(Ricordo le parole di Paolo Becchi: meglio una fine spaventosa che uno spavento senza fine).
Cosa si potrebbe veramente fare per uscire dalla situazione? Uscire dall'euro, riappropriarsi della sovranità monetaria: certo, i mutui costeranno di più, le materie prime aumenteranno, l'inflazione crescerà, ma tornerebbe il lavoro per i giovani, le imprese non chiuderebbero, il paese tornerebbe a prosperare... cosa vale di più?
Una classe dirigente che non ha mai veramente lottato per vivere e che non conosce il paese può veramente salvarci?
Quali le ragioni per cui Monti ha completamente fallito gli obbiettivi per cui è stato prescelto e "calato" dall'alto del potere bancario?
Propongo la lettura di tre articoli veramente notevoli per chiarezza e competenza che rispondono a queste domande.
Il primo, di Marco della Luna, ci spiega come uscire dall'euro e riappropriarsi della sovranità monetaria. Certo che ci sono dei costi ma non c'è soluzione senza costi. Questo deve essere chiaro. Negli anni 70 l'inflazione era altissima, ma c'era lavoro per tutti e il paese produceva come e meglio della Germania. Della Luna elenca altre misure utili, quasi lapalalissiane che potrebbero innescare la spirale virtuosa.
Il secondo pezzo, di Sergio Di Cori Modigliani, uno dei blogger più interessanti e geniali che mi è dato seguire, ci parla con argute metafore, della "mutazione metafisica" che la classe dirigente del paese dovrebbe fare per farci emergere. La teoria dei pinguini impazziti, assimilati ai vari Giannino, Barnard, Ingroia, Facci e Stieglitz, è veramente notevole.
L'ultimo articolo, di Piero Bevilacqua, spiega chiaramente le ragioni per cui Monti ha fallito il suo compito favorendo le èlite finanziarie dominanti (sarà per questo che ha fallito? Ha fatto l'interesse di quel potere) e non i cittadini e lo Stato, aumentando la recessione, il debito pubblico e minando la fiducia dei mercati nell'Italia.
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25.07.12 Marco Della Luna
Si va a grandi passi verso rotture e cambiamenti nell’Eurosistema. Salva una resipiscenza dell’ultimo momento, qualcuno, in estrema ipotesi i militari, per forza di cose misure prenderà misure radicali non previste dalla costituzione e dalle leggi. La situazione italiana sta precipitando e il paese è in avvitamento fiscale – recessivo; tutti i rimedi esperiti sono falliti; non vi è solidarietà europea, ma al contrario approfittamento ed imperialismo.Ormai è palese che Monti è impotente o ha fatto altri interessi, e che la Merkel e i suoi giudici costituzionali stanno prendendo tutti per i fondelli. L’Eurosistema non funziona, è strutturalmente sbagliato, non si può fare affidamento su di esso.
Queste sono le misure urgentissime per evitare il disastro, mantenendo un apparato produttivo vitale e un livello di civiltà anche giuridica accettabile :
1) Mettere Monti col suo governo in villeggiatura coatta a Campo Imperatore, disponendo intorno al Gran Sasso batterie antiaeree per impedire alla Luftwaffe di interrompere la villeggiatura e riportalo al suo sobrio lavoro.
2) Previo accumulo di scorte di combustibili e carburanti per l’invernata, uscire dall’Eurosistema, tornare alla Lira, dotandosi di una banca centrale a capitale pubblico e controllata dal Tesoro, che assicuri l’acquisto dei titoli del debito pubblico sul mercato primario e li tolga dai mercati speculativi; la banca centrale sarà oggetto di pubblica revisione dei conti; i suoi utili, dedotte le riserve, saranno girati annualmente al Tesoro.
3) Imporre alle banche di commerciali vincoli di portafoglio come fino agli anni ’80, e imporre al Tesoro vincoli di destinazione produttiva per le nuove emissioni di debito pubblico.
4) Concedere solo licenze bancarie per la raccolta del risparmio e l’erogazione del credito, escluse attività di trading; fondazione di banche pubbliche per il credito alle pmi, alla ricerca, all’illustrazione. Munire di garanzia statale i depositi bancari.
5) Uscire dal Mercato Comune Europeo e istituire controlli sui flussi di capitali, onde prevenire che i capitali esteri approfittino della prevedibile svalutazione della Lira per comperare l’Italia a prezzi di saldo.
6) Ridenominare in Lire i debiti pubblici e privati al cambio di 1.836,27.
7) Finanziare con emissione di Lire programmi di investimenti infrastrutturali, di autosufficienza alimentare e di messa in sicurezza idrogeologica del paese.
8) Introdurre federalismo fiscale e costi standard orientati alle best practices nella spesa della pubblica amministrazione, responsabilizzando ogni regione.
9) Porre un tetto a 120.000.000 annui netti a tutte le pensioni pubbliche, e di £ 180.000.000 a tutti gli stipendi pubblici; sostituire tutti i consigli di amministrazione delle società a partecipazione pubbliche con amministratori unici.
10) Abolire l’Irap, ridurre l’Iva al 18%, abbattere il cuneo contributivo; abbattere le imposte sugli immobili; abbattere le imposte sui redditi e renderle progressive; dimezzare le accise sui carburanti, fissare la pensione minima a £ 1.200.000 e il salario minimo a € 2.000.000 mensili, modulabile per gabbie salariali; aumentare gli stipendi pubblici e privati, salvi i limiti suddetti; ripristinare la scala mobile adeguando il paniere Istat; separare gli enti previdenziali da quelli assistenziali.
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22-07-12 di Sergio Di Cori Modigliani
L’Italia è malata.
Lo hanno capito tutti, anche i più riottosi, lo sanno ormai tutti.
Alcuni, i più ideologizzati e manipolatori, sostengono, invece, che l’Italia è in crisi, dando ad intendere che i fondamenti sono sani, che le banche sono sane, che l’industria è sana, che lo Stato è sano, ecc.,ecc. Non è così. E’ Falso. La crisi dell’Italia è la conseguenza della malattia. Se si superasse la crisi la malattia resterebbe, quindi il corpus sociale seguiterebbe a soffrire esattamente come prima, anzi, più di prima. Con l’aggravante che non ci sarebbe più nessuno a registrarne i dolori. E’ bene dunque, per chiunque sia interessato al futuro potenziale dell’Italia, non farsi illusioni e dedicare pensieri, energie e possibili soluzioni per guarire il malato. La crisi, quindi, fintantoché non viene aggredita la malattia, non si risolverà mai e diventerà perenne. E in economia –così come nel sociale e nella psicologia- quando la crisi diventa perenne e non è più limitata e circoscritta nello spazio e nel tempo, si trasforma in un fatto endemico, quindi in un agente patogeno costante che produrrà soltanto ed esclusivamente soggetti e situazioni ad alto rischio patologico, finchè quella specifica etnia prima regredisce, poi decade, e infine si estingue spazzata via da altre etnie sane. Le malattie socio-psico-economiche, anche se il mondo è ormai globalizzato, vanno identificate, riconosciute, e quindi diagnosticate, nella specificità del loro localismo originale. L’unica novità, rispetto alla precedente fase della modernità pre-globale consiste nel fatto che, oggi, la “cura localistica” deve essere tale da poter essere riconosciuta come “compatibile” con le esigenze del resto del globo. Questo vuol dire, in termini politici, “sviluppo eco-sostenibile”. Se una nazione –tanto per fare un esempio qualunque- sta in crisi ed è mussulmana, è assolutamente privo di senso (oltre che inefficace e inefficiente) proporre, o addirittura peggio, imporre, una qualsivoglia medicina non gradita e non consona alle tradizioni e usi dei mussulmani. E così via dicendo per tutti e dovunque. Basterebbe questo per far comprendere la motivazione per cui i diktat della BCE sono risibili e l’idea teutonica di base potrebbe (alla lunga) rivelarsi un agghiacciante boomerang per la Germania: spingerebbe quella nazione a riesumare il loro personalissimo cancro di sogno egemonico imperialista di una razza superiore agli altri. E la Germania finirebbe per ammalarsi di nuovo gravemente. Chi è malato va curato con la cura che funziona per quell’individuo; in questo caso, per quell’etnia o quel paese. In Europa, la Grecia sta come l’Italia: sono in crisi e sono malate. Anche la Spagna. La Francia no. E’ in crisi ma non è affatto malata. Idem la Gran Bretagna: gravissima crisi socio-economica al limite del baratro (molto peggio dell’Italia) ma non ancora malata. La Germania non è in crisi affatto e non è neppure malata, provoca le crisi degli altri perché ha costruito un anello invisibile di anticorpi che funzionano soltanto per loro. La “peste mediterranea” si ferma alle alpi austriache e torna indietro. E così via dicendo.
L’Italia sta vivendo in questo momento una fase di totale delirio collettivo, in parte, forse, a sua insaputa (quantomeno me lo auguro: meglio irresponsabili e ignoranti che criminali).
L’attuale governo, infatti, è composto al 100% -cioè la somma di ministri, sottosegretari e dirigenti- da individui che rappresentano la malattia e ne sono la Sintesi Suprema. E’ il peggior governo che l’Italia abbia avuto dal 1861 a oggi, in assoluto. Perché rappresenta soprattutto ed esclusivamente gli interessi principali dell’ala clericale della nostra repubblica, dell’aristocrazia fondiaria, dell’oligarchia tradizionale di stampo medioevale. Non esiste neppure una persona (intendo dire neanche 1, cioè meno di 2) che sia cresciuta in un mondo moderno di capitalismo avanzato laico; sono tutti, assolutamente tutti, individui che provengono da un ceto sociale esclusivo pre-selezionato, abituato per tradizione consolidata familiare al mantenimento dello status quo. Individui ai quali, all’età di diciotto anni, una volta preso il diploma delle scuole superiori, gli è stato comunicato come dove e quando sarebbero diventati ordinari universitari nelle accademie; quali mansioni direttive sarebbero state date loro, e che tipo di carriera avrebbero fatto. Nessuno di questi ha mai pensato di “doversi cercare” un lavoro oppure “costruirsi una carriera”. Sono cresciuti (e hanno avuto ragione) che, a loro, era dovuto. Non esiste nessuno attualmente al governo (neppure i consulenti) che possa mai dire di se stesso di essere stato “a self made man” “a self made woman”, ovvero una persona che si è fatta da sola, sulla base dei propri meriti e della propria competenza tecnica acquisita, per l’appunto: il cancro dell’Italia. La malattia della nostra etnia: la cultura clerico-fascista.
Non esiste neppure 1 probabilità su 100 che questo governo possa (soprattutto voglia) far qualcosa per superare lo status quo. Perché dallo status quo dipende la loro sopravvivenza, il loro privilegio, il mantenimento della loro discendenza. Soltanto nel caso che si verificassero dei comportamenti suicidi, o masochisti, le probabilità porrebbero aumentare. E’ come in Arabia Saudita.
L’Italia berlusconian-montiana è l’Arabia Saudita d’Europa.
La cura?
C’è, ed è soltanto una. “La cura del Pinguino Impazzito”.
Ce la suggerisce Charles Darwin, quando dice (e ha ragione ) “Le specie quando si trovano in presenza del rischio di estinzione si comportano tutte nello stesso modo: mutano”.
Ecco la cura.
E’ necessaria “una mutazione metafisica”.
Lenta e faticosa, come è stato all’inizio qualche milione d’anni fa, quando i nostri antenati per non estinguersi per mancanza di proteine, sono scesi dagli alberi e sono diventati carnivori.
Ma nel sociale, per fortuna, i tempi sono più brevi.
A questo serve la Cultura.
A catalizzare la necessaria mutazione. Ad accelerare il processo.
La “mutazione metafisica” consiste in un ribaltamento concettuale dell’esistenza che ritorni (o vada) ad attribuire Senso e Significato a specifici Valori, fondamentali per la nostra etnia: se non accade ci estingueremo. La specie “Italia” si estinguerà perché avrà scelto di sacrificare l’intera comunità agli interessi di uno sparuto numero di oligarchi, come avviene tra i gorilla. E la necessaria mutazione viaggia attraverso modificazioni comportamentali, individuali e immediate, impossibili ormai da rimandare. Chi lo capisce ed esegue il dispositivo che consente la mutazione, si evolverà. Gli altri scompariranno senza neppure rendersi conto di ciò che sta accadendo loro.
Che cosa c’entrano i pinguini?
Ecco la storia. Di cui io mi sono appropriato per usarla come necessaria metafora per noi. Viene, invece, dalla biologia marina e sta alimentando negli ultimi mesi un furibondo e interessantissimo dibattito in diversi luoghi del pianeta.
Tutto è iniziato un anno fa. E allora scrissi un post sull’evento.
E’ accaduto in Australia, nello stato del Queensland.
Un mattino, dei bambini in spiaggia vedono divertiti una coppia di pinguini e vanno ad avvertire il bagnino, il quale, esterrefatto avverte lo zoo che manda il suo personale. Nessuno può credere all’evento. Uno, il maschio, è stremato dalla stanchezza e dalla fame, ma è vivo, sano e vegeto. L’altra, la femmina, è moribonda, non ce la farà. Lo trasportano allo zoo e immediatamente gli costruiscono in fretta e furia un habitat per lui compatibile. Arrivano da tutto il mondo biologi marini e zoologi per osservare l’evento. Com’è noto, i pinguini (circa un milione) vivono soltanto nell’Antartide argentina, stanno tutti lì perché si nutrono di ciò che lì c’è e la temperatura a loro gradita è intorno ai -10 gradi di media annua. Grandi nuotatori e imbattibili surfisti, scorrazzano nelle vicinanze senza mai allontanarsi troppo. Senza iceberg soffrono e periscono. Come mai una coppia di pinguini aveva nuotato per 12.000 chilometri finendo in un caldo mare del sud? A farci che? Perché? Come mai? Tutti gli zoologi concordi: “il pinguino è diventato matto; gli è frullato qualcosa nel cervello, ha perso la rotta ed è finito qui”. Due uniche proteste, di uno zoologo australiano e di una biologa californiana: “Non è così, stiamo assistendo a un fenomeno unico nel suo genere: questa coppia è l’avanguardia evoluta che ha geneticamente captato in anticipo il fatto che i ghiacci si stanno sciogliendo e al massimo tra 60 anni moriranno tutti, quindi, cercano nuove soluzioni mutanti per adattarsi al nuovo clima e vedere se riusciranno a mangiare anche in posti come i nostri”. I due sono stati considerati due dementi misto new age e greenpeace e silenziati. Il governo ha deciso che il pinguino doveva essere riportato con un aereo frigorifero nel Polo Sud subito. I due hanno protestato sostenendo che era sbagliato. Si sono anche rifiutati di mettergli il microchip. L’hanno riportato laggiù. Quaranta giorni fa, due eventi: uno piccolo, di scarso impatto. Quattro pinguini ( due coppie) si arenano nella costa settentrionale del Cile al confine con il Perù, mare caldo, sabbia. Tre sopravvivono. Tre giorni dopo, invece, un evento clamoroso: 516 pinguini si arenano su una spiaggia tropicale del Brasile, nello stato di Rio Grande do Sud, nei pressi dell’equatore, alcuni arrivano addirittura nella spiaggia di Ipanema a Rio de Janeiro. Si arenano perché non sono ancora abituati alla sabbia che non conoscono. Sono morti tutti di fame. Perché? Sono tutti impazziti? E se sì, che cos’è che li ha fatti impazzire? I zoologi si stanno scannando sulle motivazioni, perché i pinguini si affacciano ogni tanto (pochissimi) anche al nord, ma mai a quella latitudine. Certamente, quei pinguini sono un po’ strani. Gli altri pinguini stanziali li considerano folli.
Splendida metafora.
Da cui “la cura del pinguino impazzito”.
Dei pazzi.
E se fosse un pinguino impazzito Paolo Barnard?
E se lo fosse Gioele Magaldi?
E se lo fosse Oscar Giannino?
E se lo fosse Antonio Ingroia che si dimette se ne va in Guatemala per un anno? Che ci va a fare uno di Palermo a Tegucigalpa?
E se lo fosse, in campo mediatico, (a destra) Filippo Facci che un mese fa, intervistando in diretta il sottosegretario Martone (uno sano) che in allegria sosteneva “l’Italia sta su un’ottima strada perché Monti sta spingendo l’Italia esattamente verso una situazione come quella della Spagna” l’ha interrotto e gli ha detto “ma lei si rende conto di ciò che sta dicendo o non ha la minima idea di ciò che sta dicendo? Che fa? Ci prende anche in giro, adesso?” e che tre giorni fa all’ex direttore rai Alberto Minzolini gli ha chiesto “ma lei non si vergogna di aver fatto la scelta che ha fatto?”; e non sarà forse un pinguino impazzito (a sinistra) il giornalista Antonello Caporale che si è dimesso da la Repubblica ed è passato a Il Fatto Quotidiano per una cifra nettamente inferiore “perché ho voglia di dare un Senso alla mia professione di giornalista”?
Non sarà un pinguino impazzito il premio Nobel Joseph Stieglitz che ha annunciato l’affondamento dell’Italia entro ottobre, contestato e protestato da Mario Draghi (uno sano) che ha detto “l’Euro è sano, l’Italia è sana, gode di ottima salute e l’euro sta benissimo, non esiste nessun motivo di preoccupazione” cominciando a diffondere la calunnia che Stieglitz ha perso la testa ed è diventato matto?
Non sarà un pinguino impazzito il vice-presidente della Confindustria, l’imprenditore anti-mafia Ivan Lo Bello che ha dichiarato “La Sicilia è a rischio default immediato, si corre il rischio di una sollevazione popolare e in quell’ambiente può essere un evento pericoloso” definito dal governatore Lombardo (per l’appunto) “un pazzo” al quale ha augurato “meglio che vada a morire ammazzato”?
Non saranno, forse, tutti questi, soltanto dei “pinguini impazziti” che, chi a destra chi a sinistra, chi in un luogo chi in un altro, ci stanno ammonendo sulla necessità di una immediata mutazione metafisica?
Fa paura a tutti nuotare nell’oceano caldo, per noi pinguini abituati ai rassicuranti iceberg perenni, me ne rendo conto.
Ma non esistono alternative.
O si rimane nel mucchio, tutti appicccicati, sperando che il ghiaccio non si sciolga, e ci si affida alla bontà di Dio, oppure è meglio impazzire. Seguire la propria follia e imparare ad abituarsi alla sabbia, a una temperatura diversa, a mangiare altri pesci, altri plancton. Le prime avanguardie, come i 516 pinguini finiti ai tropici, sono destinate a perire, morendo di fame. Ma ne arriveranno altri, e cominceranno ad adattarsi.
Quei pinguini impazziti sanno che il milione restante, prima o poi, finirà spiaccicato sulla fredda battigia del Polo Sud; moriranno tutti di stenti, di fame, di caldo.
Gli altri, intanto, al calduccio si saranno già abituati.
In quanto pazzi, si sono mutati.
A questo serve la Cultura.
Secondo me, quelli sono Pinguini Colti.
Meglio soli ed evoluti che tutti insieme verso la nuova Auschwitz del pensiero unico tecnocrate.
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23 LUGLIO 2012 di Piero Bevilacqua
È possibile fare un breve e disincantato bilancio del governo Monti? La prima, avvilente constatazione, è che in quasi 9 mesi di “riforme” e di “vertici decisivi” la montagna del debito pubblico italiano non è stata neppure scalfita. Anzi si è fatta ancora più alta e imponente. Il debito ammontava a 1.897 miliardi di euro nel dicembre 2011, oggi è arrivato a. 1.966.Dunque, la ragione fondamentale della nostra condizione di rischio, la causa causarum delle nostre difficoltà presenti e future si è ulteriormente aggravata. Lo spread si mantiene elevato e torna sui 500 punti. Il Pil – questo vecchio totem delle società capitalistiche – è nel frattempo diminuito e diminuirà ancora. Scenderà di oltre il 2% nel 2012. Dicono gli esperti che si riprenderà nel 213. Ma per quale felice congiunzione degli astri non è dato sapere. Qui, infatti, la scienza economica si muta in astrologia, dà gli oroscopi. L’elenco dei disastri non è finito.
La disoccupazione è aumentata, quella giovanile in particolare. Per quella intellettuale in formazione il governo propone ora di aumentare le tasse universitarie, così potrà essere efficacemente ridotta… Una nuova tassa sulle famiglie italiane di cui occorrerebbe informare l’on. Casini, che ne è uno zelante difensore.
Nel frattempo le più importanti riforme realizzate dal governo incominciano a mostrare effetti indesiderati che pesano e peseranno sull’avvenire del Paese. Prendiamo la riforma delle pensioni, sbandierata dai tecnici al governo come lo scalpo di un mostro finalmente abbattuto.
Pur senza considerare qui il grande pasticcio dei cosiddetti esodati, che pure costituisce un dramma inedito per migliaia di famiglie, la riforma appare come un’autentica sciagura economica e sociale. L’ allungamento dell’età pensionabile ha già bloccato l’assunzione di migliaia di giovani nelle imprese. Vale a dire che essa impedirà l’ingresso nelle attività produttive e nei servizi di figure capaci di portare innovazione e creatività. Mentre riduce ulteriormente prospettive e speranze di lavoro alle nuove generazioni. Quale slancio può venire da una società se si chiede agli anziani di continuare a lavorare sino alla vecchiaia e ai giovani di aspettare, cioé di invecchiare senza lavoro? Ma le imprese dovranno tenersi lavoratori logorati e demotivati sino a 65 anni e oltre. Chiediamo: è questo un incentivo alla crescita della produttività, fine supremo di tutte le scuole economiche?
E’ facile infatti immaginare – salvo ambiti limitati in cui l’anzianità significa maggiore esperienza tecnico-organizzativa – che questi lavoratori saranno più facilmente vittime di infortuni, che contrarranno più malattie , si assenteranno per stress, ecc. Dunque peseranno sul bilancio dello stato, probabilmente in maniera più costosa che se fossero in pensione. Non meno fallimentare appare la riforma del lavoro della ministro Fornero. A parte la razionalizzazione di alcuni aspetti di una normativa ingarbugliata, essa ha peggiorato la condizione dei lavoratori occupati.
Come hanno mostrato tante analisi pubblicate sul manifesto, questi sono oggi più ricattabili da un padrone che può licenziarli con maggiore facilità tramite un indennizzo monetario. Nel frattempo la giungla legislativa del lavoro precario non è stata cancellata. I giovani, pochi, che entrano nel mondo del lavoro fanno ingresso nel regno dell’insicurezza, non diversamente da quanto accadeva in precedenza. Ma quanta nuova occupazione creerà questa rivoluzione copernicana della supponente ministro? Perché le imprese straniere dovrebbero precipitarsi a investire nel nostro Paese, dove prevale una forza-lavoro anziana, le università e i centri di ricerca sono privi di risorse, la pubblica amministrazione è in gran parte inadeguata, illegalità e criminalità sono fenomeni sistemici, dove spadroneggia un ceto politico fra i più inetti e affaristici dell’Occidente?
Questi ultimi due aspetti, ovviamente, non sono addebitabili al governo Monti, ma fanno parte ineliminabile del quadro nazionale di cui occorrerebbe tener conto. Ebbene, dove ci porterà questo governo nei prossimi mesi?
Economisti e media continuano il loro estenuato ritornello: faremo riforme strutturali, la formula magica che dovrebbe dischiudere la spelonca di Alì Babà, deposito di immensi tesori. Quali riforme strutturali? Forse la nazionalizzazione delle banche, una tassazione stabile sulle transazioni finanziarie, il 3% del Pil destinato alla formazione e alla ricerca, la creazione di un sistema fiscale progressivo, una tassa stabile sui patrimoni, una grande legge urbanistica che protegga il nostro territorio e faccia vivere civilmente le nostre città? Niente di tutto questo.
Le riforme strutturali sono state già fatte e sono quelle che abbiamo esaminato e ora la spending review, che avrebbe bisogno di tempi lunghi e di circostanziata conoscenza della macchina statale per non diventare un’altra operazione di tagli lineari. Quale di fatto è. Deprimerà ulteriormente la domanda aggregata, con quali effetti sul Pil ce lo comunicheranno nei mesi seguenti, invocando qualche altro vertice decisivo. Ma il repertorio pubblicitario è in realtà esaurito. Proveranno con la svendita dei beni pubblici, ma non avranno né il tempo né l’agio. Chi dice dunque, a questo punto, che il re è nudo, che il governo Monti ha fallito? Il fallimento è certo globale. Sono ormai cinque anni che le società industriali navigano nella tempesta e gli uomini di governo, che hanno salvato le banche dalla rovina, protetto i potentati finanziari da tracolli su vasta scala, sono ancora col cappello in mano a chiedere comprensione ai grandi speculatori, definiti mercati.
Cinque anni nei quali si potevano separare le banche di credito dalle banche d’affari, bandire i prodotti finanziari ad alto rischio, riformare le agenzie di rating, regolamentare i movimenti di capitale, chiudere i paradisi fiscali, applicare la Tobin tax, ecc. Eppure niente è stato fatto. La finanza spadroneggia e il ceto politico ubbidisce, demolendo pezzo a pezzo, su suo ordine, le conquiste sociali del XX secolo. E chiama riforme strutturali questo cammino all’indietro verso il XIX secolo. In Italia non si è fatta eccezione. Ma oggi occorre aggiornare il quadro. Non si tratta più, per gli italiani, come alla fine dello scorso anno, di scegliere fra uno dei peggiori governi dell’Italia repubblicana e la strada di una cura severa e dolorosa, ma che alla fine ci porterà fuori dalla catastrofe. Oggi non si da più questa alternativa.
Il governo Monti ha solo ritardato la discesa del paese nell’abisso per un comprensibile effetto psicologico. Oggi appare nella sua piena luce di «governo ideologico», come lo chiama Asor Rosa: esso è la malattia che vuol curare i sintomi, acuendo le cause che ne sono all’origine. E’ l’ideologia che domina a Bruxelles. Lo abbiamo visto con la Grecia, lo stiamo osservando con la Spagna. Un medico che dovrebbe dare ossigeno al malato e continua a tagliare col bisturi. Prima il “risanamento” e poi la crescita è un vecchio ritornello, che oggi appare tragicamente fallimentare. La presente crisi, com’è noto ormai a molti, origina dalla sproporzione fra l’immensa ricchezza prodotta a livello mondiale e la ridotta capacità della domanda di attingerla.
Troppe merci a fronte di redditi popolari stagnanti e in ritirata, sostenuti con il surrogato dell’indebitamento familiare. La politica di austerità, dunque, rende più grave la crisi perché ne ripropone e alimenta le cause. Premi Nobel come Stiglitz e Krugman lo vanno ripetendo da mesi, anche sulla stampa italiana. Forse qualcuno dovrebbe rammentare ai dirigenti del partito democratico che in autunno le condizioni economiche generali del paese saranno peggiorate. E che agli occhi degli italiani il perdurante sostegno a Monti finirà col rendere tale partito interamente corresponsabile di un fallimento di vasta portata.
La sua prudenza e il suo tatticismo si trasformeranno in grave irresponsabilità. Perché la forza politica che dovrebbe costituire e aggregare l’alternativa, non solo di facce, ma anche di politiche economiche, apparirà irrimediabilmente compromessa. Parte indistinguibile del mucchio castale che ha fatto arretrare le condizioni generali del Paese.
Un vuoto drammatico che, temiamo, la sinistra radicale non riuscirà a colmare e che indebolirà il tentativo di una nuova “rotta d’Europa”: vale a dire l’alleanza con le sinistre europee per cambiare strategia, a cui gruppi e singoli intellettuali vanno lavorando da tempo. Appare a tal proposito molto significativo che un giornalista come Eugenio Scalfari, uno dei più convinti sostenitori del governo Monti nell’area liberal progressista, abbia preso le distanze con tanta eleganza, ma con tanta fermezza, nel suo editoriale su Repubblica del 15 luglio. Che abbia più fortuna di Stiglitz e di Krugman ?
Il secondo pezzo, di Sergio Di Cori Modigliani, uno dei blogger più interessanti e geniali che mi è dato seguire, ci parla con argute metafore, della "mutazione metafisica" che la classe dirigente del paese dovrebbe fare per farci emergere. La teoria dei pinguini impazziti, assimilati ai vari Giannino, Barnard, Ingroia, Facci e Stieglitz, è veramente notevole.
L'ultimo articolo, di Piero Bevilacqua, spiega chiaramente le ragioni per cui Monti ha fallito il suo compito favorendo le èlite finanziarie dominanti (sarà per questo che ha fallito? Ha fatto l'interesse di quel potere) e non i cittadini e lo Stato, aumentando la recessione, il debito pubblico e minando la fiducia dei mercati nell'Italia.
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MISURE EMERGENZIALI PER NON SOCCOMBERE ALL’INCAPACITA’ E AL TRADIMENTO, allo spread, alla recessione, alla disoccupazione, al golpe bancario.
25.07.12 Marco Della Luna
Si va a grandi passi verso rotture e cambiamenti nell’Eurosistema. Salva una resipiscenza dell’ultimo momento, qualcuno, in estrema ipotesi i militari, per forza di cose misure prenderà misure radicali non previste dalla costituzione e dalle leggi. La situazione italiana sta precipitando e il paese è in avvitamento fiscale – recessivo; tutti i rimedi esperiti sono falliti; non vi è solidarietà europea, ma al contrario approfittamento ed imperialismo.Ormai è palese che Monti è impotente o ha fatto altri interessi, e che la Merkel e i suoi giudici costituzionali stanno prendendo tutti per i fondelli. L’Eurosistema non funziona, è strutturalmente sbagliato, non si può fare affidamento su di esso.
Queste sono le misure urgentissime per evitare il disastro, mantenendo un apparato produttivo vitale e un livello di civiltà anche giuridica accettabile :
1) Mettere Monti col suo governo in villeggiatura coatta a Campo Imperatore, disponendo intorno al Gran Sasso batterie antiaeree per impedire alla Luftwaffe di interrompere la villeggiatura e riportalo al suo sobrio lavoro.
2) Previo accumulo di scorte di combustibili e carburanti per l’invernata, uscire dall’Eurosistema, tornare alla Lira, dotandosi di una banca centrale a capitale pubblico e controllata dal Tesoro, che assicuri l’acquisto dei titoli del debito pubblico sul mercato primario e li tolga dai mercati speculativi; la banca centrale sarà oggetto di pubblica revisione dei conti; i suoi utili, dedotte le riserve, saranno girati annualmente al Tesoro.
3) Imporre alle banche di commerciali vincoli di portafoglio come fino agli anni ’80, e imporre al Tesoro vincoli di destinazione produttiva per le nuove emissioni di debito pubblico.
4) Concedere solo licenze bancarie per la raccolta del risparmio e l’erogazione del credito, escluse attività di trading; fondazione di banche pubbliche per il credito alle pmi, alla ricerca, all’illustrazione. Munire di garanzia statale i depositi bancari.
5) Uscire dal Mercato Comune Europeo e istituire controlli sui flussi di capitali, onde prevenire che i capitali esteri approfittino della prevedibile svalutazione della Lira per comperare l’Italia a prezzi di saldo.
6) Ridenominare in Lire i debiti pubblici e privati al cambio di 1.836,27.
7) Finanziare con emissione di Lire programmi di investimenti infrastrutturali, di autosufficienza alimentare e di messa in sicurezza idrogeologica del paese.
8) Introdurre federalismo fiscale e costi standard orientati alle best practices nella spesa della pubblica amministrazione, responsabilizzando ogni regione.
9) Porre un tetto a 120.000.000 annui netti a tutte le pensioni pubbliche, e di £ 180.000.000 a tutti gli stipendi pubblici; sostituire tutti i consigli di amministrazione delle società a partecipazione pubbliche con amministratori unici.
10) Abolire l’Irap, ridurre l’Iva al 18%, abbattere il cuneo contributivo; abbattere le imposte sugli immobili; abbattere le imposte sui redditi e renderle progressive; dimezzare le accise sui carburanti, fissare la pensione minima a £ 1.200.000 e il salario minimo a € 2.000.000 mensili, modulabile per gabbie salariali; aumentare gli stipendi pubblici e privati, salvi i limiti suddetti; ripristinare la scala mobile adeguando il paniere Istat; separare gli enti previdenziali da quelli assistenziali.
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La cura del Pinguino Impazzito. Così l'Italia si salverà
22-07-12 di Sergio Di Cori Modigliani
L’Italia è malata.
Lo hanno capito tutti, anche i più riottosi, lo sanno ormai tutti.
Alcuni, i più ideologizzati e manipolatori, sostengono, invece, che l’Italia è in crisi, dando ad intendere che i fondamenti sono sani, che le banche sono sane, che l’industria è sana, che lo Stato è sano, ecc.,ecc. Non è così. E’ Falso. La crisi dell’Italia è la conseguenza della malattia. Se si superasse la crisi la malattia resterebbe, quindi il corpus sociale seguiterebbe a soffrire esattamente come prima, anzi, più di prima. Con l’aggravante che non ci sarebbe più nessuno a registrarne i dolori. E’ bene dunque, per chiunque sia interessato al futuro potenziale dell’Italia, non farsi illusioni e dedicare pensieri, energie e possibili soluzioni per guarire il malato. La crisi, quindi, fintantoché non viene aggredita la malattia, non si risolverà mai e diventerà perenne. E in economia –così come nel sociale e nella psicologia- quando la crisi diventa perenne e non è più limitata e circoscritta nello spazio e nel tempo, si trasforma in un fatto endemico, quindi in un agente patogeno costante che produrrà soltanto ed esclusivamente soggetti e situazioni ad alto rischio patologico, finchè quella specifica etnia prima regredisce, poi decade, e infine si estingue spazzata via da altre etnie sane. Le malattie socio-psico-economiche, anche se il mondo è ormai globalizzato, vanno identificate, riconosciute, e quindi diagnosticate, nella specificità del loro localismo originale. L’unica novità, rispetto alla precedente fase della modernità pre-globale consiste nel fatto che, oggi, la “cura localistica” deve essere tale da poter essere riconosciuta come “compatibile” con le esigenze del resto del globo. Questo vuol dire, in termini politici, “sviluppo eco-sostenibile”. Se una nazione –tanto per fare un esempio qualunque- sta in crisi ed è mussulmana, è assolutamente privo di senso (oltre che inefficace e inefficiente) proporre, o addirittura peggio, imporre, una qualsivoglia medicina non gradita e non consona alle tradizioni e usi dei mussulmani. E così via dicendo per tutti e dovunque. Basterebbe questo per far comprendere la motivazione per cui i diktat della BCE sono risibili e l’idea teutonica di base potrebbe (alla lunga) rivelarsi un agghiacciante boomerang per la Germania: spingerebbe quella nazione a riesumare il loro personalissimo cancro di sogno egemonico imperialista di una razza superiore agli altri. E la Germania finirebbe per ammalarsi di nuovo gravemente. Chi è malato va curato con la cura che funziona per quell’individuo; in questo caso, per quell’etnia o quel paese. In Europa, la Grecia sta come l’Italia: sono in crisi e sono malate. Anche la Spagna. La Francia no. E’ in crisi ma non è affatto malata. Idem la Gran Bretagna: gravissima crisi socio-economica al limite del baratro (molto peggio dell’Italia) ma non ancora malata. La Germania non è in crisi affatto e non è neppure malata, provoca le crisi degli altri perché ha costruito un anello invisibile di anticorpi che funzionano soltanto per loro. La “peste mediterranea” si ferma alle alpi austriache e torna indietro. E così via dicendo.
L’Italia sta vivendo in questo momento una fase di totale delirio collettivo, in parte, forse, a sua insaputa (quantomeno me lo auguro: meglio irresponsabili e ignoranti che criminali).
L’attuale governo, infatti, è composto al 100% -cioè la somma di ministri, sottosegretari e dirigenti- da individui che rappresentano la malattia e ne sono la Sintesi Suprema. E’ il peggior governo che l’Italia abbia avuto dal 1861 a oggi, in assoluto. Perché rappresenta soprattutto ed esclusivamente gli interessi principali dell’ala clericale della nostra repubblica, dell’aristocrazia fondiaria, dell’oligarchia tradizionale di stampo medioevale. Non esiste neppure una persona (intendo dire neanche 1, cioè meno di 2) che sia cresciuta in un mondo moderno di capitalismo avanzato laico; sono tutti, assolutamente tutti, individui che provengono da un ceto sociale esclusivo pre-selezionato, abituato per tradizione consolidata familiare al mantenimento dello status quo. Individui ai quali, all’età di diciotto anni, una volta preso il diploma delle scuole superiori, gli è stato comunicato come dove e quando sarebbero diventati ordinari universitari nelle accademie; quali mansioni direttive sarebbero state date loro, e che tipo di carriera avrebbero fatto. Nessuno di questi ha mai pensato di “doversi cercare” un lavoro oppure “costruirsi una carriera”. Sono cresciuti (e hanno avuto ragione) che, a loro, era dovuto. Non esiste nessuno attualmente al governo (neppure i consulenti) che possa mai dire di se stesso di essere stato “a self made man” “a self made woman”, ovvero una persona che si è fatta da sola, sulla base dei propri meriti e della propria competenza tecnica acquisita, per l’appunto: il cancro dell’Italia. La malattia della nostra etnia: la cultura clerico-fascista.
Non esiste neppure 1 probabilità su 100 che questo governo possa (soprattutto voglia) far qualcosa per superare lo status quo. Perché dallo status quo dipende la loro sopravvivenza, il loro privilegio, il mantenimento della loro discendenza. Soltanto nel caso che si verificassero dei comportamenti suicidi, o masochisti, le probabilità porrebbero aumentare. E’ come in Arabia Saudita.
L’Italia berlusconian-montiana è l’Arabia Saudita d’Europa.
La cura?
C’è, ed è soltanto una. “La cura del Pinguino Impazzito”.
Ce la suggerisce Charles Darwin, quando dice (e ha ragione ) “Le specie quando si trovano in presenza del rischio di estinzione si comportano tutte nello stesso modo: mutano”.
Ecco la cura.
E’ necessaria “una mutazione metafisica”.
Lenta e faticosa, come è stato all’inizio qualche milione d’anni fa, quando i nostri antenati per non estinguersi per mancanza di proteine, sono scesi dagli alberi e sono diventati carnivori.
Ma nel sociale, per fortuna, i tempi sono più brevi.
A questo serve la Cultura.
A catalizzare la necessaria mutazione. Ad accelerare il processo.
La “mutazione metafisica” consiste in un ribaltamento concettuale dell’esistenza che ritorni (o vada) ad attribuire Senso e Significato a specifici Valori, fondamentali per la nostra etnia: se non accade ci estingueremo. La specie “Italia” si estinguerà perché avrà scelto di sacrificare l’intera comunità agli interessi di uno sparuto numero di oligarchi, come avviene tra i gorilla. E la necessaria mutazione viaggia attraverso modificazioni comportamentali, individuali e immediate, impossibili ormai da rimandare. Chi lo capisce ed esegue il dispositivo che consente la mutazione, si evolverà. Gli altri scompariranno senza neppure rendersi conto di ciò che sta accadendo loro.
Che cosa c’entrano i pinguini?
Ecco la storia. Di cui io mi sono appropriato per usarla come necessaria metafora per noi. Viene, invece, dalla biologia marina e sta alimentando negli ultimi mesi un furibondo e interessantissimo dibattito in diversi luoghi del pianeta.
Tutto è iniziato un anno fa. E allora scrissi un post sull’evento.
E’ accaduto in Australia, nello stato del Queensland.
Un mattino, dei bambini in spiaggia vedono divertiti una coppia di pinguini e vanno ad avvertire il bagnino, il quale, esterrefatto avverte lo zoo che manda il suo personale. Nessuno può credere all’evento. Uno, il maschio, è stremato dalla stanchezza e dalla fame, ma è vivo, sano e vegeto. L’altra, la femmina, è moribonda, non ce la farà. Lo trasportano allo zoo e immediatamente gli costruiscono in fretta e furia un habitat per lui compatibile. Arrivano da tutto il mondo biologi marini e zoologi per osservare l’evento. Com’è noto, i pinguini (circa un milione) vivono soltanto nell’Antartide argentina, stanno tutti lì perché si nutrono di ciò che lì c’è e la temperatura a loro gradita è intorno ai -10 gradi di media annua. Grandi nuotatori e imbattibili surfisti, scorrazzano nelle vicinanze senza mai allontanarsi troppo. Senza iceberg soffrono e periscono. Come mai una coppia di pinguini aveva nuotato per 12.000 chilometri finendo in un caldo mare del sud? A farci che? Perché? Come mai? Tutti gli zoologi concordi: “il pinguino è diventato matto; gli è frullato qualcosa nel cervello, ha perso la rotta ed è finito qui”. Due uniche proteste, di uno zoologo australiano e di una biologa californiana: “Non è così, stiamo assistendo a un fenomeno unico nel suo genere: questa coppia è l’avanguardia evoluta che ha geneticamente captato in anticipo il fatto che i ghiacci si stanno sciogliendo e al massimo tra 60 anni moriranno tutti, quindi, cercano nuove soluzioni mutanti per adattarsi al nuovo clima e vedere se riusciranno a mangiare anche in posti come i nostri”. I due sono stati considerati due dementi misto new age e greenpeace e silenziati. Il governo ha deciso che il pinguino doveva essere riportato con un aereo frigorifero nel Polo Sud subito. I due hanno protestato sostenendo che era sbagliato. Si sono anche rifiutati di mettergli il microchip. L’hanno riportato laggiù. Quaranta giorni fa, due eventi: uno piccolo, di scarso impatto. Quattro pinguini ( due coppie) si arenano nella costa settentrionale del Cile al confine con il Perù, mare caldo, sabbia. Tre sopravvivono. Tre giorni dopo, invece, un evento clamoroso: 516 pinguini si arenano su una spiaggia tropicale del Brasile, nello stato di Rio Grande do Sud, nei pressi dell’equatore, alcuni arrivano addirittura nella spiaggia di Ipanema a Rio de Janeiro. Si arenano perché non sono ancora abituati alla sabbia che non conoscono. Sono morti tutti di fame. Perché? Sono tutti impazziti? E se sì, che cos’è che li ha fatti impazzire? I zoologi si stanno scannando sulle motivazioni, perché i pinguini si affacciano ogni tanto (pochissimi) anche al nord, ma mai a quella latitudine. Certamente, quei pinguini sono un po’ strani. Gli altri pinguini stanziali li considerano folli.
Splendida metafora.
Da cui “la cura del pinguino impazzito”.
Dei pazzi.
E se fosse un pinguino impazzito Paolo Barnard?
E se lo fosse Gioele Magaldi?
E se lo fosse Oscar Giannino?
E se lo fosse Antonio Ingroia che si dimette se ne va in Guatemala per un anno? Che ci va a fare uno di Palermo a Tegucigalpa?
E se lo fosse, in campo mediatico, (a destra) Filippo Facci che un mese fa, intervistando in diretta il sottosegretario Martone (uno sano) che in allegria sosteneva “l’Italia sta su un’ottima strada perché Monti sta spingendo l’Italia esattamente verso una situazione come quella della Spagna” l’ha interrotto e gli ha detto “ma lei si rende conto di ciò che sta dicendo o non ha la minima idea di ciò che sta dicendo? Che fa? Ci prende anche in giro, adesso?” e che tre giorni fa all’ex direttore rai Alberto Minzolini gli ha chiesto “ma lei non si vergogna di aver fatto la scelta che ha fatto?”; e non sarà forse un pinguino impazzito (a sinistra) il giornalista Antonello Caporale che si è dimesso da la Repubblica ed è passato a Il Fatto Quotidiano per una cifra nettamente inferiore “perché ho voglia di dare un Senso alla mia professione di giornalista”?
Non sarà un pinguino impazzito il premio Nobel Joseph Stieglitz che ha annunciato l’affondamento dell’Italia entro ottobre, contestato e protestato da Mario Draghi (uno sano) che ha detto “l’Euro è sano, l’Italia è sana, gode di ottima salute e l’euro sta benissimo, non esiste nessun motivo di preoccupazione” cominciando a diffondere la calunnia che Stieglitz ha perso la testa ed è diventato matto?
Non sarà un pinguino impazzito il vice-presidente della Confindustria, l’imprenditore anti-mafia Ivan Lo Bello che ha dichiarato “La Sicilia è a rischio default immediato, si corre il rischio di una sollevazione popolare e in quell’ambiente può essere un evento pericoloso” definito dal governatore Lombardo (per l’appunto) “un pazzo” al quale ha augurato “meglio che vada a morire ammazzato”?
Non saranno, forse, tutti questi, soltanto dei “pinguini impazziti” che, chi a destra chi a sinistra, chi in un luogo chi in un altro, ci stanno ammonendo sulla necessità di una immediata mutazione metafisica?
Fa paura a tutti nuotare nell’oceano caldo, per noi pinguini abituati ai rassicuranti iceberg perenni, me ne rendo conto.
Ma non esistono alternative.
O si rimane nel mucchio, tutti appicccicati, sperando che il ghiaccio non si sciolga, e ci si affida alla bontà di Dio, oppure è meglio impazzire. Seguire la propria follia e imparare ad abituarsi alla sabbia, a una temperatura diversa, a mangiare altri pesci, altri plancton. Le prime avanguardie, come i 516 pinguini finiti ai tropici, sono destinate a perire, morendo di fame. Ma ne arriveranno altri, e cominceranno ad adattarsi.
Quei pinguini impazziti sanno che il milione restante, prima o poi, finirà spiaccicato sulla fredda battigia del Polo Sud; moriranno tutti di stenti, di fame, di caldo.
Gli altri, intanto, al calduccio si saranno già abituati.
In quanto pazzi, si sono mutati.
A questo serve la Cultura.
Secondo me, quelli sono Pinguini Colti.
Meglio soli ed evoluti che tutti insieme verso la nuova Auschwitz del pensiero unico tecnocrate.
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Perché Monti ha fallito
23 LUGLIO 2012 di Piero Bevilacqua
È possibile fare un breve e disincantato bilancio del governo Monti? La prima, avvilente constatazione, è che in quasi 9 mesi di “riforme” e di “vertici decisivi” la montagna del debito pubblico italiano non è stata neppure scalfita. Anzi si è fatta ancora più alta e imponente. Il debito ammontava a 1.897 miliardi di euro nel dicembre 2011, oggi è arrivato a. 1.966.Dunque, la ragione fondamentale della nostra condizione di rischio, la causa causarum delle nostre difficoltà presenti e future si è ulteriormente aggravata. Lo spread si mantiene elevato e torna sui 500 punti. Il Pil – questo vecchio totem delle società capitalistiche – è nel frattempo diminuito e diminuirà ancora. Scenderà di oltre il 2% nel 2012. Dicono gli esperti che si riprenderà nel 213. Ma per quale felice congiunzione degli astri non è dato sapere. Qui, infatti, la scienza economica si muta in astrologia, dà gli oroscopi. L’elenco dei disastri non è finito.
La disoccupazione è aumentata, quella giovanile in particolare. Per quella intellettuale in formazione il governo propone ora di aumentare le tasse universitarie, così potrà essere efficacemente ridotta… Una nuova tassa sulle famiglie italiane di cui occorrerebbe informare l’on. Casini, che ne è uno zelante difensore.
Nel frattempo le più importanti riforme realizzate dal governo incominciano a mostrare effetti indesiderati che pesano e peseranno sull’avvenire del Paese. Prendiamo la riforma delle pensioni, sbandierata dai tecnici al governo come lo scalpo di un mostro finalmente abbattuto.
Pur senza considerare qui il grande pasticcio dei cosiddetti esodati, che pure costituisce un dramma inedito per migliaia di famiglie, la riforma appare come un’autentica sciagura economica e sociale. L’ allungamento dell’età pensionabile ha già bloccato l’assunzione di migliaia di giovani nelle imprese. Vale a dire che essa impedirà l’ingresso nelle attività produttive e nei servizi di figure capaci di portare innovazione e creatività. Mentre riduce ulteriormente prospettive e speranze di lavoro alle nuove generazioni. Quale slancio può venire da una società se si chiede agli anziani di continuare a lavorare sino alla vecchiaia e ai giovani di aspettare, cioé di invecchiare senza lavoro? Ma le imprese dovranno tenersi lavoratori logorati e demotivati sino a 65 anni e oltre. Chiediamo: è questo un incentivo alla crescita della produttività, fine supremo di tutte le scuole economiche?
E’ facile infatti immaginare – salvo ambiti limitati in cui l’anzianità significa maggiore esperienza tecnico-organizzativa – che questi lavoratori saranno più facilmente vittime di infortuni, che contrarranno più malattie , si assenteranno per stress, ecc. Dunque peseranno sul bilancio dello stato, probabilmente in maniera più costosa che se fossero in pensione. Non meno fallimentare appare la riforma del lavoro della ministro Fornero. A parte la razionalizzazione di alcuni aspetti di una normativa ingarbugliata, essa ha peggiorato la condizione dei lavoratori occupati.
Come hanno mostrato tante analisi pubblicate sul manifesto, questi sono oggi più ricattabili da un padrone che può licenziarli con maggiore facilità tramite un indennizzo monetario. Nel frattempo la giungla legislativa del lavoro precario non è stata cancellata. I giovani, pochi, che entrano nel mondo del lavoro fanno ingresso nel regno dell’insicurezza, non diversamente da quanto accadeva in precedenza. Ma quanta nuova occupazione creerà questa rivoluzione copernicana della supponente ministro? Perché le imprese straniere dovrebbero precipitarsi a investire nel nostro Paese, dove prevale una forza-lavoro anziana, le università e i centri di ricerca sono privi di risorse, la pubblica amministrazione è in gran parte inadeguata, illegalità e criminalità sono fenomeni sistemici, dove spadroneggia un ceto politico fra i più inetti e affaristici dell’Occidente?
Questi ultimi due aspetti, ovviamente, non sono addebitabili al governo Monti, ma fanno parte ineliminabile del quadro nazionale di cui occorrerebbe tener conto. Ebbene, dove ci porterà questo governo nei prossimi mesi?
Economisti e media continuano il loro estenuato ritornello: faremo riforme strutturali, la formula magica che dovrebbe dischiudere la spelonca di Alì Babà, deposito di immensi tesori. Quali riforme strutturali? Forse la nazionalizzazione delle banche, una tassazione stabile sulle transazioni finanziarie, il 3% del Pil destinato alla formazione e alla ricerca, la creazione di un sistema fiscale progressivo, una tassa stabile sui patrimoni, una grande legge urbanistica che protegga il nostro territorio e faccia vivere civilmente le nostre città? Niente di tutto questo.
Le riforme strutturali sono state già fatte e sono quelle che abbiamo esaminato e ora la spending review, che avrebbe bisogno di tempi lunghi e di circostanziata conoscenza della macchina statale per non diventare un’altra operazione di tagli lineari. Quale di fatto è. Deprimerà ulteriormente la domanda aggregata, con quali effetti sul Pil ce lo comunicheranno nei mesi seguenti, invocando qualche altro vertice decisivo. Ma il repertorio pubblicitario è in realtà esaurito. Proveranno con la svendita dei beni pubblici, ma non avranno né il tempo né l’agio. Chi dice dunque, a questo punto, che il re è nudo, che il governo Monti ha fallito? Il fallimento è certo globale. Sono ormai cinque anni che le società industriali navigano nella tempesta e gli uomini di governo, che hanno salvato le banche dalla rovina, protetto i potentati finanziari da tracolli su vasta scala, sono ancora col cappello in mano a chiedere comprensione ai grandi speculatori, definiti mercati.
Cinque anni nei quali si potevano separare le banche di credito dalle banche d’affari, bandire i prodotti finanziari ad alto rischio, riformare le agenzie di rating, regolamentare i movimenti di capitale, chiudere i paradisi fiscali, applicare la Tobin tax, ecc. Eppure niente è stato fatto. La finanza spadroneggia e il ceto politico ubbidisce, demolendo pezzo a pezzo, su suo ordine, le conquiste sociali del XX secolo. E chiama riforme strutturali questo cammino all’indietro verso il XIX secolo. In Italia non si è fatta eccezione. Ma oggi occorre aggiornare il quadro. Non si tratta più, per gli italiani, come alla fine dello scorso anno, di scegliere fra uno dei peggiori governi dell’Italia repubblicana e la strada di una cura severa e dolorosa, ma che alla fine ci porterà fuori dalla catastrofe. Oggi non si da più questa alternativa.
Il governo Monti ha solo ritardato la discesa del paese nell’abisso per un comprensibile effetto psicologico. Oggi appare nella sua piena luce di «governo ideologico», come lo chiama Asor Rosa: esso è la malattia che vuol curare i sintomi, acuendo le cause che ne sono all’origine. E’ l’ideologia che domina a Bruxelles. Lo abbiamo visto con la Grecia, lo stiamo osservando con la Spagna. Un medico che dovrebbe dare ossigeno al malato e continua a tagliare col bisturi. Prima il “risanamento” e poi la crescita è un vecchio ritornello, che oggi appare tragicamente fallimentare. La presente crisi, com’è noto ormai a molti, origina dalla sproporzione fra l’immensa ricchezza prodotta a livello mondiale e la ridotta capacità della domanda di attingerla.
Troppe merci a fronte di redditi popolari stagnanti e in ritirata, sostenuti con il surrogato dell’indebitamento familiare. La politica di austerità, dunque, rende più grave la crisi perché ne ripropone e alimenta le cause. Premi Nobel come Stiglitz e Krugman lo vanno ripetendo da mesi, anche sulla stampa italiana. Forse qualcuno dovrebbe rammentare ai dirigenti del partito democratico che in autunno le condizioni economiche generali del paese saranno peggiorate. E che agli occhi degli italiani il perdurante sostegno a Monti finirà col rendere tale partito interamente corresponsabile di un fallimento di vasta portata.
La sua prudenza e il suo tatticismo si trasformeranno in grave irresponsabilità. Perché la forza politica che dovrebbe costituire e aggregare l’alternativa, non solo di facce, ma anche di politiche economiche, apparirà irrimediabilmente compromessa. Parte indistinguibile del mucchio castale che ha fatto arretrare le condizioni generali del Paese.
Un vuoto drammatico che, temiamo, la sinistra radicale non riuscirà a colmare e che indebolirà il tentativo di una nuova “rotta d’Europa”: vale a dire l’alleanza con le sinistre europee per cambiare strategia, a cui gruppi e singoli intellettuali vanno lavorando da tempo. Appare a tal proposito molto significativo che un giornalista come Eugenio Scalfari, uno dei più convinti sostenitori del governo Monti nell’area liberal progressista, abbia preso le distanze con tanta eleganza, ma con tanta fermezza, nel suo editoriale su Repubblica del 15 luglio. Che abbia più fortuna di Stiglitz e di Krugman ?
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