IL MONDO E' COME UNO SPECCHIO

Osserva il modo in cui reagisci di fronte agli altri. Se scopri in qualcuno una qualità che ti attrae, cerca di svilupparla in te stesso. Se invece osservi una caratteristica che non ti piace, non criticarla, ma sforzati piuttosto di cancellarla dalla tua personalità. Ricorda che il mondo, come uno specchio, si limita a restituirti il riflesso di ciò che sei.

mercoledì 7 dicembre 2011

Il miraggio dell'equità


Come volevasi dimostrare (vedi questo stesso blog il giorno 2-12) le pensioni sono la trave portante della nuova manovra. Obbedendo ai diktat dei poteri forti che l'avevano richiesto Monti parte subito attaccando con la scure il settore previdenza. 
Ci voleva davvero un Monti per fare provvedimenti simili? Perchè sul settore evasione non si fa nulla a parte il ridicolo (e qualsi irridente) 1,5% sui patrimoni scudati?
"Equità, Rigore e Sviluppo..." diceva il nostro ma, se il buongiorno si vede dal mattino, la bugia è stata servita.

Come si può parlare di equità e partire dalle pensioni? Pensare di intaccare i famosi 40 anni (per altro già intaccati da Tremonti con un anno e tre mesi in più con contributi regalati),  bloccare il riadeguamento all'inflazione (che è sempre retroattivo e inferiore), ridurre gli importi anche per chi aveva 18 anni di lavoro prima del 95, aumentare l'età pensionabile, può essere considerata una priorità di equità? Di rigore? Di sviluppo?
Di equità senz'altro no dato che colpisce l'unica categoria di cittadini che attualmente paga le tasse (il 90% dell'Irpef viene pagata da lavoratori e pensionati come vedremo innanzi). Nè si sente parlare del taglio delle cosiddette pensioni d'oro o di quelle erogate ai parlamentari senza il corrispettivo contributo che le giustifichi.
Di rigore non si direbbe dato che più volte si è detto quanto i conti dell'INPS siano ora in equilibrio e di come per il futuro le pensioni italiane -in virtù delle varie manovre già effettuate- siano tra le più virtuose in Europa.
Di sviluppo nemmeno, dato che far lavorare di più chi già lavora (togliendo possibilità a giovani di sostituire chi va in pensione), tagliare gli assegni futuri, o togliere l'indicizzazione hanno effetti contrari.
E allora... perchè accanirsi con chi già paga ed è tartassato? Perchè non partire da una riforma fiscale che inizi a far pagare tutti in modo più equo? Perchè non tassare in modo normale, come in tutta Europa, le rendite finanziarie equiparandole ad un reddito (e tale è)?
Perchè non mettere in atto quelli che in questo blog ho chiamato "I 5 passi per risolvere i problemi dell'Italia"?
Nessuna delle riposte che mi vengono in mente, per ora, mi piace. Però vorrei attendere gli eventi prima di parlarne ulteriormente.

Ma veniamo alla famosa "equità" che è un caposaldo su cui è stata basata la fiducia al governo Monti.
La pressione fiscale è in aumento e l'Italia è quinta nell'Unione europea per il peso delle tasse. Lo rileva l'Istat, secondo cui nel 2009 la pressione fiscale complessiva rispetto al Pil è passata al 43,2%, dal 42,9% dell'anno prima.
Ma se guardiamo il carico fiscale sul lavoro 
l'Italia è il Paese Ue dove è più alto: lo ha reso noto a suo tempo l'Eurostat in base al confronto effettuato sui dati relativi al 2007. In Italia, secondo Eurostat, le tasse e i contributi sociali rappresentano il 44% del costo del lavoro contro il 42,3% della Svezia e il 42,3% del Belgio. 
Ma non è finita, come abbiamo già anticipato,  in Italia pensionati e lavoratori dipendenti dichiarano più del 90 % dei redditi complessivi ai fini Irpef! Come lo si desume?
Qualche tempo fa il Ministero del Tesoro ha pubblicato, per l’anno 2006, dati più dettagliati sui redditi dichiarati e sull’Irpef pagata dai dipendenti e dai pensionati. Sottraendo questa parte di Irpef dal totale di quella pagata si possono calcolare redditi e imposte degli imprenditori e autonomi. E' stato usato quell’anno, il 2006, per cercare di capire il mistero di quanto pagano lavoratori, pensionati e i restanti percettori di redditi autonomi.

Pressione fiscale e Irpef primo aspetto: la pressione fiscale media in relazione al Pil. Il Pil era 1479,981 miliardi. Le imposte ammontarono a 624 mld di cui 220 mld di indirette, 213 mld dirette, 189 mld di contributi effettivi e figurativi e 0,2 mld in conto capitale. Le imposte pesavano quindi per il 42,1 % del Pil. Nel Pil l’Istat calcola una quota di economia sommersa che nel 2006 stimava in 250 miliardi. Il Pil dell’economia legale, quella su cui si pagano le tasse dirette e i contributi, diventa 1230 miliardi e la pressione fiscale cresce al 50,7%. 
Una pressione fiscale di livello svedese senza però i benefici di quel sistema sociale!
I redditi complessivi ai fini Irpef sono stati circa 741 miliardi, di questi 422 mld sono stati dichiarati dai contribuenti con un reddito prevalente da lavoro dipendente, 246 mld da quelli con reddito prevalente da pensione e 72 mld da quelli per i quali prevale una attività economica. 
Pensionati e lavoratori dipendenti dichiarano il 91,1% dei redditi complessivi ai fini Irpef! 
L’Irpef netta ammontava a 146 mld, comprese le addizionali comunali e regionali. I lavoratori dipendenti ne hanno pagati 88,5, i pensionati 44,5. Per differenza dal totale deduciamo che appena 13 mld sono stati pagati dagli indipendenti. Prima conclusione: l’Irpef è pagata per il 60,6% dai dipendenti, per il 30,4% dai pensionati e per il 9% da imprenditori e autonomi. Secondo aspetto, i contributi sociali. Nel 2006 i contributi sociali ammontavano a 189 mld, di cui 165 mld (87,3%) versati dai lavoratori dipendenti e 23 mld (12,1%) dagli indipendenti. 

Terzo aspetto, le imposte indirette.
Non è facile attribuire alle categorie sociali la rispettiva quota di imposte indirette.
Quelle sui prodotti di acquisto, (escludendo quindi Ici, Irap e imposta sul registro, ecc...) ammontavano sempre nell'anno il 2006, a circa 160 miliardi.
Per calcolare la parte attribuibile a ciascuno dei tre gruppi sociali, occorre valutare la quantità dei loro consumi effettivi sulla base dei redditi reali netti e non del solo dichiarato, meno la quota di reddito risparmiata. Qui vengono in aiuto i dati che Banca d'Italia pubblica nell'indagine sulla ricchezza delle famiglie italiane, che sono il vero attore della spesa. Possiamo stabilirne una distribuzione proporzionale al reddito percepito dalle diverse categorie sociali, anche se tutti convengono che gli autonomi hanno una maggiore capacità di risparmio (37% dei redditi secondo Banca d'Italia, contro il 20 dei pensionati e il 25 dei dipendenti) e che gli indipendenti scaricano parte dell'Iva.
Secondo questa indagine i 10,8 milioni di famiglie con a capo un lavoratore dipendente nel 2006 hanno consumato 275,7 mld, i 9,23 milioni di famiglie con a capo un pensionato o ritirato dal lavoro 179 mld e i 2,8 milioni di famiglie con a capo un imprenditore o un autonomo 86 mld. Proporzionalmente a questa suddivisione dei consumi, soprassedendo sul fatto che gli autonomi non pagano una parte dell'Iva (auto, attrezzature, ecc.), si può stimare che le imposte siano così distribuite: lavoratori dipendenti 81,6 mld, pensionati 52,8 mld, imprenditori e autonomi 25,6 miliardi.

A questo punto possiamo desumere la reale pressione fiscale e contributiva sui tre gruppi di persone fisiche. Il totale complessivo di Irpef, contributi e imposte indirette è così ripartito: 
lavoratori dipendenti 335 mld, pari al 67,8%; 
pensionati 97,3, pari al 19,7%
indipendenti 61,6 mld, pari al 12,5%.

Gli indipendenti secondo Banca d'Italia possedevano nel 2006 un reddito familiare superiore del 44% a quello dei dipendenti, un reddito individuale superiore del 48%, una ricchezza mediana superiore del 79% (quella finanziaria superiore del 200%). 
Il 22% degli indipendenti possiede patrimoni di oltre 500 mila euro contro il 7,4% dei dipendenti (quasi tutti dirigenti). Questo solo guardando il dichiarato.
Secondo l'indagine della Banca d'Italia sulla ricchezza delle famiglie italiane, il 10% delle famiglie più ricche possiede il 45% della ricchezza (in termini di patrimonio). Nel 2008 (anno cui i dati si riferiscono) la ricchezza totale era di 8.500 miliardi di Euro. Parliamo di circa 4.000 miliardi nelle mani del 10% della popolazione. E non sono certo lavoratori dipendenti o pensionati.

Le restanti principali imposte sono l'Ires, l'Irap, l'Ici, le tasse sostitutive su dividendi e interessi. L'Ires riguarda le società di capitali e non le persone fisiche, l'Irap corrisponde come gettito all'incirca ai contributi sanitari dei lavoratori dipendenti che non abbiamo calcolato sopra. Le imposte sostitutive sul capitale sono prevalentemente tasse sui conti correnti (tassati al 27%) che posseggono l'89% delle famiglie e sugli interessi del debito pubblico che (tolto l'80% di essi in possesso di soggetti esteri e di banche) sono prevalentemente in possesso di pensionati e dipendenti. L'Ici nel 2006 era pagata anche sulla prima casa e quindi incideva su tutte le categorie sociali.

In conclusione i lavoratori e pensionati pagano circa l'88% di tutte le tasse del paese
Secondo l'Istat i redditi da lavoro dipendente lordi erano il 60% del totale dei redditi primari e l'altro reddito primario da cui originano tutti i redditi da capitale (gli interessi, le rendite, i dividendi e gli utili) era il 40% dei redditi primari. 
Con una tassazione anche solo meramente proporzionale, ma non dovrebbe essere così in osservanza del dettato Costituzionale che invece prevede la progressività,  il gettito dovrebbe rispecchiare ALMENO queste proporzioni. Solo così c'è una differenza del 30%! E se applicassimo la progressività dovrebbe essere che quel 10% di popolazione dovrebbe pagare il 50% delle tesse...

In Italia quindi lavoratori e pensionati mantengono in vita il Paese, e in molti (sempre di più)  non riescono a risparmiare e spesso si indebitano. Il 10% della popolazione, la classe ricca, lucra i benefici pubblici, evade le tasse e accumula patrimoni che non sono neanche tassati.
Questa non è equità.
E se partiamo dalle pensioni, ribadisco, siamo lontani anni luce da questo concetto.

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