tasso di sostituzione pari a circa la metà.

Leggi tutto: http://temi.repubblica.it/micromega-online/pensioni-perche-e-giusto-indignarsi/