
Il 3 agosto, con un anticipo rispetto alla scadenza di 16 mesi, la presidente della Repubblica Argentina, Cristina Kirchner, si presenta alla sede di Manhattan del FMI:
"Nel 2003 andammo in default per 112 miliardi di dollari, ma ci rifiutammo di chiedere la cancellazione del debito: scegliemmo la dichiarazione ufficiale di bancarotta e chiedemmo dieci anni di tempo per restituire i soldi a tutti, compresi gli interessi. Per dieci, lunghi anni, abbiamo vissuto nel limbo. Per dieci, lunghi anni, abbiamo protestato, contestato e combattuto contro le decisioni del FMI che voleva imporci misure restrittive di rigore economico sostenendo che fossero l’unica strada. Noi abbiamo seguito una strada opposta: quella del keynesismo basato sul bilancio sociale, sul benessere equo sostenibile e sugli investimenti in infrastrutture, ricerca, innovazione, investendo invece di tagliare. Abbiamo risolto i nostri problemi. Ci siamo ripresi e siamo in grado di saldare l’ultima tranche con 16 mesi di anticipo. Le idee del FMI e della Banca Mondiale sono idee errate, sbagliate. Lo erano allora, lo sono ancor di più oggi. Chi vuole operare, imprendere, creare lavoro e ricchezza, è benvenuto in Argentina: siamo una nazione che ha dimostrato di essere solvibile, quindi pretendiamo rispetto e fedeltà alle norme e alle regole, da parte di tutti, dato che abbiamo dimostrato, noi per primi, di rispettare i dispositivi del diritto internazionale.”. Subito dopo la Kirchner ha presentato una denuncia formale contro la Gran Bretagna e gli Usa al WTO, coinvolgendo il FMI grazie ai file messi a disposizione da Wikileaks, cioè Assange. L’Argentina ha saldato i debiti, ma adesso vuole i danni. Con gli interessi composti. “Volevano questo, bene, l’hanno ottenuto. Adesso che paghino”. E’ una lotta tra la Kirchner e la Lagarde...
Assange e il futuro del mondo (dal blog di Grillo)
di Sergio Di Cori Modigliani
http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2012/08/lattacco-alla-repubblica-del-ecuador.html
http://www.beppegrillo.it/2012/08/assange_e_il_futuro_del_mondo.html http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2012/08/lattacco-alla-repubblica-del-ecuador.html
"Julian Assange, il 15 giugno 2012 capisce che per lui è finita. Si trova a Londra. Gli agenti inglesi l’arresteranno la settimana dopo, lo porteranno a Stoccolma, dove all’aereoporto non verrà prelevato dalle forze di polizia di Sua Maestà la regina di Svezia, bensì da due ufficiali della Cia, e un diplomatico statunitense, i quali avvalendosi di accordi formali tra le due nazioni farà prevalere il “diritto di opzione militare in caso di conflitto bellico dichiarato” sostenendo che Assange è “intervenuto attivamente” all’interno del conflitto Nato-Iraq mentre la guerra era in corso. Lo porteranno direttamente in Usa, nel Texas, dove verrà sottoposto a processo penale per attività terroristiche, chiedendo per lui l’applicazione della pena di morte sulla base del Patriot Act Law. Si consulta con il suo gruppo, fanno la scelta giusta dopo tre giorni di vorticosi scambi di informazioni in tutto il pianeta: “Vai all’ambasciata dell’Ecuador a piedi, con la metropolitana, stai lì”. Alle 9 del mattino del 19 giugno entra nell’ambasciata dell’Ecuador. Nessuna notizia, non lo sa nessuno. Il suo gruppo apre una trattativa con gli agenti inglesi a Londra, con gli svedesi a Stoccolma e con i diplomatici americani a Rio de Janeiro. Raggiungono un accordo: “Evitiamo rischio di attentati e facciamo passare le Olimpiadi, il 13 agosto se ne può andare in Sudamerica, facciamo tutto in silenzio, basta che non se ne parli”. I suoi accettano, ma allo stesso tempo non si fidano degli anglo-americani. Si danno da fare e mettono a segno due favolosi colpi. Il primo il 3 agosto, il secondo il 4.
Il 3 agosto, con un anticipo rispetto alla scadenza di 16 mesi, la presidente della Repubblica Argentina, Cristina Kirchner, si presenta alla sede di Manhattan del FMI con il suo ministro dell’economia e il ministro degli esteri ecuadoregno Patino, in rappresentanza di “Alba” (acronimo che sta per Alianza Laburista Bolivariana America), l’unione economica tra Ecuador, Colombia e Venezuela. La Kirchner si fa fotografare e riprendere dalle televisioni con un gigantesco cartellone che mostra un assegno di 12 miliardi di euro intestato al FMI con scadenza 31 dicembre 2013, che il governo argentino ha versato poche ore prima. “Con questa tranche, l'Argentina ha dimostrato di essere solvibile, di essere una nazione responsabile, attendibile e affidabile per chiunque voglia investire i propri soldi. Nel 2003 andammo in default per 112 miliardi di dollari, ma ci rifiutammo di chiedere la cancellazione del debito: scegliemmo la dichiarazione ufficiale di bancarotta e chiedemmo dieci anni di tempo per restituire i soldi a tutti, compresi gli interessi. Per dieci, lunghi anni, abbiamo vissuto nel limbo. Per dieci, lunghi anni, abbiamo protestato, contestato e combattuto contro le decisioni del FMI che voleva imporci misure restrittive di rigore economico sostenendo che fossero l’unica strada. Noi abbiamo seguito una strada opposta: quella del keynesismo basato sul bilancio sociale, sul benessere equo sostenibile e sugli investimenti in infrastrutture, ricerca, innovazione, investendo invece di tagliare. Abbiamo risolto i nostri problemi. Ci siamo ripresi e siamo in grado di saldare l’ultima tranche con 16 mesi di anticipo. Le idee del FMI e della Banca Mondiale sono idee errate, sbagliate. Lo erano allora, lo sono ancor di più oggi. Chi vuole operare, imprendere, creare lavoro e ricchezza, è benvenuto in Argentina: siamo una nazione che ha dimostrato di essere solvibile, quindi pretendiamo rispetto e fedeltà alle norme e alle regole, da parte di tutti, dato che abbiamo dimostrato, noi per primi, di rispettare i dispositivi del diritto internazionale.”. Subito dopo la Kirchner ha presentato una denuncia formale contro la Gran Bretagna e gli Usa al WTO, coinvolgendo il FMI grazie ai file messi a disposizione da Wikileaks, cioè Assange. L’Argentina ha saldato i debiti, ma adesso vuole i danni. Con gli interessi composti. “Volevano questo, bene, l’hanno ottenuto. Adesso che paghino”. E’ una lotta tra la Kirchner e la Lagarde. Le due Cristine duellano da un anno impietosamente. Grazie ad Assange, dato che il suo gruppo ha tutte le trascrizioni di diverse conversazioni in diverse cancellerie del globo, che coinvolgono gli Usa, la Gran Bretagna, la Francia, l’Italia, la Germania, il Vaticano, dove l’economia la fa da padrone. Osama Bin Laden è stato mandato in soffitta e sostituito da John Maynard Keynes. Lui è diventato il nemico pubblico numero uno delle grandi potenze; in queste lunghe conversazioni si parla di come mettere in ginocchio le economie sudamericane, come portar via le loro risorse energetiche, come impedir loro di riprendersi e crescere, come impedire ai governi di far passare i piani economici keynesiani applicando invece i dettami del FMI il cui unico scopo consiste nel praticare una politica neo-colonialista a vantaggio soprattutto di Spagna, Italia e Germania, con capitali inglesi. Gran parte dei file sono già resi pubblici su internet. Gran parte dei file sono offerti da Assange all’ambasciatore in Gran Bretagna dell’Ecuador, la prima nazione del continente americano, e unica nazione nel mondo occidentale dal 1948, ad aver applicato il concetto di “debito immorale” ovvero “il rifiuto politico e tecnico di saldare alla comunità internazionale i debiti consolidati dello Stato perché ottenuti dai precedenti governi attraverso la corruzione, la violazione dello Stato di Diritto, la violazione di norme costituzionali”.
Il 12 dicembre del 2008, il neo presidente del governo dell’Ecuador Rafael Correa (Pil di 50 miliardi di euro, circa 30 volte meno dell’Italia) dichiara in diretta televisiva in tutto il continente americano (l’Europa non ha mai trasmesso neppure un fotogramma e difficilmente si trova nella rete europea materiale visivo) di “aver deciso di cancellare il debito nazionale considerandolo immondo, perché immorale; hanno alterato la costituzione per opprimere il popolo raccontando il falso. Hanno fatto credere che ciò chè è Legge, cioè legittimo, è giusto. Non è così: da oggi in terra d’Ecuador vale il nuovo principio costituzionale per cui ciò che è giusto per la collettività allora diventa legittimo”. Cifra del debito: 11 miliardi di euro. Il FMI fa cancellare l’Ecuador dal nòvero delle nazioni civili: non avrà mai più aiuti di nessun genere da nessuno “Il paese va isolato” dichiaraDominique Strauss Kahn, allora segretario del FMI. Il Paese è in ginocchio. Il giorno dopo, Hugo Chavez annuncia che darà il proprio contributo con petrolio e gas gratis all’Ecuador per dieci anni. Quattro ore più tardi, il presidente Lula annuncia in televisione che darà gratis 100 tonnellate al giorno di grano, riso, soya e frutta per nutrire la popolazione, finchè la nazione non si sarà ripresa. La sera, l’Argentina annuncia che darà il 3% della propria produzione di carne bovina di prima scelta gratis all’Ecuador per garantire la quantità di proteine per la popolazione. Il mattino dopo, in Bolivia, Evo Morales annuncia di aver legalizzato la cocaina considerandola produzione nazionale e bene collettivo. Tassa i produttori di foglie di coca e offre all’Ecuador un prestito di 5 miliardi di euro a tasso zero restituibile in dieci anni in 120 rate. Due giorni dopo, l’Ecuador denuncia la United Fruit Company e la Del Monte & Associates per “schiavismo e crimini contro l’umanità”, nazionalizza l’industria agricola delle banane (l’Ecuador è il primo produttore al mondo) e lancia un piano nazionale di investimento di agricoltura biologica ecologica pura. Dieci giorni dopo, i verdi bavaresi, i verdi dello Schleswig Holstein, in Italia la Conad, e in Danimarca la Haagen Daaz, si dichiarano disponibili a firmare subito contratti decennali di acquisto della produzione di banane attraverso regolari tratte finanziarie in euro che possono essere scontate subito alla borsa delle merci di Chicago.
Il 20 dicembre del 2008, facendosi carico della protesta della United Fruit Company, il presidente George Bush dichiara “nulla e criminale la decisione dell’Ecuador” annunciando la richiesta di espulsione del paese dall’Onu: “siamo pronti anche a una opzione militare per salvaguardare gli interessi statunitensi”. Il mattino dopo, il potente studio legale diNew York Goldberg & Goldberg presenta una memoria difensiva sostenendo che c’è un precedente legale. Sei ore dopo, gli Usa si arrendono e impongono alla comunità internazionale l’accettazione e la legittimità del concetto di “debito immorale”. La United Fruit company viene provata come “multinazionale che pratica sistematicamente la corruzione politica” e condannata a pagare danni per 6 miliardi di euro. Da notare che il “precedente legale” (tuttora ignoto a gran parte degli europei) è datato 4 gennaio 2003 a firma George Bush. E' accaduto in Iraq che in quel momento risultava “tecnicamente” possedimento americano in quanto occupato dai marines con governo provvisorio non ancora riconosciuto dall’Onu. Saddam Hussein aveva lasciato debiti per 250 miliardi di euro (di cui 40 miliardi di euro nei confronti dell’Italia grazie alle manovre di Taraq Aziz, vice di Hussein e uomo dell’Opus Dei fedele al Vaticano) che gli Usa cancellano applicando il concetto di “debito immorale” e aprendo la strada a un precedente storico. Gli avvocati newyorchesi dell’Ecuador offrono al governo americano una scelta: o accettano e stanno zitti oppure, se si annulla la decisione dell’Ecuador, allora si annulla anche quella dell’Iraq e il tesoro Usa deve pagare subito i 250 miliardi di euro a tutti compresi gli interessi composti per quattro anni. Obama, non ancora insediato, ma già eletto, impone a Bush di gettare la spugna. La solida parcella degli avvocati newyorchesi viene pagata dal governo brasiliano.
Nasce allora il Sudamerica moderno. E cresce e si diffonde il mito di Rafael Correa, presidente eletto dell’Ecuador. Non un contadino indio come Morales, un sindacalista come Lula, un operaio degli altiforni come Chavez. Tutt’altra pasta. Proveniente da una famiglia dell’alta borghesia caraibica, è un intellettuale cattolico. Laureato in economia e pianificazione economica a Harvard, cattolico credente e molto osservante, si auto-definisce “cristiano-socialista come Gesù Cristo, sempre schierato dalla parte di chi ha bisogno e soffre”. Il suo primo atto ufficiale consiste nel congelare tutti i conti correnti dello Ior nelle banche cattoliche di Quito e dirottarli in un programma di welfare sociale per i ceti più disagiati. Fa arrestare l’intera classe politica del precedente governo che viene sottoposta a regolare processo. Finiscono tutti in carcere, media di dieci anni a testa con il massimo rigore. Beni confiscati, proprietà nazionalizzate e ridistribuite in cooperative agricole ecologiche. Invia una lettera a papa Ratzinger dove si dichiara “sempre umile servo di Sua Illuminata Santità” dove chiede ufficialmente che il Vaticano invii in Ecuador soltanto “religiosi dotati di profonda spiritualità e desiderosi di confortare i bisognosi evitando gli affaristi che finirebbero sotto il rigore della Legge degli uomini”. Tutto ciò lo si può raccontare oggi, grazie alla bella pensata del Foreign Office, andato nel pallone. In tutto il pianeta si parla di Rafael Correa, dell’Ecuador, del debito immorale, del nuovo Sudamerica che ha detto no al colonialismo e alla servitù alle multinazionali europee e statunitensi. In Italia lo faccio io sperando di essere soltanto uno dei tanti. Questo, per spiegare “perché l’Ecuador”.
Per 400 anni, da quando gli europei scoprirono le banane ricche di potassio, gli ecuadoregni hanno vissuto nella povertà, nello sfruttamento, nell’indigenza, mentre per centinaia di anni un gruppo di oligarchi si arricchiva alle loro spalle. Non lo sarà mai più. A meno che non finiscano per vincere Mitt Romney, Draghi, Monti, Cameron e l’oligarchia finanziaria. L’esempio dell’Ecuador è vivo, può essere replicato in ogni nazione africana o asiatica del mondo. Anche in Europa. Per questo Jules Assange ha scelto l’Ecuador. Il colpo decisivo viene dato da una notizia esplosiva resa pubblica (non a caso) il 4 agosto del 2012. “Jules Assange ha firmato il contratto di delega con il magistrato spagnolo Garzòn che ne rappresenta i diritti legali a tutti gli effetti in ogni nazione del globo”. Chi è Garzòn? E’ il nemico pubblico numero uno della criminalità organizzata. E’ il nemico pubblico numero uno dell’Opus Dei. E’ il più feroce nemico di Silvio Berlusconi. E’ in assoluto il nemico più pericoloso per il sistema bancario mondiale. Magistrato spagnolo con 35 anni di attività ed esperienza alle spalle, responsabile della Procura reale di Madrid, ha avuto tra le mani i più importanti processi spagnoli degli ultimi 25 anni. Esperto in “media & finanza” e soprattutto grande esperto in incroci azionari e finanziari, salì alla ribalta internazionale nel 1993 perché presentò all’Interpol una denuncia controSilvio Berlusconi e Fedele Confalonieri (chiedendone l’arresto) relativa a Telecinco, Pentafilm, Fininvest, Reteitalia e Le cinq da cui veniva fuori che la Pentafilm (Berlusconi e Cecchi Gori soci, cioè PD e PDL insieme) acquistava a 100$ i diritti di un film alla Columbia Pictures che rivendeva a 500$ alla Telecinco che li rivendeva a 1000$ a Rete Italia che poi in ultima istanza vendeva a 2000$ alla Rai, in ben 142 casi tre volte: li ha venduti sia a Rai1 che a Ra2 che a Rai3. Lo stesso film. Cioè la Rai ha pagato i diritti di un film 20 volte il valore di mercato e l’ha acquistato tre volte, così tutti i partiti erano presenti alla pari. Quando si arrivò al nocciolo definitivo della faccenda, Berlusconi era presidente del consiglio, quindi Garzòn venne fermato dalla UE. Ottenne una mezza vittoria. Chiuse la Telecinco e finirono in galera i manager spagnoli. Ma Berlusconi rientrò dalla finestra nel 2003 come Mediaset. Si riaprì la battaglia, Garzòn stava sempre lì. Nel 2006 pensava di avercela fatta, ma il governo italiano di allora (Prodi) aiutò Berlusconi a uscirne. Nel 2004 aprì un incartamento contro papa Woytila e contro il managament dello Ior in Spagna e in Argentina, in relazione al finanziamento e sostegno da parte del Vaticano delle giunte militari di Pinochet e Videla in Sudamerica. Nel 2010 Garzòn si dimise andando in pensione, ma aprì uno studio di diritto internazionale dedicato esclusivamente a “media & finanza” con sede all’Aja in Olanda. E’ il magistrato che è andato a mettere il naso negli affari più scottanti, in campo mediatico, dell’Europa, degli ultimi venti anni. In quanto legale ufficiale di Assange, il giudice Garzòn ha l’accesso ai 145.000 file ancora in possesso di Assange che non sono stati resi pubblici. Ha già fatto sapere che il suo studio è pronto a denunciare diversi capi di stato occidentali al tribunale dei diritti civili con sede all’Aja. L’accusa sarà “crimini contro l’umanità, crimini contro la dignità della persona”. La battaglia è dunque aperta. E sarà decisiva soprattutto per il futuro della libertà in Rete. In Usa non fanno mistero del fatto che lo vogliono morto. Anche gli inglesi. Ma hanno non pochi guai perché, nel frattempo, nonostante sia abbastanza paranoico (e ne ha ben donde) Assange ha provveduto a tirar su un gruppo planetario che si occupa di contro-informazione (vera non quella italiana). I suoi esponenti sono anonimi. Nessuno sa chi siano. Non hanno un sito identificato. Semplicemente immettono in rete dati, notizie, informazioni, eventi. Poi, chi vuole sapere sa dove cercare e chi vuole capire capisce. Quando la temperatura si alza, va da sé, il tutto viene in superficie. E allora si balla tutti. In Sudamerica, oggi, la chiamano “British dance”. Speriamo soltanto che non abbia seguiti dolorosi o sanguinosi.
Per questo Assange sta dentro l’ambasciata dell’Ecuador. Per questo Garzòn lo difende. Per questo la storia del Sudamerica, va raccontata. Per questo l’Impero Britannico ha perso la testa e lo vuole far fuori. Perché Assange ha accesso a materiale di fonte diretta. E il solo fatto di dirlo, e divulgarlo, scopre le carte a chi governa, e ricorda alla gente che siamo dentro una Guerra Invisibile Mediatica. Non sanno come fare a fermare la diffusione di informazioni su ciò che accade nel mondo. Finora gli è andata bene, rimbecillendo e addormentando l’umanità. Ma nel caso ci si risvegliasse, per il potere sarebbero dolori imbarazzanti. Wikileaks non va letto come gossip. C’è gente che per immettere una informazione da un anonimo internet point a Canberra, Bogotà o Saint Tropez rischia anche la pelle. Questi anonimi meritano il nostro rispetto. E ci ricordano anche che non potremo più dire, domani “ma noi non sapevamo”. Chi vuole sapere, oggi, è ben servito. Basta cercare. Se poi, con questo "Sapere" un internauta non ne fa nulla, è una sua scelta. Tradotto vuol dire: finchè non mandiamo a casa l’immonda classe politica che mal ci rappresenta, le chiacchiere rimarranno a zero. Perché ormai sappiamo tutti come stanno le cose. Altrimenti, non ci si può lamentare o sorprendersi che in Italia nessuno abbia mai parlato prima dell’Ecuador, di Rafael Correa, di ciò che accade in Sudamerica, dello scontro furibondo in atto tra la presidente argentina e brasiliana da una parte e Christine Lagarde e la Merkel dall’altra. Perché stupirsi, quindi, che gli inglesi vogliano invadere un’ambasciata straniera? Non era mai accaduto neppure nei momenti più bollenti della cosiddetta Guerra Fredda. Come dicono in Sudamerica quando si chiede “ma che fanno in Europa, che succede lì?” Ormai si risponde dovunque “In Europa dormono. Non sanno che la vita esiste”. " Sergio Di Cori Modigliani, scrittore e blogger
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Lunedì 27 agosto 2012http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2012/08/ecco-la-fotografia-della-signorina.html
Ecco la fotografia della "signorina A" impugnata dall'avvocato Garzòn. E l'esplosione del dibattito anti-liberista e anti-colonialista in tutto il Sudamerica.
di Sergio Di Cori Modigliani
Di nuovo geo-politica: le ultime su Assange e soprattutto sul Sudamerica.
Alcune chicche succose. Totalmente censurate in Italia, Spagna (soprattutto, data l’identità linguistica e quindi di facile accesso per il pubblico) e la Germania, mentre sono in prima pagina in Gran Bretagna, Olanda, Danimarca, naturalmente Svezia per ovvi motivi.
L’immagine che vedete qui riprodotta in bacheca, una normale e piatta fotografia da cartolina, è diventata il caso del giorno, considerato il colpo decisivo della difesa e una degli assi nella manica di Garzòn, l’avvocato difensore di Assange. Questa piatta fotografia era introvabile. Si sapeva che esisteva, che c’era (probabilmente ne esistevano almeno un centinaio così) ma nessuno riusciva a trovarle. Garzòn ci è riuscito e il London Sunday Mail l’ha sparata in prima pagina. Ed è su tutte le prime pagine dell’intera produzione mediatica sudamericana, dove, il caso Assange è seguito minuto dopo minuto. In alcune nazioni ci sono addirittura dei canali via cavo dove 24 ore al giorno si trasmette soltanto “la cuestiòn Assange”.
Che cos’ha di così importante questa banale immagine?
La fotografia è stata scattata alle ore 18 del 15 agosto 2010 a Stocccolma.
Nell’immagine si vedono, al centro, Julian Assange, accanto ci sono Rickard Falkvinge, leader del locale “partito dei pirati svedesi” e Anna Troberg, militante di quel partito, nonché leader di una organizzazione per i “diritti civili in campo mediatico”. All’estrema sinistra della fotografia c’è l’immagine della “signorina A”, la stessa che, nella sua deposizione, aveva sostenuto di essere stata stuprata 48 ore prima da Assange. L’immagine del volto della “signorina A” è coperta, perché Garzòn ha inteso rispettare l’accordo con la magistratura svedese, garantendo la privacy alla donna. Ma la didascalia (offerta da Garzòn) e le dichiarazioni del direttore del quotidiano inglese e di diverse testate sudamericane, australiane e statunitensi (che hanno visto la foto intera) sostengono che nell’immagine la donna è sorridente, tranquilla, contenta, orgogliosa di far parte di quel gruppo. Un’ora dopo, firmerà la denuncia sostenendo di essere in stato di shock. “E’ possibile che uno shock si manifesti, all’improvviso, dopo 49 ore?” si chiede la stampa internazionale.
C’è anche una immagine della “signorina w”, anche peggio, se è per questo, dato che è accompagnata anche da un mini video amatoriale ripreso da un tablet dove parla abbracciata ad Assange sostenendo la causa di wikileaks. Il video è stato fatto una settimana più tardi.
Tutto ciò ha fatto scattare in Gran Bretagna (nazione dove l’opinione pubblica è molto sensibile nei confronti di ogni reato relativo a molestie sessuali, stupro e aggressione contro la persona) una gigantesca ondata di dubbi e perplessità sull’intera vicenda, che si sta rivelando –sempre di più- un gigantesco boomerang contro gli anglo-svedesi-statunitensi.
Il tutto aggravato (per loro) dal fatto che l’incredibile indice di curiosità che questa piatta fotografia ha sollevato in tutto il mondo (noi italiani siamo stati completamente esclusi da tutto questo dibattito negli ultimi due giorni) ha finito per riaccendere l’interesse per il Sudamerica e lì…beh…lì, apriti cielo!
Perché in Sudamerica, le ultime 48 ore hanno radicalizzato la situazione in una maniera in cui nessuno avrebbe potuto immaginare fino a pochi mesi fa. A tal punto da spingere più di un economista attendibile in Usa a prevedere un gigantesco terremoto con scosse di assestamento anche e soprattutto in Europa, nella sezione borsa, spread, investimenti. Da noi verrà presentata come speculazione internazionale. Si tratta di ben altro.
Di che si tratta?
Del fatto che dal Venezuela è partito “l’allarme rosso” scatenato dai primissimi rilevamenti delle investigazione governativa sull’esplosione del più importante pozzo petrolifero di tutto il continente americano, situato ad Aumay, di cui la televisione italiana ha fatto vedere delle immagini con il commento di repertorio che presentavano delle allegre fiammelle, senza alcun commento. Dopodichè si è abbattuta la censura di stato. E di mercato.
In Venezuela ci stanno le elezioni politiche il 7 ottobre. La destra locale, sostenuta da Mitt Romney e dal grande capitale finanziario statunitense, sta andando all’attacco: è la loro ultima occasione per riprendersi il Sudamerica. Hugo Chavez, fino a ieri considerato un populista, un demagogo, un facinoroso, un misto di Fidel Castro e un clown da circo e niente di più, è diventato invece molto ma molto pericoloso per gli interessi dei grandi oligarchi planetari. Perché negli ultimi sei mesi ha cambiato politica. Il Venezuela (e Chavez) da sempre si è considerato (grazie al petrolio) la potenza più importante dei Caraibi e non si è mai voluto mescolare al Brasile, all’Argentina, all’Uruguay, soprattutto al suo dirimpettaio Colombia, mostrando sempre (è dal 1800 che era così) un fiero e demagogico nazionalismo che spesso ha portato all’isolazionismo. Ma Lula, Morales, Correa e la Kirchner l’hanno convinto a fare il salto, perché hanno cambiato politica anche loro, compiendo una rivoluzione strategica gigantesca di cui gli italiani non sono informati: “non sono più eurocentrici”. Non solo.
“L’Europa fascista” è considerata ormai “l’antagonista per eccellenza” e Christine Lagarde non è più la fatina buona dalla quale attingere briciole di elemosina quando si è in emergenza, bensì l’arcigna custode del neo-colonialismo liberista, anti-socialista, guerrafondaio. Triste a dirsi (dato che noi siamo italiani) ma il nostro paese, in tutto il continente americano (compresi gli Usa, anche se ancora non ufficialmente) è considerato un paese fascista, popolato da gente addormentata e schiava, governato da un manipolo di tecnocrati di ferro al soldo del grande capitale colonialista della finanza oligarchica speculativa. Così ci vedono, così ci considerano. Grazie al poderoso balzo economico di Brasile, Argentina e Cile, il Sudamerica, invece di applicare la consueta politica di sempre, ovverossia arricchirsi come servi degli europei per poi ingoiarsi in maniera cannibalica il resto del Sudamerica povero (Ecuador, Bolivia, Paraguay, Perù, Guatemala, Costa Rica, San Salvador, Nicaragua, Caraibi tutti) ha deciso di andare verso un modello economico-politico di sviluppo geo-politico diverso, lanciando un gigantesco piano di investimento di risorse e di solidarietà per quelle nazioni: promuoverle da nazioni schiave a nazione sorelle. Sono riusciti a spostarsi dal loro localismo nazionalista miope a una nuova identità continentale che comprende tutto il continente sudamericano, abbattendo il divide et impera. E così, il Venezuela si è arreso e 40 giorni fa, Chavez è andato a Buenos Aires e Rio de Janeiro dove ha firmato l’ingresso del proprio paese nel Mercosur (il corrispondente sudamericano della Unione Europea) accelerando il processo di unificazione al fine di arrivare molto presto ad avere un’unica costituzione, una “federazione di stati” e una moneta unica, diciamo il loro euro. La differenza tra questa moneta e l’euro consiste nel fatto che A) avrebbe una banca centrale autorizzata a stampare moneta lanciando “los bonos sudamericanos de garantia de riesgos” (i loro eurobond) B) per principio politico dichiarato sarebbe nemico del liberismo applicando la teoria keynesiana con una fortissima tendenza a passare direttamente all’applicazione in tutto il Sudamerica della MMT del prof. Blake (loro consulente principale). C) la loro nuova moneta unica verrebbe imposta come tramite di scambio e transazione per chiunque voglia comprare una goccia di petrolio, gas, banane, carne, ecc. Avrebbero, inoltre, una lingua comune (tranne il Brasile, ma qualunque brasiliano parla e capisce lo spagnolo) oltre ad avere gli stessi liberatori, (San Martìn e Bolivar) la stessa storia, le stesse tradizioni, lo stesso destino negli ultimi 500 anni. Non è poco.
Sono quindi pericolosi. Si stanno rendendo autonomi, come fece l’Africa negli anni’60.
Sono la dimostrazione che la pianificazione economica keynesiana funziona, che i sistemi di solidarietà sociale finiscono per aumentare la ricchezza collettiva sostituendosi alla competitività cannibalica, e che è possibile dire no al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale e alle scuole iper-liberiste europee di cui Mario Draghi e Mario Monti sono il fiore all’occhiello. Davvero pericolosi.
E così, la destra oltranzista e criminale sta andando all’attacco del potere costituito in Sudamerica (dovunque la sinistra è al potere e decide la pianificazione economica in funziona anti-liberista) e lo fa seguendo la maniera consueta di quel territorio: terrorismo, sabotaggi, e in ultima analisi dittature militari se è necessario.
“Aquì se viene el golpe” (ecco arrivare il colpo di stato).
Così in tutto il Sudamerica si discute di ciò che sta accadendo in Venezuela in questi giorni. Questo è l’allarme sociale che è scattato in tutto il continente, intorno al quale ferve l’attuale dibattito in corso. E si preparano a contrastare l’esecuzione del piano dittatoriale.
Il fatto è che il mondo non è più quello del 1976, per loro fortuna, è molto diverso.
Il Venezuela e l’Ecuador sono i due pericoli principali per gli Usa e per la Spagna.
Vanno eliminati.
L’Argentina, l’Uruguay e la Bolivia lo sono per l’Italia.
Ecco, ad esempio, uno dei perché.
Nel dicembre del 2011 il parlamento argentino ha varato una legge presentata da un deputato dell’opposizione, l’on. Pablo Orsolini del Partito radicale (liberal-democratici di centro) che ha preso il nome di “Ley de tierras” (“Legge sul territorio”). E’ interessante citare qui un breve passo della voluminosa documentazione offerta dal deputato alla pubblica opinione per comprendere la differenza del linguaggio usato da quelle parti, la diversità dei dibattiti in corso. “L’importanza di questo provvedimento consiste nell’applicazione dei Diritto alla Legalità del popolo sovrano nel controllo dell’integrità della sovranità nazionale dal punto di vista economico, politico, geologico, ma soprattutto la salvaguardia delle risorse energetiche nazionali di cui la natura ci ha voluto fornire. Siamo in guerra. Stiamo vivendo una guerra economica tra le nazioni che vogliono imporre una dittatura coloniale della finanza per impossessarsi di beni comuni che non appartengono loro. La vera guerra in corso nel mondo globalizzato di oggi non è quella delle borse e della finanza, perché quella non riguarda il destino delle persone, bensì il destino dei consigli di amministrazione delle multinazionali. La guerra attuale in corso è, molto più semplicemente, la guerra per l’acqua. Vogliono la nostra acqua, che in un prossimo futuro diventerà il bene più prezioso nel pianeta. Salvaguardare le risorse idriche nazionali, il territorio idro-geologico, verificare, quantificare, e poi andare a ristrutturare i nostri ben di uso collettivo è la base della ripresa economica effettiva nel rispetto e nella responsabilità delle generazioni che verranno. La nostra acqua è nostra, e tale deve rimanere”. La nuova legge ha postulato “el registro nacional de las tierras” un censimento, sia alla luce che sotterraneo, stabilendo che al massimo il 30% dell’intero territorio nazionale possa trovarsi nelle mani di stranieri, i quali, tra l’altro non potranno più possedere più del 15% dell’intera quadratura di un’area della repubblica e al massimo 1000 ettari all’interno di un singolo stato. “Per evitare di finire come gli spagnoli, paese del tutto ignaro e inconsapevole della tragedia che su di loro incombe, bisogna aver chiaro il quadro dell’attuale guerra in corso”, ovvero: riappropriarsi del territorio. Per far ciò è necessario combattere il liberismo economico, di cui (secondo i sudamericani) l’attuale crisi finanziaria (spread, pareggio di bilancio, ecc.) sarebbe una ben congegnata farsa e una messinscena per nascondere il fatto che ogni singola nazione europea finirà –senza accorgersi e senza saperlo- privata dell’acqua, del petrolio, del gas, di energia elettrica. Data di scadenza fornita a tutti: 30 aprile 2012. Grazie all’uso dei satelliti, infatti, hanno impiegato soltanto 25 giorni per mappare il tutto. Per quella data, uniformarsi o pagare salate multe. Termine per evitare contenziosi evitando sequestri e nazionalizzazioni il 31 agosto 2012. E così è venuto fuori che l’Italia (come privati) possiede in Argentina 455.322 ettari di territorio di pura acqua naturale, di cui parecchio concentrato in singole regioni. La cifra da pagare (oltre alla restituzione di parte del territorio) è di svariate centinaia di milioni di euro. Gli Usa possiedono 461.353 ettari d’acqua pura. Il miliardario statunitense Joe Lewis è stato denunciato. Possiede 18.560 ettari nello stato di Rio Negro in una località di sogno, vicino alla Patagonia, che si chiama “Lago Escondido” che mette in contatto tutte le falde acquifere della regione controllando quindi l’intero sistema idrico di irrigazione agricola. E quello stato è il più grande produttore di frutta argentino che esporta in tutto il mondo. Il miliardario americano ha acquistato la terra grazie a provate corruzioni di personale statale durante la dittatura militare e sotto il governo Menem, grazie ai suoi tre soci: Banco di Santo Spirito, Banca Antonveneta e Banca Cattolica del Veneto, nessuna delle quali esiste più oggi, fanno parte di Intesa San Paolo. Il 2 settembre inizia il contenzioso. E inizia il contenzioso contro il gruppo Benetton (decine di migliaia di ettari necessari per coltivare il cotone praticando lo schiavismo: i raccoglitori e piantatori di cotone sono indios wichi pagati una miseria) e la ricchezza della famiglia Ferruzzi e Gardini, proprietari del gruppo Eridania di Ravenna, il primo produttore, distributore ed esportatore di zucchero in Europa, nonostante l’Italia non abbia neppure una canna da zucchero. Quando la legge è stata varata, sui media la notizia è stata presentata come “è finita la pacchia per l’Europa”. La Banca Mondiale ha calcolato che ai governi di Italia, Germania e Spagna, la perdita del controllo di territorio, risorse energetiche e loro sfruttamento in Sudamerica, finirà per costare circa 400 miliardi di euro in termini finanziari. Su quelle terre, infatti, sono stati costruiti dai tre stati fondi di investimento garantiti sui quali è stata costruita una rete di derivati speculativi alla borsa delle merci di Chicago facendo centuplicare il valore, in termini di carta straccia, si intende. Ma per loro, pardon, per noi, questo è ciò che conta.
La rivolta del Sudamerica contro il neo-colonialismo dei governi fascisti europei, per conquistare il controllo di risorse idriche sul territorio, è una delle cause della crisi finanziaria dell’Europa. Forse non è la prima, ma di sicuro non è l’ultima.
Si parla di questo in Sudamerica. E del sabotaggio in Venezuela. E della guerra tra il liberismo e il keynesismo. Nicmer Evans, Raul Bracho, Javier del Valle Managos Marita, i giornalisti di radio del sur, Freddy Marcial Ramos, diffondono sui loro blog, nei loro siti, su tutti i media sudamericani lo svolgimento di una nuova coscienza collettiva socialista e solidale. L’Europa viene definita “el teatro de la politiquerìa” (sintesi tra politica e porcheria).
In Italia, di tutto ciò, neppure una parola. Non c’è da stupirsi. Anche in Spagna è così. Siamo considerate le due nazioni socialmente e culturalmente più arretrate di tutto l’occidente. Ma non è una sorpresa storica.
Era così anche nel 1934, quando si celebrava il mito iconico della fascinosa Parigi degli intellettuali e degli artisti, dovunque. Ma non in Germania e in Italia. Gli italiani vissero dal 1930 al 1945 come se Parigi non esistesse, e da sola l’Italia si suicidò tagliandosi fuori per sempre dal grande dibattito culturale europeo. Non siamo mai più rientrati.
Ma il mio nuovo corso mi impone di cambiare passo per andarsi a cercare i singulti di protesta e di dissenso che esistono da noi all’interno delle forze istituzionali. Non tutti sono come Enrico Letta o l’appiattito Niki Vendola. Abbiamo bisogno di trovare il bello, e il buono e il sano, laddove esso c’è.
Ecco qui di seguito, ripreso da Il Fatto Quotidiano, il passo conclusivo di uno squisito intervento dell’on. del PD Furio Colombo. Chissà, forse, secondo la Repubblica e l’Unità (di cui fu solido direttore) si tratta di un fascista del web. E’ invece un deputato del parlamento italiano, di quelli che ancora pensano, e parlano, dicono, cercano di dare la sveglia.
Da Il Fatto Quotidiano, passo finale dell’articolo dell’on. Furio Colombo:
Da noi mancano le notizie. Mancano perchè mancano le decisioni. E mancano le decisioni perchè mancano gli statisti e manca la capacità di interpretare gli eventi, e il coraggio di dire dove siamo e di indicare dove andiamo. Non è detto che di statisti – tranne Monti – non se ne vedano in giro, come afferma Bonanni. Il fatto è che sono al Convegno.
Tutti, anche Monti. O meglio, tutti coloro che sono sospetti di avere almeno un po’ di potere. Per esempio Rimini. Perché li invitino al meeting si capisce. Meno chiaro è perché tutti coloro che governano, evidentemente in nome di Dio, accettino in massa. Che senso ha “fare vacanze brevi” e mostrarsi “già al lavoro”, per poi andare a Rimini aggirandosi per giorni, tra scorte e telecamere, per la sola ragione che Comunione e Liberazione (la casa madre di Formigoni) chiama? Possibile che Formigoni, con le cose che ha fatto e le cose che dice, non stinga neanche un po’ sulla reputazione dell’evento, e che quell’evento sia percepito non solo come “santo” ma anche come santificante? È triste ma vero. Come per un brutto incantesimo, siamo tuttora bloccati nel mondo non esemplare dei piccoli Formigoni, una dose di potere, una di danaro e una religiosità autocertificata. Credere per accedere nelle stanze giuste.
Intanto, un intero continente, dall’altra parte del pianeta, se ne va da un’altra parte.
Ma agli italiani, questa storia non glie la vogliono proprio raccontare.
E’ tabù. Non bisogna parlarne. Soprattutto all’interno della cosiddetta sinistra democratica; non si sa mai, potrebbe far venire strani grilli per la testa alla gente.
Non sia mai cominciassero a pensare, e soprattutto porsi delle domande scomode.
Da noi, come sostiene Furio Colombo, mancano ormai le notizie.
In compenso, c’è tanta tanta informazione!
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